MARCELLO, Nicolò
Figlio di Giovanni di Bernardo, del ricco e prestigioso ramo di S. Marina, e della sua prima moglie, di cui è noto solo il nome, Maria, nacque a Venezia nel 1397. Ebbe un fratello gemello, Bernardo.
Da giovane esercitò la mercatura, secondo una prassi ben radicata nella società veneziana medioevale, e soggiornò lungamente a Damasco; quindi, nel 1427 sposò Bianca Barbarigo di Francesco di Pietro. Rimasto vedovo, nel 1438 contrasse nuove nozze con Contarina Contarini di Donato, vedova di Francesco Mocenigo di Lazzaro: neppure questo matrimonio diede al M. figli maschi.
L'esordio della sua carriera politica coincide con l'anno del secondo matrimonio, che probabilmente costituì una svolta nella vita del M., in precedenza assorbita dall'attività mercantile: il 22 giugno 1438 fu eletto ufficiale alla Dogana da Mar, quindi (13 maggio 1440) alle Rason novissime. Si trattava, in entrambi i casi, di espletare funzioni amministrativo-giudiziarie legate prevalentemente al mondo del commercio facente capo all'emporio di Rialto; poi un balzo decisivo: il 16 luglio 1441 fu nominato bailo a Trebisonda, sul Mar Nero, dove si sarebbe recato solo un anno dopo.
Nel corso del lungo viaggio, per giungere a destinazione il M. fece sosta a Costantinopoli, dove il 19 sett. 1442 figura tra i testimoni dei patti tra Venezia e l'imperatore Giovanni VIII Paleologo.
I traffici veneziani non furono mai intensi in quell'area, dov'era preponderante la presenza genovese, apertamente favorita dai dinasti locali; nella prima metà del XV secolo i commerci veneziani conobbero tuttavia una significativa ripresa, come documenta la relazione presentata in Senato dal M. al termine della sua missione (Karpov, p. 108).
Rimpatriato nella primavera del 1445 (anno in cui morì il padre), il 19 dicembre il M. entrò tra i giudici alle Rason vecchie e il 14 apr. 1448 fu eletto podestà e capitano a Feltre; era in corso l'ultima guerra con Milano, ma le operazioni coinvolsero solo marginalmente la fascia prealpina, sicché i problemi del M. si ridussero in pratica ad assicurare rifornimenti di guastatori e legname.
Al termine del mandato, il 14 marzo 1450 fu eletto senatore, quindi, a riprova della disinvolta alternanza di ruoli e funzioni che fu caratteristica del patriziato lagunare, il 26 luglio dello stesso anno ottenne il comando della "muda" di Beirut: probabilmente un incarico sollecitato dallo stesso M., che in gioventù aveva praticato a lungo la mercatura nei fondaci siriaci delle spezie.
Il M. aveva ormai accumulato meriti ed esperienza per aspirare al Collegio, ma dal saviato lo escludeva l'assidua presenza di un Andrea Marcello di Vettore, più anziano di lui; le leggi della Serenissima vietavano, infatti, che nei massimi organi istituzionali entrasse più di un esponente per ogni casata. Non gli restavano pertanto che gli incarichi esterni, e il 27 dic. 1451 accettò la nomina a podestà di Treviso, dove fece la sua entrata nel febbraio 1452. Il 26 agosto ottenne il permesso di rientrare per qualche giorno a Venezia, in occasione dell'ingresso dell'unica sua figlia nel monastero del Corpus Domini; quindi, al termine del rettorato, il 1° ott. 1453 entrò a far parte del Minor Consiglio come consigliere ducale del sestiere di Castello e il 6 dicembre fu cooptato nella zonta del Consiglio dei dieci per la revisione dell'Estimo cittadino.
Poi, in rapida successione, ancora due incarichi esterni: podestà a Brescia, la più vasta e ricca provincia di Terraferma (l'elezione è del 25 luglio 1454, quella del suo successore, Bernardo Bragadin, del 13 luglio 1455); quindi fu eletto podestà a Verona il 27 giugno 1456, reggimento del pari prestigioso dove ebbe per collega in qualità di capitano l'umanista Ludovico Foscarini; a un altro letterato, Battista Guarini, si deve l'orazione di commiato, recitata all'inizio del 1458. Qualche settimana prima della partenza per Verona, il 24 luglio 1456 il M. fu chiamato a far parte della zonta del Consiglio dei dieci che avrebbe espresso l'ultima definitiva condanna del figlio del doge, lo sventurato Jacopo Foscari; e ancora fu eletto membro del Consiglio dei dieci per poco più di un mese dopo il ritorno dalla podestaria veronese (l'elezione al tribunale supremo risaliva al 5 marzo 1457), dopo di che potè finalmente entrare nel Collegio come savio di Terraferma, benché per pochissimo tempo, quasi simbolicamente: dal 27 marzo al 30 apr. 1458.
