NICOLO Pisano
NICOLÒ Pisano. – Figlio di Bartolomeo, conosciuto anche come Nicolò de Pisis, Nicolò dell’Abbrugia e Nicolò di Bartolomeo di Nanni (il cognome Corasseri compare solo nel 1493), nacque nel 1470 a Pisa, dove fu battezzato il 15 marzo (Ferretti, 1984, p. 260, n. 30).
Per quanto cominciata e finita nella stessa città, la sua carriera si svolse lungo un diverso itinerario, rivelatore delle dinamiche artistiche che attraversarono il crinale appenninico tra fine Quattrocento e primi decenni del Cinquecento. Tali circostanze contribuirono a ritardarne la conoscenza: ignoto a Vasari e oggetto di equivoci onomastici, è artista messo a fuoco in tempi relativamente recenti, grazie agli apporti della connoisseurship, che si è servita delle informazioni d’archivio già da tempo affiorate a Pisa, Ferrara, Bologna.
La prima notizia pisana è del 4 aprile 1489 (Tanfani Centofanti, 1897, p. 398), mentre la prima opera superstite risale al 1493 ed è l’altare per le monache di S. Matteo, oggi al Museo nazionale di Pisa (Ferretti, 1984). Nel corso del 1495 è pagato per le «figure da basso» della tribuna del duomo: lavoro in precedenza condotto da Domenico Ghirlandaio e, dopo la morte, dalla sua bottega, in vista del quale, a febbraio, Nicolò comprò da Benozzo Gozzoli otto once d’«azzurro fine». È l’ultima notizia di Gozzoli a Pisa: già all’inizio dell’anno i cittadini di Firenze erano stati banditi dalla città, ribellatasi al quasi secolare dominio. Sia il passaggio di consegne nel lavoro in duomo, sia gli svolgimenti successivi della carriera di Nicolò andranno visti nel quadro della guerra che per quindici anni oppose le due città toscane. Tant’è che subito dopo quel lavoro non incontriamo Nicolò a Pisa, ma in centri vicini: prima a Lucca, dove il 15 luglio 1496, in casa di Vincenzo Frediani, gli viene liquidata ogni spettanza per lavori condotti assieme a questo pittore (Fanucci Lovitch, 1991, p. 222); poi a Pietrasanta, dove all’inizio del 1497 ricevette il saldo per due storie ad affresco e altre cose dipinte in cattedrale in compagnia di Girolamo Petrini, pittore del posto di cui non si conoscono opere (Milanesi, 1901).
Il 21 marzo 1499 gli venne steso il contratto per lavori nella tribuna del duomo a Ferrara, dove non doveva essere arrivato da molto (abitava in casa del collega Fino Marsigli). L’impegno era assunto «una cum» Lorenzo Costa e un pittore modenese di cui non è registrato il nome (Franceschini, 1997, n. 439). Altre attestazioni ferraresi cadono il 5 gennaio 1501, quando acquistò colori per un «uno quadro» destinato ad Ercole d’Este (ibid., n. 538y); il 5 aprile 1502, quando ricevette acconto dell’ancona per suor Lucia da Narni, in S. Caterina (ibid., n. 707 d,i,l,n). Negli anni successivi lavorò in più occasioni per la corte. Nel 1503, con Mariano Mariani, nel camerino da musica e, da solo, nel camerino di marmo di Alfonso d’Este, che nel 1504 gli affidò l’ancona per S. Maria delle Grazie; nel 1506 fece parte di un gruppo di pittori (fra cui Garofalo, Ortolano, Mazzolino) che dipinsero le tele per il soffitto della stanza della duchessa (ibid., ad ind.; ma per il lavoro del 1506 anche Ballarin, 2002-07, III, pp. 57 s.; IV, pp. 141, 158). Nel frattempo, nell’ottobre 1505, veniva pagato per le decorazioni dipinte nell’oratorio di S. Maria del Salice assieme a Fino Marsigli e Gabriele Bonaccioli (Franceschini, 1997, n. 768d). Confermano la continuità della sua presenza a Ferrara alcuni pagamenti del 1509 (ibid., n. 884d, f). All’inizio del 1512 sottoscrisse il contratto per la tavola oggi a Brera, in origine all’altar maggiore della chiesa dei Battuti Neri, conclusa due anni dopo (ibid., nn. 985c,f,g,h, 1075g). Nel 1521 era ancora a Ferrara.
