POLO, Nicolo
POLO, Nicolò. – Nacque a Venezia da Andrea, probabilmente nel terzo o quarto decennio del XIII secolo.
Risiedeva forse nella contrada di San Severo quando sposò una donna di cui non si conosce il nome, e dalla quale ebbe Marco, destinato a divenire il più grande viaggiatore di tutti i tempi. Dopo la nascita del figlio si portò a Costantinopoli, a esercitare la mercatura in compagnia del fratello Matteo e, forse, di un terzo fratello, Marco, che nel testamento del 1280 afferma di aver abitato a sua volta a Costantinopoli, prima di tornare a Venezia per stabilire la sua residenza a San Severo.
L’aprirsi della seconda metà del secolo fu segnata da anni intensi e difficili: tra il 1251 e il 1258 scoppiò la prima guerra veneto-genovese, nel 1261 cadeva l’Impero Latino di Oriente, il che significava la fine della dinastia franca, allora retta da Baldovino II, da sempre prodiga di privilegi ai veneziani; ora sul trono di Bisanzio si insediava, con l’aiuto dei genovesi e quindi con un radicale mutamento di prospettive, Michele VIII Paleologo.
Fu in tale contesto che attorno al 1260 i due fratelli, Nicolò e Matteo, elaborarono un progetto di ampio respiro; liquidato il fondaco a Costantinopoli e investito il ricavato in gioie e pietre preziose, si portarono a Soldaia (l’odiena Sudak, in Crimea), forse attratti dalle suggestive notizie che Giovanni da Pian del Carpine (1247) e Guglielmo da Rubruck (1254) avevano riportato sull’Orda d’Oro, estrema propaggine di un impero di proporzioni mai viste. Da Soldaia si inoltrarono a Sarai e quindi a Bolgara (Bulgar), presso Kazan, sul Volga, dove si trovava l’accampamento del khan dell’Orda d’Oro, Berke, nipote di Gengis Khan, che riservò loro buona accoglienza, stando all’unica fonte di cui disponiamo per far luce sui viaggi dei Polo, il Milione. C’è da chiedersi per quale ragione i due fratelli abbiano scelto questo itinerario sconosciuto e dunque passibile di pericoli (per non contare il raffreddamento climatico che segnò la seconda metà del Duecento), anziché preferire il tradizionale percorso delle carovane che portavano le spezie ai fondaci del Vicino Oriente, ben noto ai veneziani; probabilmente la causa è da ricercare nella rivalità che opponeva Genova a Venezia e che rendeva insicuri i porti dell’Egitto e della Siria. A Bolgara i Polo si fermarono un anno intero, che fu redditizio sul piano economico; quindi pensarono al ritorno, ma il percorso verso Soldaia era divenuto pericoloso a causa della guerra scoppiata fra il re dei tartari, Alau, che dominava i paesi dell’Ucraina meridionale, e Berke, che oltretutto non era più in buoni rapporti con Michele Paleologo, sicché decisero di intraprendere un’ampia diversione verso levante, passando per l’attuale Turkmenistan fra il lago d’Aral e il mar Caspio (Milione, cap. 3). Giunsero così a Buchara (Buhara, Uzbekistan), grosso centro commerciale posto sulla ‘via della seta’ e famoso per l’artigianato dei tappeti. Qui i due fratelli si fermarono tre anni, sempre a causa delle guerre che sconsigliavano di inoltrarsi fra popolazioni in armi. E sempre a Buchara, in un giorno imprecisato del 1264, essi incontrarono un inviato dell’ilkhan (re mongolo della Persia) Hulagu, fratello dell’imperatore Kubilai, che propose loro di unirsi alla sua carovana e seguirlo presso la corte del Gran Khan, cui era diretto, pensando che questi avrebbe gradito l’occasione di conoscere dei latini.
E così fu: stabilire contatti con il papa e i principi cristiani poteva infatti tornare utile all’imperatore, nel complesso intreccio dei rapporti politici che caratterizzavano la convivenza fra armeni, turchi, arabi, persiani all’estremità occidentale dei suoi domini. Pertanto nel 1265 o 1266 Kubilai affidò a un suo funzionario di nome Cogotai (Koeketei) il compito di recarsi a Roma, in compagnia dei veneziani; egli avrebbe consegnato ricchi doni al pontefice, assieme alla richiesta di poter avere a Pechino dei sacerdoti esperti di teologia e anche l’olio delle lampade del Santo Sepolcro, in omaggio alla madre dell’imperatore, cristiana di rito nestoriano.
I due mercanti ripresero quindi la via dell’Occidente al seguito di un’ambasceria, salvo diventare loro stessi ambasciatori quando Cogotai si ammalò e dovette rinunciare a proseguire la missione.
Il viaggio di ritorno durò tre anni. Era l’aprile del 1269 quando i Polo giunsero in terre conosciute, a Laiazzo (Ayas, in Cilicia), che allora faceva parte del regno cristiano della Piccola Armenia ed era capolinea delle carovaniere provenienti dall’Iran e dall’Asia centrale: partiti dalla Crimea otto anni prima, tornavano da tutt’altra direzione, e non con mercanzie da scambiare, ma con un incarico diplomatico di grande rilievo. A Laiazzo si imbarcarono per Negroponte, donde giunsero a Venezia qualche mese dopo, nello stesso 1269.
