GIACCHI, Nicolò
Nacque a Novara il 6 febbr. 1877 da Alfonso, di famiglia di proprietari e professionisti originaria di Sepino (Campobasso), e da Pierina Torelli.
Il padre (Napoli 1845 - Sepino 1916), militare, aveva combattuto a Custoza e pervenne al grado di tenente colonnello; il nonno Michele, senatore dal 1876, ottenne il titolo comitale nel 1890. La madre Piera (o Pierina) era figlia di Giuseppe Torelli, patriota e parlamentare piemontese.
Non imprevedibilmente, il G. scelse la carriera militare. Dopo aver frequentato la scuola militare di Modena, il 6 febbr. 1894 entrò in servizio, il 20 ott. 1895 venne nominato sottotenente (con destinazione al 2° reggimento granatieri) e tenente il 29 dic. 1898, anno in cui il suo reggimento fu destinato alle operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico nel Ferrarese.
Nonostante i legami e le tradizioni familiari, la carriera militare del giovane G. si snodò lentamente. Pur avendo frequentato, dal 1902 al 1905, i corsi della scuola di guerra, prestato servizio nei granatieri, essersi imparentato con una famiglia di militari (il 9 nov. 1907 sposò a Roma Clotilde Mazzitelli) e militato, nel 1911, nel corpo di spedizione in Libia, impiegò quasi dieci anni prima di ottenere la promozione a capitano (1° luglio 1909) e vide le spalline di maggiore solo dopo l'intervento italiano nella prima guerra mondiale (10 ott. 1915).
Il G. però, andava mettendosi in evidenza, fra coetanei e colleghi, per le sue realizzazioni nel campo della storia militare in anni in cui questa particolare branca della storia aveva ancora una funzione rilevante nella formazione culturale dei futuri ufficiali. Per qualche tempo, sino al 1914, egli prestò servizio presso l'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito che, all'epoca, andava organizzandosi e ampliando le proprie raccolte documentarie, nonché acquistando un certo profilo pubblico (redazione di relazioni ufficiali sulle grandi campagne militari risorgimentali, pubblicazione del trimestrale Memorie storiche militari). I primi lavori del G., con l'eccezione di alcune minori collaborazioni, rientrano nel solco della più tradizionale storia militare, cioè quella dei reparti e delle guerre.
Con questo taglio redasse I granatieri di Sardegna nell'impresa libica. Contributo alla storia della brigata (Tivoli 1914), continuazione della più ampia storia dei reparti dei granatieri avviata, per impulso della casa reale, da D. Guerrini.
Lasciato l'Ufficio storico alla fine del 1914, il G. trascorse gli anni della Grande Guerra fra il fronte carsico, quello libico e vari ospedali: rimase, infatti, ferito nell'attacco a Zagora (Plava) del 1915. Nel marzo 1916 fu destinato in Libia, tornando, a domanda, nell'agosto 1917, sul fronte carsico dove, il 9 settembre, venne di nuovo e più seriamente ferito. Nel dopoguerra, prima della smobilitazione finale, ebbe incarichi di un certo rilievo: nel 1919 fu a Fiume e nel 1920 a Innsbruck. Ma, a differenza di altri suoi commilitoni, non ne ricavò grandi vantaggi se, a guerra finita, era ancora colonnello (promosso il 6 genn. 1918). A riscattare una carriera modesta, o quanto meno comune, furono le sue pubblicazioni e il suo profilo di storico militare.
Il G., salvo un paio di casi, non realizzò veri e propri lavori di studio archivistico né si segnalò per innovazioni metodologiche. La sua storia militare, come già accennato, è quanto mai tradizionale (storia delle istituzioni e delle campagne) e incentrata sull'esaltazione della tradizione in cui egli stesso sinceramente credeva, incardinata sulla triade monarchia, esercito e nazione; scrisse più tardi che "gli eserciti sono emanazione dei popoli che li organizzano, studiare quindi un esercito significa studiare la nazione da cui esso proviene" (Appunti di storia militare, p. 15); ma, di fatto, le sue pagine concentrandosi sulla storia delle tradizioni, dei reparti e delle campagne belliche degli eserciti, persero di vista il riflesso che in essi aveva la storia dei "popoli". Rilievo particolare ebbe in lui, proveniente da una famiglia meridionale che aveva preso partito per l'unificazione sotto l'egida sabauda, l'esaltazione della monarchia piemontese, vista come simbolo dell'Unità nazionale e come punto di riferimento (extrapolitico) dell'istituzione militare.