Il 2 luglio 1526 è detto abitante a Budrio, in territorio bolognese, mentre in un altro atto dello stesso anno figura come «civis Ferrarie», ma «habitator Bononie». Come «pictor bononiensis» è ormai indicato nel contratto con cui il 14 aprile 1534 s’impegna a dipingere l’altare di Annibale Gozzadini in S. Giovanni in Monte. Diverse opere confermano che fra il terzo e quarto decennio si era stabilito a Bologna, città della moglie, Lucrezia Bonfaini; la casa e la terra di Gaibola da lei portate in dote nel novembre 1506 (ibid., n. 826) dovevano aver tenuto vivo il legame.
A marzo e aprile 1535 venne pagato per decorazioni effimere dipinte in occasione della venuta a Pisa di Alessandro de’ Medici (Bacci, 1922). In quell’anno e nei due successivi cadono i pagamenti di tre dipinti per il duomo: la Punizione dei figli di Aronne, ancora in loco (Supino, 1916, pp. 5 s.); l’Abramo ed Isacco, che di lì a poco fu sostituito con quello di Sodoma; quello per l’altare dei Ss. Giovanni e Giorgio. In questo caso gli vennero abbonate le 70 lire già ricevute perché «non parve» all’operaio del duomo che «la dovesse finire» (Venturi, 1929, p. 349), come se Nicolò stesse per mancare.
Non si conosce la data di morte di Nicolò che è ricordato per l’ultima volta a Pisa il 15 aprile 1536 (ibid.).
Riprendendo dall’inizio la sua vicenda artistica, l’identificazione dell’altare del 1493 ha rivelato che Nicolò non era cresciuto nell’orbita fiorentina. Prevale in quest’opera quel fondo culturale che, in precedenza, aveva fatto avviare la ricostruzione (Fahy, 1976, pp. 188 s.) di un anonimo «Pisan follower of Pintoricchio» e che, in seguito, giustifica la presenza nel repertorio umbro di Todini (1989) di un (troppo estensivo) elenco delle sue opere giovanili. Occorre pensare che Nicolò avesse esordito altrove, verosimilmente a Roma. Lo conferma il rapporto con Filippino Lippi, lì attivo a fine anni Ottanta, che emerge nella Sacra Famiglia con s. Giovannino (già Parigi, coll. Sedelmayer), già presente nella lista di Fahy (1976). La buona riproduzione di Sambo (1995, pp. 94 s.) consente di pensarla dipinta subito prima dell’altare del 1493. L’inscenatura stretta e spiovente delle figure laterali fa avvertire qualche affinità, forse più che con Bartolomeo della Gatta (ibid.), con l’affine irraggiamento che si diffonde verso Siena e Volterra. Nel S. Giovanni dell’altare del 1493 c’è poi, seppur limitato, un accostamento a Ghirlandaio, e non a quello più remoto delle due tavole superstiti a Pisa: un’acquisizione dell’ultim’ora, per Nicolò, possibilmente destinata a consolidarsi di lì a poco, nella Lucca di Michelangelo di Pietro. Entro un quadro indiziario orientato in tale direzione si può cautamente tentare di riconoscere l’aspetto di Nicolò sul 1495 o immediatamente dopo nel tondo con Cristo in Pietà delle monache domenicane di Pisa (De Simone, 2003-06).
