NICOLÒ JAMSILLA
L'importante cronaca dedicata alle vicende meridionali dal 1210 al 1258, tramandata da numerosi codici, il più antico dei quali è il ms. IX C 24 della Biblioteca Nazionale di Napoli del sec. XV, si presenta adespota e anepigrafa. Le intitolazioni date nella tradizione manoscritta appaiono, infatti, desunte dal contenuto dell'Historia, pubblicata per la prima volta come opera di anonimo da Ferdinando Ughelli nel 1662.
Il nome di N. fu attribuito all'autore dello scritto da Muratori, sulla scorta del manoscritto utilizzato per l'edizione nei Rerum Italicarum Scriptores. I dubbi sull'identità del cronista, successivamente avanzati dalla scuola storica tedesca e dagli italiani Capasso e Balzani, si basarono sulla constatazione che nell'età sveva non compare alcun Jamsilla; piuttosto, in epoca angioina, è attestata la famiglia Joinville, venuta in Italia al seguito di Carlo I, un cui esponente possedette un manoscritto dell'Historia. Il nome Jamsilla, quindi, non apparteneva all'autore, ma al proprietario di un codice dell'opera. Nel 1871 Schirrmacher tentò l'identificazione del cronista col notaio Nicola da Brindisi, mentre Capasso si orientò su Nicola da Rocca. Le ipotesi si basavano sulla convinzione, condivisa da tutta la critica posteriore, che lo scrittore fosse un notaio, familiare di Manfredi e ampiamente documentato sulle vicende del 1250-1258. Nel 1898 Karst, riesaminata criticamente la questione, fece il nome di Goffredo di Cosenza, che, generalmente condiviso, fu messo in dubbio specialmente da Fuiano nel 1950. Recentemente Delle Donne si è nuovamente concentrato su Nicola da Rocca. L'identificazione di Karst rimane, comunque, la più documentata e potrà essere contraddetta solo se emergeranno nuovi dati di fatto, anche perché le divergenze tra gli studiosi si sono limitate solo a una questione di nomi, non alle fondamentali linee della personalità dello scrittore, uomo molto vicino a Manfredi e addentro alle questioni politiche e diplomatiche affrontate nella Curia regia.
L'Historia, che si prospetta come un appassionato e quasi ufficiale resoconto dei comportamenti di Manfredi durante i difficili rapporti col papato e le forze del Regno negli anni 1254-1256, cui sono dedicati oltre i tre quarti della narrazione, offre un decisivo contributo per la chiarificazione degli atteggiamenti del principe nei confronti dei pontefici, del baronaggio e delle città, che agirono da protagonisti nel meridione d'Italia nella seconda metà del XIII sec., e si pone come testimonianza fondamentale per valutare l'eventuale dipendenza degli ambienti dell'ultimo Svevo dall'età di Federico. In effetti, la stessa presenza della cronaca, chiaramente ispirata da Manfredi per presentare al papato e ai sudditi come esemplare la sua condotta durante anni molto difficili, marca una netta differenziazione rispetto ai programmi di Federico II, mai interessato al tramite cronachistico per propagandare la sua missione imperiale. Il principe, invece, attraverso le pagine di N., mostrava particolare attenzione alle trattative coi pontefici (Innocenzo IV e Alessandro IV), all'incontro-scontro con i grandi baroni (Lancia, Hohenburg, Pietro Ruffo) e al confronto con le realtà cittadine. Tutta la cronaca è costruita per lumeggiare questi aspetti, senza che si possa riscontrare in essa il minimo accenno alle importanti questioni che coinvolgevano Manfredi fuori del Mezzogiorno. Il messaggio del cronista è molto chiaro: al suo sovrano premeva solo il Regno; l'ultimo Svevo non aveva mire al di fuori di esso e aspirava soltanto alla pacificazione dell'entità statuale direttamente controllata, disinteressandosi totalmente all'eredità imperiale paterna. Il tono pacato e sereno della narrazione, che si conclude con l'incoronazione palermitana di Manfredi dell'agosto 1258, permette, inoltre, di fissare le coordinate temporali della cronaca con un'approssimazione maggiore rispetto a quella generalmente accettata, che fa riferimento agli anni 1258-1266. L'opera vide ragionevolmente la luce in un periodo di assoluta certezza e di fervide speranze per Manfredi: negli anni 1261-1263, forse intorno al novembre del 1262, quando il re di Sicilia giunse quasi a un accordo con papa Urbano IV.
