GHISLARDI, Nicolò
Nacque a Bologna verso il 1400 da Stefano di Giacomo. Ignoto è il nome della madre.
Il padre, figlio di notaio e notaio egli stesso, fin dal 1369, sfruttando le numerose opportunità offertegli dalla professione, aveva percorso una prestigiosa carriera pubblica, giungendo a ricoprire gli uffici più rilevanti dell'amministrazione cittadina e a intessere validi e fruttuosi rapporti con i detentori del potere politico. Nel figlio, natogli in età avanzata, egli vide lo strumento di un'ulteriore ascesa sociale della famiglia. Grazie alle relazioni da lui coltivate e a un non indifferente impegno delle sue sostanze, gli aprì infatti la carriera più prestigiosa dell'epoca, quella di docente nello Studio.
Compiuta la sua formazione di base, il G. fu dunque avviato, ancora giovanissimo, agli studi superiori presso lo Studio cittadino, nel quale seguì i corsi di diritto civile. Dovette completare il curriculum previsto in tempi brevissimi e con lode. Già il 4 ott. 1420, infatti, suo padre presentò una supplica al Collegio dei dottori dello Studio chiedendo che il figlio, al momento assente dalla città per timore della peste, fosse ammesso a sostenere il "privatum examen", la prima fondamentale prova per conseguire il dottorato in diritto civile, pur essendo ben conscio che al suo accoglimento si opponevano precise disposizioni degli statuti in vigore, i quali stabilivano che un solo cittadino bolognese potesse venire "licenziato" nel corso di un anno (e tale eventualità si era già a quel tempo verificata) e che il candidato avesse in precedenza svolto un insegnamento almeno semestrale (e questo il G. non aveva fatto). Ciò nonostante, il Collegio dei dottori espresse all'unanimità parere favorevole. Il 30 ag. 1421, con un ritardo dovuto forse al protrarsi dell'assenza del G., l'esame ebbe luogo e il G. lo superò brillantemente.
Fu una prova particolarmente solenne - e quindi molto costosa per la famiglia del candidato - dal momento che vi parteciparono, come promotori, ben tre dottori dello Studio: il numero massimo consentito e in casi tutt'altro che frequenti. Al termine dell'esame, il priore del Collegio dei dottori di diritto civile registrò con compiacimento l'ottima prova da lui fornita.
Il 24 apr. 1422 il G. si presentò al "conventus", la prova pubblica per ottenere il dottorato, che superò con lode.
Anche in questa occasione appare rilevante l'influenza del padre, il quale chiese e ottenne che, per onorare il figlio, l'intero Collegio dei dottori lo accompagnasse, al ritorno dalla prova, alla casa paterna e, si presume, prendesse parte al successivo pranzo di festeggiamento. Si trattava di particolari nient'affatto secondari, indice di una benevola attenzione, sollecitata e concessa da parte della ristretta cerchia dei docenti dello Studio per il nuovo dottore: attenzione che preludeva a una sua prossima cooptazione.
A partire dal successivo mese di ottobre il G. fu incaricato della lettura straordinaria del Codice. Il 18 febbr. 1424 venne aggregato come soprannumerario al Collegio dei dottori di diritto civile. Nell'ottobre successivo passò alla lettura mattutina del Codice. Infine, il 30 apr. 1425, fu incorporato nel Collegio dei dottori di diritto civile, come membro ordinario.
Se le relazioni e la ricchezza del padre avevano potuto spianargli la strada, è tuttavia giocoforza concludere che il G. doveva anche possedere un'ottima preparazione, valide doti di studioso e indubbia disposizione alla carriera accademica. Infatti - è opportuno sottolinearlo - il suo accesso al Collegio dei dottori di diritto civile si era compiuto in tempi molto brevi, sebbene egli non fosse in rapporto di parentela con alcuno dei membri del Collegio stesso, in un'epoca in cui, per facilitare una carriera, tali rapporti erano pressoché essenziali.