Nella Ferrara in cui pochi anni dopo ritroviamo Nicolò era in corso un grande avvicendamento: Ercole de’ Roberti era morto nel 1496 e nella primavera dell’anno successivo era giunto da Cremona Boccaccio Boccaccino, per rimanervi fin verso il febbraio del 1500. Per tutto il primo decennio non conosciamo opere di Nicolò che abbiano appigli documentari; ed anche le nostre conoscenze sulla pittura di quel momento a Ferrara sono lacerate. Pur con qualche margine d’incertezza, le induzioni attributive maturate a partire dall’Officina ferrarese di Longhi (1934) hanno restituito un percorso di Nicolò abbastanza ricco e sostanzialmente attendibile. Per ricostruire l’esordio a Ferrara si è rivelata determinante la restituzione (Volpe, 1979) dell’Adorazione del Bambino del Kunstmuseum di Basilea. Anche i dispareri attributivi possono riflettere il serrato processo di scambi fra Nicolò ed altri artisti. Se è ormai ragionevole vedere Nicolò, attorno all’anno 1500, nell’Idillio della Wallace Collection di Londra, diventa lecito il sospetto che il non meglio precisato pittore modenese accanto al quale Nicolò lavorò a Ferrara nel 1499 sia Francesco Bianchi Ferrari, dal momento che la cristallina metrica dei gesti dell’opera londinese trova eco nell’altare di quest’altro pittore per S. Pietro a Modena. Ma appare ben più rilevante il debito di Nicolò verso i pittori estensi. La sua trasformazione fu radicale. La strada maestra di una diversa pelle cromatica e di una più colmata chiarezza tridimensionale gli era stata indicata dal Boccaccino. Nella sua scia Nicolò, con ogni probabilità, dipinse la Caduta della manna e la Danza di Miriam della National Gallery di Londra; mentre è meno ovvio riconoscerlo in altre opere dei primissimi anni del Cinquecento, in dialogo con Mazzolino, come la Madonna già coll. Hurd. Nelle due tempere londinesi emergono anche precise quanto aggiornate tracce di Lorenzo Costa. Considerandone l’assenza in un’opera un tempo data a Boccaccino ed oggi comunemente riconosciuta a Nicolò, il Transito della Vergine della Pinacoteca di Ferrara, dove peraltro è del tutto assente l’incastro di quinte delle tavole di Basilea e della Wallace Collection, ci si domanda se Nicolò non avesse avuto a disposizione un cartone di Boccaccino, riusato una decina di anni dopo, in maniera meno aderente e sorvegliata, per l’esemplare del Louvre. Nel frattempo Nicolò si mostra vicino anche a un allievo ferrarese di Boccaccino, Garofalo. Giudicata a distanza (non essendo capitato di decidere sugli originali) diventa rivelatrice la contrapposizione attributiva sulle Madonne col Bambino di Nîmes (Musée des Beaux Arts) e Tarbes (Musée Massey; Ballarin, 1994; Pattanaro, 1991: Garofalo vs Moro, Lucco, 2008: Nicolò). C’è ormai convergenza a collocare subito dopo il 1508 la pala Mori (Pinacoteca di Ferrara). A partire da questo momento si stringe un accordo stretto con il più ispirato dei «classicisti prematuri» (Longhi, 1956, p. 152), Ortolano. Prossima a lui, ma con una mossa di affetti più libera, come se fossero reinterpretati fatti giorgioneschi, è la Madonna col Bambino della Pinacoteca capitolina di Roma: uno dei capolavori di Nicolò, attorno o dopo il 1515.