Il riconoscimento nella cronaca del primato, almeno formale, della Chiesa nel Regno, oltre a sottolineare il distacco dagli anni di Federico, introduce l'importante concetto di un Mezzogiorno nuovamente basato sulla struttura feudale: i Lancia, gli energici parenti di Manfredi, appaiono i garanti di un ordine fondato sulla nobiltà di sangue; è ammessa l'autorità di Bertoldo di Hohenburg, esecrato solo per i tradimenti nei confronti dello Svevo; viene esaltato il potere di Pietro Ruffo, quando il suo prestigio appare insidiato dalle velleità libertarie di Messina. I Lancia hanno nel-l'Historia una posizione centrale: Galvano si segnala per l'equilibrio e l'accortezza dei suoi suggerimenti e divide con Manfredi decisive responsabilità di governo, Manfredi e Federico Lancia rivestono importanti incarichi. La descrizione dei meriti della casata appare finalizzata al brano più rilevante della cronaca a essa dedicato, in cui è detto esplicitamente che la fedeltà dei Lancia è meritevole di un consistente compenso in feudi. Per N. e per Manfredi, che ne ispira ogni affermazione, gli uomini, a differenza di quanto pensava Federico II, devono essere valutati secondo la nobiltà delle origini. Il cronista non rifiuta esplicitamente i dettami fridericiani, ma, evidenziando nel racconto del tradimento di Giovanni Moro le umili origini del "servus niger" elevato dall'imperatore ad alti incarichi, indica nella riconversione feudale del Regno la più positiva novità introdotta da Manfredi per ricollocare politicamente e socialmente il Regno nel contesto culturale contemporaneo. Dalle pagine dell'Historia scaturisce, pertanto, una visione rigidamente gerarchica che, rivalutando definitivamente il ruolo della feudalità, permette di vagliare anche un altro aspetto non secondario dello scritto: l'atteggiamento verso le città. Esse sono viste con simpatia, quando i loro ceti dirigenti accettano la supremazia di Manfredi e dei feudatari, ma sono esecrate, anche con toni beffardi, quando, come nel caso di Messina, vogliono attingere libertà comunali e opporre alla nobiltà di sangue un'aristocrazia cittadina.
La visione di una società che riscopre i suoi valori nel credito concesso alla vera nobiltà, che sola ha il diritto di muovere le fila della politica, consente di valutare fino in fondo il peso e l'entità della cronaca, sommamente preziosa, oltre che per la più documentata comprensione della lotta politica nel Mezzogiorno manfrediano, soprattutto per la conoscenza del mutamento dei parametri ideologici e culturali in corso negli anni 1250-1266, certamente non dimessa appendice della solare epoca di Federico II, ma momento durante il quale, ancora prima dell'esperienza angioina, si va fondando un Regno armonicamente inserito nella Respublica Christiana. Tali aspetti appaiono in luce più limpida se si esaminano gli schemi culturali di N., dalla cui opera emerge la drammatica crisi d'identità dell'intellettuale regnicolo alla metà del XIII sec., che si trovava da un lato a fare i conti con l'eredità fridericiana, dall'altro ad approntare diversi strumenti o, comunque, a modificare gli strumenti culturali a disposizione, per conciliarli con la mutata realtà del Mezzogiorno, nuovamente inserito in una logica feudale che prevedeva la sottomissione al pontefice e la riforma, di fatto, delle strutture del Regno. Il cronista, allora, s'impegnò a estrarre e valorizzare dal complesso della dottrina politica di Federico solo le parti ancora utili, che vennero integrate, ricevendo nuova luce, da apporti desunti dai Libri Morales di Aristotele, dal Policraticus di Giovanni di Salisbury, dal De principis instructione liber di Giraldo di Cambria. Del nucleo dell'ideologia di Federico risultano, insomma, trascurate nella cronaca le sezioni che avevano circostanziato l'essenza del potere imperiale e sottolineati, invece, gli aspetti, di ascendenza agostiniana, che potevano, nel più grande rispetto di una tradizione feudale, adattarsi anche a un principe interessato solo al Regnum Sicilie. L'enorme sforzo di adeguamento degli strumenti ideologici e politici della corte di Manfredi alle esigenze scaturite dalla vitale necessità di accordo con il papa, tuttavia, non indusse il principe e i suoi intellettuali alla negazione esplicita dell'eredità di Federico II. In tale indecisione di fondo, nell'infondata speranza che il pontefice volesse leggere tra le righe della condotta politica del Regno, per coglierne l'autentica vocazione filopapale, sostanzialmente estranea a ogni velleità universalistica, risiede la profonda contraddizione non solo dell'Historia, considerata come documento privilegiato di un ambiente politico e culturale, ma di tutto il periodo di Manfredi, il quale non seppe scegliere un ruolo definito tra quello di erede svevo e l'altro di sovrano guelfo, fermamente e lealmente schierato sulle posizioni politiche della Curia pontificia.