All'insegnamento presso lo Studio cittadino il G. dedicò ininterrottamente la sua attività. A partire dall'ottobre del 1425 fu via via incaricato delle letture straordinarie di ciascuna delle tre parti del Digesto. Nell'ottobre del 1431 passò alle letture più prestigiose, quelle ordinarie delle ore mattutine, prima del Codice, poi ancora delle tre parti del Digesto. Della sua produzione scientifica restano peraltro pochissime tracce. Siamo informati che scrisse due commentari sul Digesto nuovo, ma tali opere non sono, attualmente, individuabili con certezza. Alle lezioni nello Studio il G. affiancò, com'era usuale, l'esercizio dell'attività professionale privata, ma, contrariamente a molti suoi colleghi, in misura del tutto sporadica.
Partecipò assiduamente all'attività del Collegio dei dottori di diritto civile. Sono attestate la sua presenza alle varie sedute, la presentazione di allievi agli esami privati e pubblici, l'assunzione, a turno con gli altri colleghi, della carica di priore, sempre operando - a quanto è dato desumere dalle scarne annotazioni del Liber secretus - in sostanziale accordo con gli indirizzi espressi dalla maggioranza dei componenti il Collegio stesso.
Molto scarse sono le notizie relative alla sua vita privata. Si sa che abitò stabilmente nella casa paterna, nella parrocchia di S. Andrea dei Piatesi. Sposò, non sappiamo quando, Francesca di Guidalotto Mazzi, da cui ebbe sei figli: due femmine, Prudenza e Iacopa, e quattro maschi, Ghislardo, Antonio, Bartolomeo e Stefano. Di essi l'ultimo morì in tenera età, mentre Ghislardo seguì l'esempio paterno e fu a sua volta dottore nello Studio cittadino.
Ancora più ridotte sono le notizie in nostro possesso circa l'attività economica del G., verso la quale sembra aver nutrito, peraltro, uno scarso interesse, come risulta, tra l'altro, dalle dismissioni da lui compiute, di affittanze di terre di enti ecclesiastici, acquisite in precedenza dal padre.
Più impegnativa e continuata fu invece l'attività svolta dal G. in campo politico e amministrativo, come risulta dai numerosi incarichi pubblici che ricoprì, tutti di alto livello e confacenti alla sua qualità di dottore dello Studio. Essa cominciò, per quanto ne sappiamo, a partire dal momento in cui la fazione capeggiata dai Canetoli, che aveva raggiunto il predominio nella città, espulse i propri avversari politici e lo stesso legato pontificio, svincolandosi dal diretto dominio della Sede apostolica e restaurando formalmente le antiche libertà comunali (2 ag. 1428). Il G. aderì infatti al nuovo regime, come prova la circostanza che egli fu anziano per il quartiere di Porta Stiera nel bimestre iniziale del 1429, quando suo padre era uno dei Dieci riformatori dello Stato di libertà (ma si tratta di una coincidenza probabilmente solo fortuita) e gravava su Bologna la minaccia dell'esercito pontificio di Iacopo Caldora, inviato dal papa Martino V a riassoggettare la città ribelle.
Il G. fu di nuovo anziano per il secondo semestre del 1431, allorché la città ricevette e accettò i capitoli della pace concessale da Eugenio IV.
Politicamente molto rilevante fu l'impegno assunto dal G. nel 1434, quando, accanto a Galeotto Canetoli e ad altri esponenti della sua fazione, fu tra i Dieci di balia, il primo organo del governo cittadino. La fazione dei Canetoli, allora prevalente in Bologna con l'appoggio di Filippo Maria Visconti, aveva portato nuovamente la città a uno scontro armato con la Sede apostolica. Gli Anziani avevano fatto imprigionare il governatore pontificio, accusato di intese con Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, condottiero al soldo dei Veneziani, per consegnargli la città.