Punto fermo per ogni partizione cronologica delle opere è il 1512-1514 della pala di Brera. L’altro è il 1520 inscritto nel S. Giuseppe che porge il Bambino alla Madonna fra i ss. Quattro Coronati (Worchester Art Museum), attribuzione di Longhi (1934) ormai ben collaudata. Sembra difficile collocare prima di questo dipinto la Pietà firmata proveniente dalla chiesa di S. Maria di Galliera a Bologna (oggi in Pinacoteca), per cui Ballarin (1994-95) e Romani (1995) sono disposti a far credito all’anno 1518 che vi fu letto da un solo testimone. Ma in forza del ritrovamento di opere della tarda stagione bolognese non è neppure possibile accogliere la correzione congetturale 1528 fatta da Supino (1916). I «passaggi di bella gravità» apprezzati da Longhi (1934, p. 125) stanno ormai a valle del purismo «nazareno» di opere come l’altare francescano di Greenville (South Carolina, Bob Jones University Museum and Gallery). La pulsazione profonda delle ombre, non ignara di Girolamo da Treviso, e il pittoricismo dossesco del paesaggio allineano questa Pietà alla Sacra Famiglia, nota in due redazioni (Firenze, Uffizi e coll. priv.) che anche per Ballarin (1994, I, figg. 67 s.) sta nella prima metà del terzo decennio. Nicolò lavorò dunque per Bologna prima di trasferirvisi.
La definizione stilistica di Nicolò negli anni bolognesi conta su precisi riferimenti cronologici, non su esiti altrettanto rilevanti: il 1526 della pala per Annibale Gozzadini in S. Donnino, restituita da Sambo (2006); il 1529 iscritto sullo Sposalizio mistico di s. Caterina fra i ss. Sebastiano e Rocco (Sambo, 2006; ma se la Madonna è tipica di Nicolò e il s. Sebastiano è quello che sarà usato in controparte cinque anni dopo, la superficie pittorica è totalmente dissestata); il 1534 della tavola che Gabbione Gozzadini destinò alla cappella di S. Giovanni in Monte (emersa in mediocri condizioni in coll. priv.: Sambo, 1995, n. 53, dal 2000 in deposito alla Pinacoteca di Bologna). La «mera pratica» (Longhi, 1934, p. 125) prende ormai il sopravvento. D’altra parte, se nel catalogo di Nicolò ci sono ora punti davvero critici per qualità, occorre mettere in conto sia l’attitudine all’associazione operativa che filtra dai documenti, sia la presenza di due figli pittori (Supino, 1916, p. 4), di cui uno, Pietro, è ricordato accanto a lui nel contratto del 1534.
Ma il senso di questi dipinti da altare va colto in un quadro di reazione o disagio davanti all’arrivo di Parmigianino e al suo esempio di estrema coltivatezza. A confronto delle ultime tavole emiliane, il quasi sempre bistrattato dipinto per la tribuna di Pisa sembra voler tentare una strada diversa dall’eleganza manierista come dalle troppo misurate cadenze del raffaellismo bolognese.
Fonti e Bibl.: L.N. Cittadella, Documenti ed illustrazioni riguardanti la storia artistica ferrarese, Ferrara 1878, p. 70; A. Venturi, L’arte ferrarese nel periodo d’Ercole I d’Este, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, VII (1889), pp. 342-368; Id., Nuovi documenti. Pittori della corte ducale a Ferrara nella prima decade del secolo XVI, in Archivio storico dell’arte, VII (1894), pp. 304 s.; S. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 146 s., 397 s.; G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo, Firenze 1901, p. 171; I. B. Supino, N. P. pittore, in Rivista d’arte, IX (1916), pp. 1-9; P. Bacci, Ilduomo di Pisa descritto dal can. Paolo Tronci (1585-1648) con note e documenti inediti, Pisa 1922, p. 24; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VIII, 4, Milano 1929, pp. 344-353 (con regesto documentario); R. Longhi, Officina ferrarese, 1934, p. 125 (ed. in Opere Complete, V, Firenze 1956, p. 74; ibid, Nuovi ampliamenti, 1940-1955, p. 