N. appare, in definitiva, testimone di un decisivo momento di svolta nella storia del Mezzogiorno d'Italia e della Sicilia, caratterizzato da una profonda crisi delle istituzioni e da un complesso travaglio culturale. Attraverso la sua pagina consente di valutare gli elementi di malessere sociale e d'impazienza politica posti alle origini dei sostanziali rivolgimenti che avrebbero caratterizzato a lungo le due parti separate dell'antico Regno svevo.
Fonti e Bibl.: manoscritti: O. Cartellieri, Reise nach Italien im Jahre 1899, "Neues Archiv", 26, 1901, pp. 679-706; A. Nitschke, Die Handschriften des sog. Nikolaus von Jamsilla, "Deutsches Archiv", 10, 1954, pp. 233-238; G. Resta, Per il testo di Malaterra e di altre cronache meridionali, Reggio Calabria 1964, p. 25; F. Giunta, Brevi cronache sul medioevo napoletano, in Id., Medioevo e medievisti, Caltanissetta-Roma 1971, pp. 107-108. Edizioni: F. Ughelli, Italia Sacra, IX, Romae 1662, coll. 751-888 (nuova ediz. a cura di N. Coleti, X, Venetiis 1722, coll. 561-630); G.B. Caruso, Bibliotheca historica Regni Siciliae, II, Panormi 1723, pp. 674-818; J.G. Eckhart, Corpus historicorum Medii Aevi, I, Lipsiae 1723, coll. 1025-1148; la migliore edizione attualmente disponibile è: Nicola di Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris ejusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum ab anno MCCX usque ad MCCLVIII, in R.I.S., VIII, 1726, coll. 493-583, riprodotta, ma con errori di stampa, da G. Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'Istoria generale del Regno di Napoli, XI, Napoli 1770, pp. 167-292 e da G. Del Re, Scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, II, Napoli 1868, pp. 101-200 (con trad. it. a cura di S. Gatti): cf. Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, VIII, Roma 1998, pp. 209-210. È imminente l'edizione critica per M.G.H., a cura di W. Koller. A. Karst, Über den sogenannten Jamsilla, "Historisches Jahrbuch", 19, 1898, pp. 1-28; B. Capasso, Le fonti della storia delle province napoletane dal 568 al 1500, a cura di E.O. Mastrojanni, Napoli 1902, pp. 106-107; M. Fuiano, Niccolò Jamsilla, "Atti dell'Accademia Pontaniana", n. ser., 3, 19491950, pp. 327-346 (poi in Id., Studi di storiografia medievale, Napoli 1960, pp. 199-233 e, infine, in Id., Studi di storiografia medievale e umanistica, ivi 1975, pp. 197-229); Id., Vicende politiche e classi sociali in Puglia dopo la morte di Federico II nelle cronache del cosiddetto Jamsilla e di Saba Malaspina, "Archivio Storico Pugliese", 30, 1977, pp. 155-167; P.F. Palumbo, Medio Evo meridionale. Fonti e letteratura storica dalle invasioni alla fine del periodo aragonese, Roma 1978, pp. 86-88; E. Pispisa, Nicolò di Jamsilla. Un intellettuale alla corte di Manfredi, Soveria Mannelli 1984 (con altre indicazioni bibliografiche); F. Tateo, L'immagine del potere svevo nella letteratura meridionale, in Potere, società e popolo nell'età sveva. Atti delle seste giornate normanno-sveve, Bari 1985, pp. 256-259; E. Pispisa, Il regno di Manfredi. Proposte di interpretazione, Messina 1991, ad indicem per Jamsilla e Goffredo di Cosenza; L. Gatto, Sicilia e siciliani nell'opera di Jamsilla, in Id., Sicilia medievale, Roma 1992, pp. 93-108; G. Ortalli, Federico II e la cronachistica cittadina: dalla coscienza al mito, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 249-251; E. Pispisa, Profilo di Nicolò di Jamsilla, in Id., Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, pp. 145-170; M. Thumser, Der König und sein Chronist. Manfred von Sizilien in der Chronik des sogenannten Nikolaus von Jamsilla, in Die Reichskleinoden: Herrschaftszeichen des Heiligen Römischen Reiches, Göppingen 1997, pp. 222-242; F. Delle Donne, La cultura di Federico II: genesi di un mito. Il valore della memoria e della philosophia nell'Historiadello pseudo-Jamsilla, in Id., Politica e letteratura nel Mezzogiorno medievale, Salerno 2001, pp. 75-109; E. Pispisa, Il concetto di nobiltà nel regno di Sicilia da Federico II a Manfredi, in corso di stampa negli Studi in onore di Cosimo Damiano Fonseca.