GALLO, Nicolò
Nacque il 10 ag. 1849 a Girgenti (oggi Agrigento) da Gregorio.
Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita presso l'Università di Palermo, per diversi anni si dedicò prevalentemente all'esercizio dell'avvocatura nella sua città natale.
Nel contempo il G. continuava a coltivare gli interessi letterari che aveva manifestato fin da giovane, componendo liriche e pubblicando due tragedie: Cola di Rienzo (Palermo 1870) e Fiore (ibid. 1872). Si occupò anche approfonditamente di estetica, in particolare scrisse il saggio L'idealismo e la letteratura (Roma 1881), e quando, nel 1882, si trasferì a Roma, tenne come libero docente un corso universitario di questa disciplina: le linee fondamentali della sua concezione dell'arte e della letteratura, di orientamento idealistico e metafisico in contrasto con il positivismo allora diffuso, si ritrovano nella prolusione che svolse, appunto nella capitale, nel 1885; nel 1887 pubblicò un altro saggio di estetica: La scienza dell'arte (Torino).
Il trasferimento del G. a Roma fu anche motivato dalla sua prima elezione alla Camera dei deputati, dove sedette ininterrottamente per otto legislature, in rappresentanza del collegio di Girgenti II (dalla XV alla XVII legislatura), poi di quelli di Bivona (dalla XVIII alla XX) e di Foligno (XXI e XXII).
Il G. militò nelle file della Sinistra storica divenendo uno dei più autorevoli seguaci di G. Zanardelli. Nel 1896 partecipò alla commissione parlamentare incaricata di preparare la legge sul commissario civile in Sicilia, emergendo come uno degli esponenti di spicco dello schieramento politico meridionale e siciliano raccolto intorno ad A. di Rudinì. Quando, in seguito alle elezioni del 21 e 28 marzo 1897, i deputati zanardelliani passarono da poco più di una quindicina a circa trenta, consentendo allo stesso Zanardelli di riacquistare un notevole peso politico, il G. ne trasse indubbi benefici.
Il 14 dic. 1897 fu, infatti, chiamato a far parte del governo di Rudinì come ministro della Pubblica Istruzione, incarico che mantenne fino alla caduta di quel governo il 1° giugno 1898. Nel mese successivo il G. fu relatore del disegno di legge concernente provvedimenti di ordine pubblico, discusso alla Camera dal 10 al 12 luglio. Fu quindi presidente della giunta delle elezioni e in tale veste, il 1° febbr. 1899, dichiarò decaduto il mandato parlamentare di L. De Andreis e di F. Turati, in seguito alla condanna per i fatti del maggio 1898.
Nell'ultima fase della XX legislatura il G. venne eletto vicepresidente della Camera e, alla vigilia delle elezioni del 3 e 10 giugno 1900, il suo nome cominciò a circolare, tra i sostenitori del presidente del Consiglio L. Pelloux, come quello di un possibile candidato governativo alla carica di presidente dell'Assemblea, in grado di promuovere una riconciliazione tra la maggioranza ministeriale e l'opposizione dopo l'aspra battaglia parlamentare relativa alla modifica del regolamento.
All'inizio della XXI legislatura il G. venne così a trovarsi al centro di una manovra politica che comportava anche un delicato risvolto istituzionale. La sua elezione a deputato era stata infatti contestata e su di essa avrebbe dovuto decidere la giunta per le elezioni; come presidente della Camera il G. sarebbe dunque incorso nella singolare circostanza di dover nominare i componenti della giunta, vale a dire i suoi stessi giudici. Malgrado ciò il Pelloux volle candidarlo a presidente dell'Assemblea: contrapposto a G. Biancheri, indicato dall'opposizione, il 16 giugno 1900 il G. ottenne 242 voti contro i 214 riportati dal suo avversario. Ma proprio la risicata maggioranza con cui il G. era stato eletto - ascrivibile secondo il Pelloux a "raisons secondaires qui provenaient de désaccords dans la députation sicilienne" (Pelloux, p. 209) - aveva dimostrato quanto fosse precaria la posizione del governo. Il 18 giugno il presidente del Consiglio fu costretto a rassegnare le dimissioni, anche "perché il tentativo di conciliazione attuato dal Gallo si infranse contro la pregiudiziale posta dall'opposizione di considerare illegittime le norme regolamentari approvate dalla Camera durante l'ostruzionismo, condizione che il governo non poteva assolutamente accogliere; essa era tra l'altro condivisa anche dallo stesso Gallo" benché egli avesse promesso ai promotori della sua candidatura di applicare il nuovo regolamento (Furlan - Salotti - Arpino, p. 66).
Il G. riuscì a sottrarsi all'imbarazzante situazione allorché, il 24 giugno, venne chiamato a far parte del nuovo governo Saracco come ministro della Pubblica Istruzione, incarico che ricoprì fino al 15 febbr. 1901.