I Dieci di balia dovettero innanzitutto affrontare, all'esterno, la reazione del Gattamelata, che si era impadronito di Castelbolognese e di Castel San Pietro, e, all'interno, la tensione provocata dagli scontri, sempre più violenti, tra la fazione dei Canetoli e i suoi avversari, che in questo periodo avevano nella famiglia Griffoni i principali esponenti. Per superare tali difficoltà, si accostarono ai Visconti, tanto che la vittoria conseguita alla fine di agosto da Nicolò Piccinino (condottiero del duca di Milano) sugli eserciti messi in campo da Venezia, da Firenze e dal papa venne salutata come una vittoria della città. Tale successo, tuttavia, non fu decisivo. Le forze della lega, riorganizzatesi, ripresero l'iniziativa. Bologna si trovò pericolosamente esposta quando Filippo Maria stipulò una precaria pace con gli avversari, accettando che Bologna tornasse sotto il dominio della Chiesa. I Dieci, informati dallo stesso duca, avviarono immediatamente trattative dirette con Eugenio IV in vista di un accordo: fu pertanto inviata una ambasceria a Firenze, ove il papa si trovava al momento.
Ne fecero parte il G. e Romeo Foscarari, ai quali si aggiunse successivamente Galeotto Canetoli: due membri del Collegio dei dottori di diritto civile - il G. e il Canetoli - e un altro dottore, il Foscarari, da tempo impegnato in missioni diplomatiche. Il 27 sett. 1434 l'accordo venne raggiunto e il papa ottenne nuovamente il pieno dominio sulla città. Il 6 ottobre vi fece il suo ingresso il nuovo governatore pontificio, Daniele da Treviso, accompagnato da vari suoi collaboratori, tra cui Baldassarre Baroncelli (Baldassarre da Offida), il cui nome è legato all'assassinio - commesso il 23 dic. 1435 - di Antonio (Antongaleazzo) Bentivoglio, da poco rientrato in città dall'esilio.
Dopo questo fatto di sangue il G. si schierò dalla parte dei Bentivoglio. Faceva parte del Collegio degli anziani, quando nel settembre del 1438 Raffaello Foscarari, gonfaloniere di Giustizia, rese possibile il ritorno in città di Annibale Bentivoglio, figlio di Antonio. Nel 1441, nel momento in cui Annibale Bentivoglio appariva sempre più vicino ad assumere l'effettiva signoria sulla città, il G. fu nuovamente membro del Collegio degli anziani.
L'ambizioso progetto di Annibale venne bruscamente interrotto nell'ottobre del 1442: Francesco, figlio di Nicolò Piccinino, che a sua volta stava operando per una sua personale signoria sulla città, lo arrestò a tradimento e lo fece imprigionare nella rocca di Varano, nel territorio di Parma. I sostenitori di Annibale posero a rumore la città ma, temendo per la sua vita, non osarono ricorrere alle armi. Fecero tuttavia pressione sugli organi di governo perché sollecitassero la liberazione di Annibale.
Tre ambasciatori vennero inviati a Nicolò Piccinino, che era con il suo esercito presso Assisi, e altri tre, tra i quali il G., vennero inviati a Milano presso Filippo Maria Visconti. Nessuna delle due iniziative sortì effetti positivi; né migliori risultati ottenne un'altra ambasceria inviata successivamente a Milano.
Il colpo di mano con cui il 7 giugno 1443 Galeazzo Marescotti liberò Annibale sconvolse i piani del Piccinino e di Filippo Maria Visconti. Annibale, rientrato in città, vide enormemente accresciuto il proprio prestigio. Poté così raccogliere intorno a sé gran parte delle forze interne e fronteggiare gli assalti portati contro Bologna dalle truppe del Piccinino. Alle azioni militari si affiancarono le iniziative diplomatiche.
