FOSCARINI, Nicolò
Nacque a Venezia il 16 marzo 1671 da Nicolò, del ramo a S. Stae, e da Ruzzina Ruzzini, del procuratore Marco.
Possiamo attribuire al F. una giovinezza poco serena, dal momento che venne alla luce già orfano del padre. Questi era stato ucciso neppure due mesi prima, il 22 genn. 1671, con un colpo di pistola sparatogli da Giovanni Mocenigo, torbida figura di violento che per futili motivi era venuto a contrasto con lui e con il fratello di questo, Sebastiano, durante la messa in scena di un'opera nel teatro di S. Salvador. Sembrava così rinnovarsi un cupo destino che gravava sulla famiglia, poiché anche il padre dell'ucciso, Alvise, era morto in esilio a Mantova nel 1664, dopo essere stato bandito dal territorio della Repubblica per l'omicidio di un artigiano, della cui moglie s'era invaghito.
Fu dunque lo zio Sebastiano, cavaliere e procuratore, a occuparsi del F. e di suo fratello Giacomo: si sa infatti che il F. venne educato nel collegio parigino di Clermont al tempo in cui Sebastiano era ambasciatore della Serenissima presso Luigi XIV (1679-83) e ancora si può desumere che proprio dallo zio egli ricevesse quelle indicazioni che gli avrebbero facilitato l'affermazione nel mondo della politica veneziana, e che - soprattutto - spiegano come suo figlio Marco sarebbe in seguito riuscito a divenire una delle glorie riconosciute della Repubblica nel corso del diciottesimo secolo.
Dopo essersi sposato nel 1694 con Eleonora di Marco Loredan e averne avuto nel 1695 Alvise e, subito dopo, Marco, il F. intraprese la carriera politica: fu savio agli Ordini dal 12 luglio alla fine del 1696 e, nuovamente, per il secondo semestre del 1697; il 13 ottobre di quest'anno optava per la carica di provveditore alle Pompe, senza peraltro portare a termine neppure questo mandato, poiché il 1° ag. 1698 già entrava capitano a Vicenza, dove sarebbe rimasto sino alla fine di novembre 1699, avendo come collega nel reggimento il podestà Antonio Lando.
Il F. non lasciò la relazione del suo operato, che comunque conosciamo attraverso i numerosi dispacci da lui spediti al Consiglio dei dieci: ne emerge il quadro di una società percorsa da inquietudini e arbitri, gravemente minata dall'insufficiente esercizio della giustizia, come si evince sin dalla prima lettera (2 ag. 1698), che riporta un elenco di nobili i quali "s'attrovano per controversie e disgusti da molto tempo sotto sequestro, e vengono espresse infruttuose le pratiche per componer gli animi e stabilir la concordia". Erano i guasti indiretti della guerra di Candia e di quella, allora in corso, della Sacra Lega, che si ripercuotevano sull'intera società veneta, a ogni livello: le successive lettere testimoniano infatti una serie infinita di omicidi e violenze. La frequenza delle denunce e dei processi istruiti dal F., insieme col collega, deporrebbe a favore di un forte impegno e del desiderio di sopperire con la propria iniziativa alle manchevolezze dell'apparato giuridico, se la brusca e inspiegabile interruzione di questi dispacci negli ultimi mesi del mandato non inducesse a pensare che l'attivismo da lui dispiegato fosse soprattutto finalizzato a intenti autocelebrativi.
Nuovamente a Venezia, il 3 febbr. 1700 il F. venne eletto ai Dieci uffici e un anno dopo (31 genn. 1701) giungeva al saviato di Terraferma, che tenne sino a fine marzo. Questa ulteriore affermazione poteva rappresentare una svolta nella carriera del F., ma il successivo rifiuto di accettare la nomina all'ambasciata di Parigi, cui era stato eletto il 23 apr. 1701, ne determinò l'esclusione dal mondo della politica per un biennio. Probabilmente, nella circostanza il F. dovette sottostare alla logica della ragion familiare: poiché l'anno prima lo zio Sebastiano era stato eletto ambasciatore straordinario "d'obbedienza" al pontefice, il bilancio domestico non consentiva di far fronte in tempi così ravvicinati a due dispendiose legazioni.
Si trattò comunque di breve contumacia, poiché il F. venne rieletto savio di Terraferma per il primo semestre del 1704, carica che gli fu puntualmente confermata sino al 1710, sebbene fosse riuscito a ottenere la dispensa da altre due ambascerie, di Francia e d'Inghilterra, che gli erano state appoggiate rispettivamente il 31 maggio 1706 e il 27 febbr. 1708. Quindi (24 maggio 1710) giunse al saviato del Consiglio, ossia al vertice del Collegio; subentrava in tal modo allo zio Sebastiano, plenipotenziario della Repubblica ai negoziati dell'Aja, dove sarebbe morto nel 1711.
