GIUSTINIAN, Nicolò
Figlio di Pantaleone, che fu conte di Traù e di Sebenico e che morì prima del 1340, nacque a Venezia verso il 1290 e fu detto di S. Pantalon, dal nome della contrada in cui viveva la famiglia, per distinguerlo da un omonimo contemporaneo della parrocchia di S. Giovanni in Bragora.
Intorno al 1333 fu console alla Tana (Azov) e, al ritorno a Venezia, nel corso dello stesso anno, presentò alla Curia ducale il testo di un trattato concluso con l'imperatore dei Tartari. Fu quindi capitano dei balestrieri nella guerra contro Bertrando di San Ginesio, patriarca di Aquileia, che scoppiò quando Pola e Valle in Istria cacciarono i governatori imposti dal patriarca, consegnandosi a Venezia, e si concluse favorevolmente per la Repubblica nel gennaio 1334. In seguito prese parte attiva alle operazioni militari durante le guerre con Mastino (II) Della Scala (1336-39) e con Luigi I d'Angiò re d'Ungheria (1346-48).
Presente a Venezia nel luglio 1349, partecipò ai lavori di una commissione di tre savi incaricati dal Senato di pronunciarsi sull'investitura del castello di Val Mareno a Marino Falier, futuro doge, da parte del vescovo di Ceneda. Membro del Consiglio dei dieci nel 1351 e 1352, fu eletto inquisitore per il mese di novembre 1351 e fra i tre capi del Consiglio stesso nei mesi di gennaio e marzo dell'anno successivo. Ricoprì quindi l'ufficio di signore di notte e, il 28 marzo 1352, venne chiamato a prestare giuramento per l'esercizio della magistratura.
La guerra veneto-genovese (1350-55) lo coinvolse attivamente al servizio della Repubblica e nel 1353 divenne esecutore delle deliberazioni del Consiglio di guerra istituito contro i Genovesi. L'anno seguente fu uno dei sei cittadini veneziani - tre nobili e tre popolani - che, dopo la disfatta di Portolongo (isola della Sapienza nel Peloponneso; 4 nov. 1354), armarono a proprie spese una galera ciascuno per contribuire alla difesa della città minacciata. Alla fine di marzo tre galere, al comando del G., partirono da Venezia con la commissione di restare a custodia del Golfo. Qualche tempo più tardi, da Venezia, gli fu ordinato di inviare una galera a Capo d'Otranto per avere informazioni sui movimenti delle navi avversarie e, in maggio, si dispose che subentrasse nell'ufficio di consigliere ducale a Fantino Morosini, essendo quest'ultimo stato designato ad affiancare il capitano generale del Mare Bernardo Giustinian per sostituirlo in caso di necessità.
Dopo la conclusione della guerra con Genova, ritroviamo il G. fra i testimoni della cessione del castello di Scardona, in Dalmazia, il 10 genn. 1356 e, se di lui si tratta, nell'ufficio di capo del sestiere di Castello in cui venne però sostituito da Francesco Morosini l'8 febbr. 1356.
Nell'estate del 1356 il re d'Ungheria Luigi I riuscì a penetrare in Dalmazia aprendosi la strada alla volta dell'Italia dove si spinse fino ad assediare Treviso. In questa circostanza il G. ebbe nuovamente parte attiva nella custodia di questa città e fu nominato fra i provveditori alla Difesa delle lagune. Il 18 ag. 1356 divenne procuratore di S. Marco e, in tale veste, fu uno degli ambasciatori inviati incontro al nuovo doge Giovanni Dolfin che, eletto mentre ancora si trovava come provveditore in campo a Treviso assediata dagli Ungheresi, era riuscito a ritornare a Venezia. Fu quindi uno dei cinque savi incaricati di accrescere le entrate del Comune e diminuire le spese pubbliche. Il 7 febbr. 1357 ebbe di nuovo un incarico militare assumendo il comando di quattro galere inviate a Zara e nel 1358, dopo la conclusione della pace con l'Ungheria, fece parte della commissione di dieci savi incaricati di proporre una soluzione per tenere Treviso con l'assenso dell'imperatore Carlo IV.
La sua presenza a Venezia è quindi attestata per l'11 maggio 1358, quando venne incaricato dal doge Dolfin di esigere nella sua qualità di procuratore di S. Marco una somma di denaro da Marco Contarini e, di nuovo, da altri atti amministrativi di aprile e maggio del 1359 allorché ricevette un deposito per conto di Cangrande Della Scala. Nel 1360 fece parte di una commissione di dieci savi incaricata di esaminare i rapporti con la S. Sede e di nuovo, l'anno successivo, di una commissione di cinque savi destinata all'esame delle richieste presentate dagli ambasciatori genovesi.
Nella prima metà dello stesso anno, insieme con Francesco Bembo, si recò inoltre in missione diplomatica a Costantinopoli presso l'imperatore Giovanni V Paleologo. Il sovrano bizantino il 9 giugno 1361 scrisse al doge Dolfin elogiando l'attività degli ambasciatori di Venezia e impegnandosi a sua volta a inviare una sua legazione nella città lagunare, cosa che avrebbe fatto l'anno successivo. Al ritorno in patria, il G. fu nuovamente scelto per un'ambasceria, questa volta ad Ancona presso il legato apostolico cardinale Egidio Albornoz e, intorno alla metà di novembre, rientrò a Venezia dove riferì in Senato circa le modalità che erano state definite per il trasporto delle vettovaglie in Romagna e a Bologna con il permesso di Venezia.
Dopo l'inizio della ribellione dei feudatari di Creta, nel 1363, fece parte del Collegio di savi che ebbero il compito di esaminare la materia e, in seguito, fu uno dei cinque provveditori destinati ad affiancare il capitano del Golfo Domenico Michiel nella repressione del moto insurrezionale. Le forze terrestri e marittime di Venezia lasciarono la città il 10 apr. 1364 approdando nei primi giorni di maggio nel porto di Fraschia e, in breve tempo, la ribellione venne domata.
La repressione operata dai provveditori veneziani fu rigorosa e il G. con i suoi colleghi nell'ufficio adottò diversi provvedimenti volti a riportare l'ordine nell'isola. La sua presenza a Creta nell'esercizio della funzione di provveditore è ancora attestata da un documento del 4 nov. 1364.
Nel luglio dell'anno successivo il G. si trovava sicuramente a Venezia dove fece parte del Collegio dei quarantuno che elesse il doge Marco Corner. Fu quindi uno degli elettori del successivo doge Andrea Contarini, che fu eletto il 20 genn. 1368. Nel maggio dello stesso anno venne inviato come ambasciatore presso papa Urbano V e, in giugno, insieme con Pietro Marcello, assolse di nuovo una missione diplomatica, presso il sultano di Egitto, per riscattare i mercanti veneziani che vi erano tenuti prigionieri.
Tornato in patria, morì di lì a poco, nel 1370, all'età di ottant'anni.
Era stato insignito tra l'altro della dignità di cavaliere, che gli fu forse accordata nel 1339. Sposò Maria Morosini da cui ebbe quattro figli maschi: Giovanni ucciso a Candia dai ribelli nel 1365, Bertuccio, Tommaso e Micheletto. Tra i suoi fratelli si ricordano Michele, che combatté valorosamente durante la guerra di Chioggia, e Pietro che fu governatore di galere.
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