152); G. Bargellesi, Un’opera di N.P. a Chantilly, in Belle arti, 1951, p. 89 (ripreso e ampliato come Opere di N. P.,in Notizie d’opere d’arte ferrarese, Rovigo 1956, pp. 71-76; con l'aggiunta di un dipinto in coll. Mazza che in riproduzione non regge il confronto con Nicolò e forse può ritenersi opera più tarda di uno dei figli); E. Fahy, Some followers of Domenico Ghirlandaio, New York-London 1976, pp. 188 s.; M. Cataldi, in Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici (catal.), Pisa 1979, p. 420; C. Volpe, Dipinti veneti nelle collezioni svizzere: una mostra a Zurigo e Ginevra, in Paragone, XXX (1979), 347, pp. 72-81; M. Ferretti, Pisa 1493: inizi di Niccolò pittore, in Scritti di storia dell’arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, pp. 249-262; F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, I, p. 246; II, pp. 549 s.; D. Benati, Francesco Bianchi Ferrari e la pittura a Modena fra ‘400 e ‘500, Modena 1990, p. 160; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, I, Ospedaletto 1991, p. 222; II, ibid. 1995, p. 308; A. Pattanaro, La ‘scuola’ delBoccaccino a Ferrara, in Prospettiva, 1991, n. 64, pp. 60-74; A. De Marchi, Un geniale anacronista, in Annali della Scuola normale sup. di Pisa, cl. di lett. e filos., s. 3, XII (1992), 4, pp. 1070 s.; F. Moro, Appunti ferraresi. Una traccia per gli esordi estensi di N. P., in Paragone, XLIII (1992), 505-507, pp. 3-8; A. Ambrosini, scheda n. 12 (Punizione dei figli di Aronne), in R.P. Ciardi, La tribuna del duomo di Pisa. Capolavori di due secoli (catal. Pisa), Milano 1995, pp. 106-111; A. Ballarin, Dosso Dossi. La pittura a Ferrara negli anni del Ducato di Alfonso I, I-II, Cittadella 1994-95, ad ind.; V. Romani, N. P., ibid, I, 1995, pp. 218-225 (catalogo delle opere ferraresi di N.); E. Sambo, N. P. pittore (1470-post 1536), Rimini 1995 (al regesto, pp. 13-17, si rinvia per le fonti delle notizie biografiche, che per la parte ferrarese sono state aggiornate sul successivo Franceschini; alla bibliografia si dovrà fare riferimento per integrare le indicazioni fino al 1995); N. Roio, Una pala d’altare di N. P. in Vaticano, in Atti e memorie dell’Accademia Clementina, n. s. 1995-96, nn. 35-36, pp. 49-52; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, 2, II: dal 1493 al 1516, Ferrara 1997, p. 862; A. Bliznukov, Una scheda per N. P., in Paragone, LII (2001), 613, pp. 42-48; S. Guarino, in Il museo senza confini. Dipinti ferraresi del Rinascimento nelle raccolte romane, a cura di J. Bentini - S. Guarino, Milano 2002, p. 324; G. De Simone, Da San Domenico, Pisa: un inedito “Cristo in pietà” di N. P., in Commentari d’arte, IX-XII (2003-06), 24-35, pp. 5-11; E. Sambo, in Pinacoteca nazionale di Bologna. Catalogo generale, II, Da Raffaello ai Carracci, Venezia 2006, pp. 20-23; Il Camerino delle pitture di Alfonso I, a cura di A. Ballarin, I-VI, Cittadella 2002-07, ad ind.; S. Guarino, scheda n. 45, in Pinacoteca capitolina. Catalogo generale, Milano 2006, pp. 130 s.; M. Lucco, Inurbamento culturale di un “terrazzano schifiltoso”, in Garofalo. Pittore della Ferrara estense (catal. mostra, Ferrara), Milano 2008, pp. 20 s., 26 n. 7; E. Sambo, scheda n. 3 in Il bel dipingere. Dipinti e disegni emiliani dal XV al XIX secolo (catal. mostra), a cura di D. Benati, Bologna 2012, pp. 20-22 (riguarda l’inedita Sacra Famiglia e i ss. Elisabetta, Giovannino e Girolamo, datata verso la metà del terzo decennio; data che sembra un po’ troppo precoce per gli inserti di paesaggio, mentre la condotta pittorica sbrigativa e prossima alla pala commissionata nel 1534 fa nascere il sospetto che in casi come questo si possa tentar d’isolare la mano del figlio Pietro, rimasto in Emilia a rimescolare il repertorio paterno).