Forse anche in riconoscimento dei grandi servigi prestati alla patria da quest'ultimo il F. venne riconfermato savio del Consiglio per il periodo aprile-settembre dal 1711 al 1713, e poi per i semestri ottobre 1714-marzo 1715 e ottobre 1715-marzo 1716, alternando nei mesi liberi impieghi di notevole prestigio, come quello di deputato al Commercio (12 ott. 1711), savio alla Mercanzia (8 ott. 1712), provveditore sopra la Sanità in Friuli (5 ott. 1713).
Qui, lungo l'Isonzo, egli rimase sino a giugno dell'anno seguente, impegnato a fronteggiare la peste che proveniva dalle province austriache: con intelligente iniziativa modificò la linea difensiva (in simili circostanze il governo marciano approntava una sorta di cordone sanitario che ricalcava da presso le strutture militari) predisposta dal predecessore Francesco Grimani, rettificandola notevolmente, e abbreviandola: in altri termini, anziché attestarsi sulle barriere naturali, costituite da fiumi e monti, la "linea Foscarini" tagliava diritto per il fondovalle e la campagna, consentendo di eliminare quarantasei posti di guardia.
Rimpatriato il 16 giugno 1714, il F. assunse la carica di provveditore all'Armar, quindi divenne savio del Consiglio e il 26 sett. 1715 fu eletto ambasciatore straordinario in Francia, insieme con Giovan Pietro Pasqualigo, per congratularsi dell'ascesa al trono del giovane Luigi XV.
In realtà il Senato intendeva soprattutto riallacciare regolari rapporti diplomatici tra le due corti, da tempo interrotti a causa della vicenda Ottoboni, ma l'ambasciata tardò a muoversi, un poco per l'inasprirsi della guerra di Morea, che suggeriva alla Repubblica una politica filoinglese, un poco per le difficoltà insorte nell'area mediterranea in seguito alle avventurose iniziative di G. Alberoni.
Nelle more imposte da una situazione tanto complessa, il F. poté continuare il suo cursus honorum, divenendo successivamente savio alle Acque (6 maggio 1715), revisore e regolatore delle Entrate (18 apr. 1716), savio del Consiglio per il primo semestre degli anni 1717-1720, deputato al Commercio (3 luglio 1717 e 9 luglio 1718), aggiunto alla Provvision del danaro (5 ag. 1719), savio all'Eresia (20 luglio 1720), provveditore sopra Monasteri (31 ag. 1720).
Finalmente l'ambasceria ebbe luogo, con la consegna delle commissioni verificatasi il 6 apr. 1722: il Pasqualigo nel frattempo era stato sostituito dal cavaliere e procuratore Lorenzo Tiepolo e anche il F. era salito alla dignità procuratoria, acquistata il 7 marzo 1717 con l'esborso di 25.000 ducati, secondo la prassi in vigore a motivo della guerra contro il Turco. La legazione giunse a Parigi il 3 luglio, l'udienza pubblica ebbe luogo il 30 settembre e il congedo ufficiale avvenne il 9 ottobre; la relazione fu letta in Senato il 15 apr. 1723.
L'osservatorio parigino consentiva di ottenere un quadro completo della politica internazionale e di acquisire un'impareggiabile esperienza diplomatica, e questo spiega perché il F. volle con sé il figlio Marco. Più che nell'esame della politica francese, nelle sue connessioni europee, il valore precipuo di questa relazione sta nell'analisi dell'operato di J. Law, di cui viene denunciato il "gravosissimo inganno" perpetrato nei confronti dei suoi amministrati. La condanna era scontata, tuttavia tra le righe si intuisce anche un senso di ammirazione per il geniale scozzese, il quale forse in diverse circostanze, libero dai pesanti condizionamenti della corte e del reggente, duca di Orléans, avrebbe potuto conseguire ben altri risultati. Notevoli le osservazioni circa la propensione dei Francesi alla tesaurizzazione e le disfunzioni del sistema finanziario del Regno, ma non si deve dimenticare che per entrambi i diplomatici il termine di paragone era costituito dall'efficiente funzionamento della Zecca e dell'apparato creditizio veneziano, che essi conoscevano perfettamente, in particolare il Tiepolo, il quale fu una delle menti più acute e vive nei settori economici della Repubblica; ancora, essi certo dovevano conoscere il Law, che proprio allora si era stabilito definitivamente a Venezia, dove sarebbe morto alcuni anni più tardi, nel 1729.