Annibale prese contatto con i naturali avversari del Visconti, Venezia e Firenze, sollecitandone l'aiuto: ambascerie vennero inviate quindi nelle due città. Il G. e Melchiorre Malvezzi furono mandati a Firenze. Il 18 giugno fecero ritorno portando un formale trattato di alleanza con quella Repubblica e la promessa del sollecito invio di aiuti militari.
Le sorti dello scontro furono favorevoli alle forze della rinnovata lega antiviscontea, alla quale recarono, si disse, un contributo gli stessi Canetoli, riammessi in città su sollecitazione di Annibale.
Agli inizi del 1444 parve che si potesse giungere, in Bologna, a una forma di convivenza tra le due fazioni da tempo in lotta. La composizione del Collegio degli anziani del primo bimestre rappresenta bene tale situazione: Battista Canetoli, il principale esponente della fazione avversa ai Bentivoglio, ne era il capo, in qualità di gonfaloniere di Giustizia; di parte bentivolesca era invece la maggioranza dei suoi membri, tra cui il Ghislardi. L'accordo, tutt'altro che facile e sicuro, per qualche tempo sembrò reggere. Ne derivò un intensificarsi dell'azione diplomatica volta ad attirare il consenso degli Stati vicini verso quella che si stava profilando come un'effettiva signoria di Annibale. Ai primi di maggio il G., insieme con Giovanni Ludovisi, fu inviato a Ferrara, in rappresentanza del governo bolognese, in occasione del matrimonio di Leonello d'Este con Maria d'Aragona. Nell'autunno fu inviato a Venezia, verosimilmente per completare l'accordo che l'8 settembre aveva portato alla conferma della lega di Venezia, Firenze e Bologna in funzione antiviscontea.
Il G. morì a Venezia il 2 ott. 1444 improvvisamente, senza avere neppure il tempo di dettare il proprio testamento.
Per disposizione delle autorità cittadine il suo corpo venne traslato a Bologna e qui, il 15 ottobre, fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei Servi. Al corteo funebre prese parte, accanto ai rappresentanti dello Studio, della nobiltà e delle arti cittadine, anche Zaccaria Trevisan, ambasciatore della Repubblica veneta. Veniva così pubblicamente evidenziato l'alto significato politico attribuito all'ultimo incarico che il G. aveva ricoperto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune-Governo, Riformatori dello Stato di libertà, Libri mandatorum, reg. 1, c. 2; Ufficio dei memoriali, Provvisori, s. pergamenacea, b. 65, Not. Nicolò Macchiavelli, c. 4; s. cartacea, reg. 786, Not. Cesare Panzacchi, 15 genn. 1444; reg. 794, Not. Andrea da Castagnolo, 29 ott. 1445; Notarile, Not. Rolando Castellani, b. 156, filza 39, doc. 3; Not. Filippo Formaglini, b. 212, reg. 24, c. 135; Not. Lorenzo Pini, b. 240, reg. 6, c. 55v; Studio, Arcidiacono, Liber sapientum, cc. 19v, 25v, 70; Arch. privato Ghisilieri, I, b. 1, doc. 84; Studio Alidosi, reg. 455, c. 17; I rotuli dei dottori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, ad ind.; IV, ibid. 1924, ad ind.; Chartularium Studii Bononiensis, II, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1913, ad ind.; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, III, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1933, ad ind.; "Liber secretus iuris Caesarei" dell'Università di Bologna, a cura di A. Sorbelli, I, Bologna 1938, p. 242; II, ibid. 1942, ad ind.; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 346; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, p. 216; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784, p. 142; A. Sorbelli, Storia dell'Università di Bologna, I, Il Medioevo, Bologna 1940, p. 245; C. Piana, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Quaracchi 1966, pp. 228, 258; Id., Il "Liber secretus iuris Caesarei" dell'Università di Bologna (1451-1500), Milano 1984, ad ind., s.v. Ghislardus de Ghislardis.