Nel maggio 1925 il G. fu chiamato a comandare l'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, incarico che ricoprì sino al 1931; dal 1929 insegnò anche storia militare presso l'Università di Roma per i corsi speciali voluti, nel 1925, dal regime fascista.
Al momento di assumere la direzione dell'Ufficio storico lo stesso G. aveva presentato la sua nomina come una scelta personale del capo di stato maggiore P. Badoglio, il quale aveva individuato proprio nel G. la persona adatta a stendere una relazione sull'operato militare italiano nella Grande Guerra nella direzione da lui voluta, al fine di "chiudere" definitivamente le pesanti polemiche intervenute intorno all'episodio di Caporetto. In ogni caso il G. si trovò ad avere uno scarso margine di autonomia nell'esercizio delle sue funzioni essendo solo colonnello, mentre i suoi due predecessori erano stati un generale di brigata e un generale di corpo d'armata.
Nel periodo in cui egli resse l'Ufficio storico fu avviata la pubblicazione di un periodico bimestrale Bollettino dell'Ufficio storico di nuova impostazione per l'epoca, e furono editi, in effetti, i primi volumi della Relazione ufficiale italiana sull'Esercito nella Grande Guerra; tuttavia, rispetto agli analoghi uffici militari di altri paesi europei, in Italia si accumularono sostanziosi ritardi sia nella stesura delle relazioni ufficiali sulla guerra mondiale, sia nella professionalizzazione degli studi accademici nello specifico settore della storia militare.
Nei primi mesi dalla sua nomina, forse sinceramente, il G. scriveva: "ritengo altresì che, alla fine del 1928, si sarà potuto condurre a termine l'intera opera". Ma sottovalutava la complessità dell'impresa, i rilevanti problemi politici connessi con quella ricostruzione storica e le vischiosità istituzionali all'interno della stesse forze armate: di fatto il volume relativo a Caporetto sarebbe stato pubblicato solo nel 1968.
Dove il G. ebbe apparentemente maggiore spazio fu invece nel tentativo di apertura della storia militare ufficiale verso l'esterno, stabilendo un più intenso rapporto con la storiografia accademica. La vicenda del Bollettino dell'Ufficio storico è significativa: le sue pagine ospitarono, fra le altre, le firme di R. Morandi, P. Pieri ed E. Michel; e, nella sua presentazione, il G. insisteva sul fatto che "i lavori e gli studi dell'Ufficio non devono essere retaggio di pochi", auspicando di "creare e mantenere un contatto più vivo e fattivo con i principali enti, italiani e stranieri, che si occupano di studi storici". Ma le scelte politiche di fondo (quali quella sull'impostazione della grande relazione), la tradizionale riservatezza del mondo militare e la chiusura agli studiosi civili dei fondi archivistici via via raccolti presso l'Ufficio, finirono per isterilire pure queste aperture. Anche per questo il Bollettino andò perdendo le iniziali collaborazioni "civili", nel 1930 si trasformò in trimestrale e, forse non a caso, sopravvisse di poco alla conclusione dell'incarico del Giacchi.
Nella seconda metà degli anni Venti e nei primi anni Trenta, il G. andò scrivendo e pubblicando le opere che codificarono poi, nelle forze armate, la sua fama di cultore delle tradizioni militari, monarchiche e nazionali. Si trattava di rapide ricostruzioni di storia militare italiana o generale (frutto del suo insegnamento universitario) o di schematiche, brevi introduzioni alla storia nazionale a uso dei coscritti o degli allievi degli istituti militari. In quanto tali, i suoi lavori conobbero una vasta fortuna editoriale e furono più volte ripubblicati.