La missione a Parigi rappresentò il momento più alto e in qualche modo conclusivo della carriera del F., che da allora preferì agevolare quelle dei figli, in particolare di Marco, evitando talune magistrature e nel contempo prolungando sino a vecchiaia inoltrata la propria attività: aveva infatti compreso che il suo compito era quello di fungere da anello di congiunzione tra le fortune dello zio Sebastiano e del futuro doge. Si spiega così l'acquisto del titolo procuratorio, che rappresentò una sorta di minimo comun denominatore lungo tre generazioni, come pure la riassunzione, dopo un lunghissimo intervallo, del saviato del Consiglio (aprile-ottobre 1742), giusto per "tenere il loco" a Marco.
La presenza politica del F. fu rivolta soprattutto alle cariche di natura finanziaria: divenne così deputato o aggiunto alla Provvision del danaro il 2 genn. 1723, e poi ancora l'11 genn. 1725, il 14 genn. 1728, il 17 luglio 1734, il 16 luglio 1738, il 13 ag. 1740; entrò deputato straordinario alle Monete il 16 genn. 1728; revisore e regolatore delle Entrate il 19 genn. 1730 e ancora il 18 sett. 1732; provveditore sopra Monasteri il 23 ag. 1730; aggiunto alla Sanità il 26 genn. 1731; esecutore contro la Bestemmia il 5 apr. 1738; inquisitore sopra Ori e monete il 6 ott. 1742; sopravveditore alle Pompe il 25 luglio 1748. Solo il 1° ag. 1750 s'indusse a rinunciare alla nomina di provveditore sopra Monasteri, "per l'età".
Il F. morì a Venezia nella parrocchia di S. Raffaele (dove la famiglia s'era da poco trasferita, in seguito all'eredità pervenutale dal ramo dei Foscarini ai Carmini) il 15 nov. 1752.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A. M. Tasca, Arbori de' patrizi…, III, pp. 521, 542; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159: Necrologi di nobili, fasc. 2, sub die; per la carriera politica, Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Maggior Consiglio, regg. 24, cc. 21, 53, 175; 25, cc. 22, 190; 26, c. 114; Ibid., Elez. Pregadi, regg. 21, cc. 8-11, 14-17, 20, 23 s., 39, 50 s., 69, 73, 87, 108, 111, 122, 139, 170; 22, cc. 1, 11, 72, 97 s., 100, 106, 122, 130 s., 135 s., 177, 184; 23, cc. 44, 84, 134; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. Malvezzi 16, pp. 248, 318, 646, 800; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 856 (= 8935): Consegi, sub 29 dic. 1717, 9 luglio e 29 dic. 1718, 18 luglio 1720. Sul periodo a Vicenza, Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 237, nn. 216-261, 264-275, 277-281. Sul provveditorato in Friuli, Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori da Terra e da Mar, f. 320, passim. Per altre cariche, Ibid., Cinque savi alla Mercanzia, filza 173, pp. 427-433, 443 s.; Ibid., Senato. Dispacci Francia, filza 211, nn. 2-30; Ibid., Collegio Relazioni, filza 11. Alcune lettere del F. in Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna 2531/45 e 3206/XXXIII. La relazione di Francia è stata parzialmente edita da E. Errera, Storia dell'economia politica nei secoli XVII e XVIII negli Stati della Repubblica veneta…, Venezia 1877, pp. 463-471; quindi integralmente, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (sec. XVIII),Francia, a cura di R. Moscati, Firenze 1943, pp. 21-50 (qualche considerazione critica, pp. XXI, XXVI, XXIX). Inoltre: L'uguaglianza con gli Ottimi… Orazione all'ill.mo… N. F. nel suo solenne ingresso alla procuratia…, Padova 1717; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata…, III, Trieste 1973, p. 362; G. Quazza, Il problema italiano alla vigilia delle riforme (1720-1738), in Annuario dell'Ist. stor. per l'età moderna e contemporanea, V (1953), p. 151; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, V, Francia (1492-1600), a cura di L. Firpo, Torino 1978, pp. XXXIX s. (alcune indicazioni relative alla legazione a Parigi); R. Palmer, Sanità pubblica e pestilenza: la politica veneziana nel Friuli all'inizio dell'epoca moderna, in Sanità e società. Friuli-Venezia Giulia. Secoli XVI-XX, Udine 1986, pp. 55 s.