Quindi un fitto succedersi di incarichi, taluni dei quali rifiutati, a cominciare dall'ambasceria straordinaria a Napoli per la composizione di alcune vertenze e in seguito al riconoscimento da parte di Pio II dell'assunzione al trono di Ferdinando I d'Aragona (avvenuta il 2 ott. 1458); quindi provveditore sopra le Camere (5 nov. 1458); governatore delle Entrate (29 apr. 1459); cooptato nella zonta del Consiglio dei dieci (2 genn. 1460) per deliberare sulla condotta da tenere alla Dieta di Mantova, promossa dal pontefice in funzione antiturca; successivamente (7 settembre) membro egli stesso del prestigioso Consiglio; poi (17 genn. 1461) nuovamente consigliere per il sestiere di Castello e, allo scadere della carica, capitano di Verona (6 ott. 1461).
Tornava a Verona come rappresentante della Serenissima e a questo rettorato ne sarebbe seguito a breve termine un altro, l'ultimo: luogotenente della Patria del Friuli, intrapreso dopo pochi mesi trascorsi a Venezia, tra il settembre 1463 e il marzo 1464, mese in cui prese possesso del nuovo reggimento.
La Repubblica era impegnata nella guerra contro i Turchi in Morea, mentre si erano da poco concluse le operazioni contro Trieste, controllata dai duchi d'Austria, causate da alcune controversie doganali con i sudditi istriani; l'azione del M. fu principalmente rivolta a mantenere efficienti le strutture militari sull'Isonzo, dove andava via via crescendo la minaccia ottomana.
Nuovamente in patria, il 19 nov. 1465 entrò a far parte dei savi deputati al rifacimento dell'Estimo, quindi, il 13 marzo 1466, ricevette il riconoscimento del lungo servizio prestato con l'elezione a procuratore de supra, i cui compiti riguardavano essenzialmente la gestione del patrimonio della basilica marciana.
Non si sarebbe allontanato più da Venezia, dove avrebbe alternato le funzioni di rappresentanza inerenti alla dignità procuratoria con cariche di natura finanziaria o concernenti la politica estera: il 14 sett. 1468 prese parte alla solenne processione per il ritrovamento, nel Tesoro di S. Marco, di una cassetta contenente un chiodo della Croce; il 7 febbr. 1469 fece parte della delegazione incaricata di accogliere a Venezia con il bucintoro l'imperatore Federico III, quindi fu savio del Consiglio per il primo semestre del 1470 e successivamente provveditore all'Arsenale; savio alla riscossione dei Pubblici Debiti (2 febbr. 1471), il 20 agosto fu eletto ambasciatore d'obbedienza al pontefice Sisto IV, ma rifiutò; accettò invece di rappresentare la Repubblica in occasione delle nozze del duca di Ferrara, Ercole I d'Este, con Eleonora d'Aragona figlia del re di Napoli, avvenute nel 1473.
Eletto nella rosa dei 41 grandi elettori in seguito alla morte del doge Nicolò Tron, quattro giorni dopo, il 13 ag. 1473, risultò eletto alla massima carica della Serenissima, che avrebbe tenuto per poco più di un anno: morì infatti, in seguito a un malore occorsogli durante la processione per il conferimento del comando dell'armata marittima ad Antonio Loredan, il 1° dic. 1474.
Le cronache del tempo sono concordi nel giudicare positivamente il dogato del M., che, pur essendo amante del fasto (fu lui il primo doge a vestire tutto d'oro durante le cerimonie e a volere che le trombe fossero d'argento), varò una manovra per risanare le pubbliche finanze, coniando anche una nuova moneta destinata a grande fortuna: la mezza lira d'argento che da lui prese il nome di "marcello". Le fonti gli attribuiscono inoltre notevole generosità (non avendo avuto discendenza diretta, lasciò ai poveri buona parte delle sue sostanze), umanità, spirito di servizio e sensibilità religiosa. L'orazione recitata in occasione del suo funerale, che si svolse nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, fu tenuta dal nipote, il dottore Domenico Bollani, ma anche l'umanista Ermolao Barbaro volle dedicare alla memoria del M. analogo scritto. Nella stessa chiesa si trova il suo monumento, opera di Pietro Lombardo, che in origine stava a S. Marina, da dove fu rimosso dopo la sconsacrazione della chiesa, avvenuta nel 1818; la sepoltura dovrebbe trovarsi nella certosa di S. Andrea, dove sin dal 1451 il M. si era fatto erigere una tomba con iscrizione, ma la questione è controversa.
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