In essi per lungo tempo il G. resistette a qualsiasi esplicito elogio del fascismo, che anzi nemmeno nominò; solo dopo la guerra d'Etiopia, nelle riedizioni del 1938, B. Mussolini e il fascismo venivano ricordati e moderatamente esaltati; e, non a caso, le sue opere storiche di maggiore impegno si riferiscono a periodi lontani della storia preunitaria, ripercorsa con nazionalistica esaltazione del valore militare degli Italiani.
L'11 dic. 1931, dimesso dall'Ufficio storico, il G. fu promosso generale e nominato ispettore di mobilitazione e comandante di presidio a Genova; nel gennaio 1933 rientrò alla sua brigata granatieri per assumerne il comando, che tenne sino a tutto il 1934; nominato generale di divisione, comandò la divisione di fanteria "Cacciatori delle Alpi". Scoppiato il secondo conflitto mondiale, dopo il declino definitivo delle sorti della guerra fascista, con il 25 luglio 1943 il G. scelse il Regno del Sud, al servizio del quale mise a disposizione le sue "armi".
Ottenne, quindi, alcuni incarichi minori (dal 21 marzo 1944 commissario per la temporanea gestione delle sedi secondarie della legione volontaria "Italia" e "Giulio Cesare" e della legione "Garibaldi", nonché, dal 5 ott. 1944, vicecommissario dell'Unione nazionale ufficiali in congedo). Ma, soprattutto, nel fascicolo del marzo 1945 della rinata Rivista militare il G. pubblicò un saggio, perdurando ancora la guerra, su La penisola italiana come teatro di guerra attraverso la storia; quindi - con una scelta significativa della continuità di certi apparati dello Stato e al tempo stesso di talune arretratezze della ricerca storico-militare nazionale - il ministero della Difesa della nuova Repubblica incaricò ancora il G. di redigere un volumetto a larga diffusione, per celebrare il centenario del 1848, che fu, in certo modo, il suo testamento morale.
Il G. morì a Roma il 7 nov. 1948.
Delle sue molte opere, tutte edite a Roma, si ricordano in particolare: Il libro d'oro del 2° reggimento granatieri, 1921; Corsi d'istruzione coloniale. Appunti di arte militare coloniale, 1922; Appunti di storia militare, 1927; Annuario militare 1928. Sunti storici ed organici delle armi, dei corpi e dei servizi del Regio Esercito. Allegato permanente, aggiornato al 31 marzo 1928, 1928; La campagna del 1849 nell'Alta Italia, a cura del G. e di N. Brancaccio, 1928; Come si è fatta l'Italia. Sintetiche note, 1928; Dal congresso di Vienna alla pace di San Germano (1815-1919). Appunti di storia militare, 1929; Le tradizioni delle forze armate nazionali. Sguardo sintetico, 1930; Gli Italiani in Illiria e nella Venezia, 1813-1814, 1930; L'Ufficio storico. Cenni monografici (con A. Tosti e L. Susani), 1933; Storia dei granatieri di Sardegna, dalle origini a Vittorio Veneto (con T. Latini e A. Rossi), 1933; Quarant'anni coi granatieri di Sardegna (1895-1934). Ricordi, 1940; Gli uomini d'arme italiani nelle campagne napoleoniche, 1940; 1848-1948. Nel centenario, 1948.
Fonti e Bibl.: Guida bibliografica di cultura militare, a cura di L. Susani - A.M. Ghisalberti - A. Drago, Roma 1942, pp. 31, 191; L'Italia e gli Italiani d'oggi, a cura di A. Codignola, Genova 1947, p. 365; O. Bovio, L'Ufficio storico dell'Esercito. Un secolo di storiografia militare, Roma 1987, ad indicem; Chi è? Diz. biogr. degli Italiani d'oggi, 1940 e 1948, s.v.