Alla guida di questo dicastero il G. dimostrò di possedere una chiara visione delle questioni di sua competenza e di voler procedere a significative riforme, avviando il riordinamento del settore delle belle arti e un nuovo assetto amministrativo del ministero e del sistema scolastico. In particolare il G. intendeva assegnare alla scuola elementare "il mandato di operare la coesione sociale, superando gli antagonismi radicati nella società italiana e rendendo il nostro popolo "meno facile preda di lusingatrici suggestioni"" (De Fort, p. 200). Funzione che evidentemente, secondo il G., la scuola non esercitava; per far sì che i giovani, anziché essere facili prede di "insane dottrine" (ibid.), fossero educati all'amor di patria e al rispetto delle leggi egli faceva grande affidamento sui maestri. A essi rivolse pubbliche lodi, in particolare perché, nonostante le condizioni di disagio economico in cui versavano, non si erano lasciati coinvolgere nel moto "sovversivo" del maggio 1898.
Un altro punto qualificante dell'azione ministeriale del G. concerneva la necessità di ripristinare il "criterio della giusta severità" negli esami di promozione e di licenza degli istituti d'istruzione classica, tecnica e normale. In polemica con i suoi predecessori riteneva infatti che da parecchi anni le agevolazioni concesse da decreti, regolamenti o anche semplici circolari avessero tolto agli esami "gran parte del valore e dell'efficacia, che avevano come mezzo di educazione e come misura della maturità dei giovani" (Relazione al re premessa al r.d. 23 ag. 1900, n. 317, in Boll. uff. del Ministero della Pubblica Istruzione, 1900, pp. 1144-1147).
Nel dicembre 1900 circolò la voce, alimentata con ogni probabilità dall'interessato, che G. Saracco avrebbe avuto intenzione di abbandonare il dicastero dell'Interno per affidarlo al G., ma contro una tale ipotesi si levò la decisa opposizione di alcuni dei maggiori leaders politici come S. Sonnino e A. Salandra.
Dopo la scomparsa dello Zanardelli (26 dic. 1903), i suoi seguaci, nel dicembre 1904, si ricostituirono nel Partito democratico costituzionale, che arrivò a contare una sessantina di deputati. Il gruppo parlamentare assunse il nome di Sinistra democratica e - richiamandosi alla tradizione incarnata, oltre che dallo Zanardelli, da B. Cairoli - s'impegnò a perseguire la difesa e il completamento della laicità dello Stato, nonché le riforme democratiche della politica tributaria e del sistema elettorale. Obiettivi per i quali i democratici costituzionali ritenevano opportuna l'intesa con i radicali ed entro certi limiti con l'intera Estrema Sinistra. Il 21 marzo 1905, in una riunione presieduta dal G., decisero di non votare la fiducia, ma di non ostacolare un ministero Fortis; successivamente si spaccarono in un'ala "ministeriale" e in una di opposizione ai governi Fortis e Sonnino, cui aderì il Gallo.
Nel febbraio 1906 il presidente del Consiglio Sonnino, che dieci anni prima aveva sollecitato il G. a non essere "soltanto un membro dello sterile gruppo zanardelliano" e a "farsi una posizione" (Diario, I, p. 278), gli offrì una nuova candidatura alla presidenza della Camera. Questa volta, memore forse della poco felice esperienza di sei anni prima, il G. rifiutò, dopo essere stato facilmente convinto da G. Giolitti "dell'evidente artificio" col quale si voleva "gabellare per una affermazione di opposizione politica una candidatura diretta a dividere l'opposizione e a fare gli interessi del Ministero" (Dalle carte…, II, p. 408). Probabilmente anche per ripagarlo della lealtà dimostrata in questa circostanza e del contributo alla caduta di Sonnino, il 29 maggio 1906 il Giolitti volle chiamare il G. a far parte del suo governo come ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti.
La partecipazione del G. al governo Giolitti rivestiva inoltre un indubbio significato politico. Considerato uno dei capi, se non "il" capo, degli ex zanardelliani, il G. insieme con F. Massimini, ministro delle Finanze, F. Cocco Ortu, ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio e A. Ciuffelli, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, rappresentava "l'ala di sinistra e laicista, anzi anticlericale" del terzo ministero Giolitti (Ullrich, I, p. 115). In campo giuridico il G. poteva, comunque, vantare una specifica competenza, che gli derivava dalla lunga pratica forense della sua gioventù e dall'essere un apprezzato studioso della materia, autore di saggi tra i quali si ricorda Genesi dell'idea del diritto politico (Palermo 1871). Animato da volontà riformatrice, nel settembre 1906 insediò una commissione incaricata di predisporre la riforma generale della legislazione di diritto privato, ma non ebbe il tempo di veder realizzato il suo programma.
Il G. morì a Roma il 7 marzo 1907.
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