Qui Polo apprese di essere rimasto vedovo, con un figlio adolescente; si risposò presto con Fiordelise Trevisan che gli diede un altro figlio maschio, Matteo; dal testamento dell’omonimo fratello di Polo, Matteo, stilato nel 1310, risulta che da un’altra donna, di nome Maria, Nicolò ebbe due figli naturali, Stefano e Giovanni, che sarebbero sempre vissuti nella sua famiglia.
I due fratelli non rimasero a lungo a Venezia; benché entrambi sposati (Matteo con tale Marta, dalla quale non ebbe figli), decisero di tornare in Oriente, anche se non avevano potuto espletare la missione loro affidata da Kubilai, essendo da molto tempo vacante la sede pontificia. Lasciarono la loro città con la ‘muda’ di Siria, nella primavera del 1271, portando con loro il diciassettenne Marco, figlio di Nicolò; quindi giunsero ad Acri, in Palestina, dove si trovavano il legato apostolico Tebaldo Visconti e il principe Edoardo d’Inghilterra, che intendeva riscattare l’insuccesso della settima crociata, conclusasi negativamente davanti a Tunisi l’anno prima. A Visconti i Polo esposero l’incarico ricevuto da Kubilai, ma non ne ebbero – né poteva essere diversamente – se non parole di incoraggiamento; tornati a Laiazzo, furono informati che il primo settembre 1271 Visconti era stato eletto papa; decisero allora di recarsi nuovamente ad Acri, dove Gregorio X (questo il nome del nuovo pontefice), ebbe modo di riflettere sulle potenzialità che un contatto con il Gran Khan avrebbe potuto rivestire nei complessi rapporti della presenza cristiana in Terrasanta con i limitrofi domini arabi e persiani. I mongoli infatti appoggiavano il regno cristiano della Piccola Armenia, minacciato dai persiani; inoltre la loro fede, priva di dogmi, era tollerante verso gli altri riti ed essi stessi sembravano disponibili ad adottare qualunque religione monoteistica, quindi anche quella cristiana, specie nella forma nestoriana. Pertanto Gregorio affidò ai Polo due suoi inviati, i domenicani Guglielmo da Tripoli e Nicola da Piacenza, con lettere e doni per Kubilai; senonché, una volta a Laiazzo, i due religiosi rinunciarono a proseguire il viaggio, a causa della guerra che rendeva insicure le strade.
I veneziani giunsero alla corte di Kubilai nell’estate del 1275, dopo un viaggio durato più di tre anni e segnato da fatiche e pericoli di ogni tipo, al punto che ancor oggi, nell’immaginario collettivo, l’impresa non manca di essere considerata alla stregua di un mito.
Essi si sarebbero fermati in Cina diciassette anni, nel corso dei quali Marco divenne un funzionario governativo e fu incaricato dall’imperatore di varie importanti missioni; il padre e lo zio probabilmente lo accompagnarono, se non in tutte, perlomeno in alcune (sappiamo dal Milione.che nel 1283 contribuirono alla conquista di Yang Zhou, organizzando la costruzione di alcune catapulte), ma senza rivestire alcuna veste ufficiale; è probabile che essi si siano dedicati alla mercatura, la ragione che li aveva spinti sino all’Estremo Oriente. Poiché è impossibile distinguere i singoli loro apporti nelle vicende narrate da Marco Polo, si omette qui di riassumerle, rinviando in proposito alla voce dedicata al personaggio.
Tornarono per mare, attraverso Hormuz, Trebisonda e Costantinopoli e giunsero a Venezia nel 1295. Erano attesi: nel testamento del 27 agosto 1280 il loro fratello Marco li aveva nominati suoi commissari, assieme alla moglie di Nicolò, Fiordelise, che pure risiedeva nella contrada di S. Severo. Poco dopo il rimpatrio, i Polo acquistarono congiuntamente un grande stabile a San Giovanni Grisostomo, non lontano dal Fondaco dei Tedeschi, dove si trasferirono.
Le ultime notizie su Nicolò si fermano all’anno 1300: il primo febbraio era a Candia, dove prese a nolo una nave di Jacobino Lambardo, con la quale intendeva scaricare a Famagosta (Cipro) una parte della mercanzia; con il restante il solo Lambardo sarebbe proseguito per l’Armenia, ossia Laiazzo. Evidentemente, nonostante l’età non più giovanissima, la passione per il commercio era ancora forte nell’animo di Polo, che peraltro morì di lì a poco: risulta morto nel testamento redatto il 31 agosto 1300 dal figlio Matteo, a sua volta in procinto di recarsi a Creta. Fu sepolto sotto il portico fuori del monastero di S. Lorenzo; poi la tomba venne spostata nella contigua chiesetta dedicata a S. Sebastiano, in seguito unita a quella di S. Lorenzo, oggi scomparsa.
Fonti e Bibl.: I testamenti del fratello Marco (1280) e del figlio Matteo, in Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. Lat., V, codd. 58-59, cc. 31-32; le trascrizioni in E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 489-492; Pietro Pizolo notaio in Candia, I, (1300), a cura di S. Carbone, Venezia 1978, p. 11; M. Polo, Il Milione, a cura di V. Bertolucci Pizzorusso, Milano 1975 (capp. 2-8, pp. 12-15).
G. Orlandini, Marco Polo e la sua famiglia, in Archivio Veneto-Tridentino, IX (1926), pp. 1-68; Nel VII centenario della nascita di Marco Polo, Venezia 1955 (in partic. i saggi di R. Almagià, Marco Polo, pp. 9-49; e di R. Gallo, Marco Polo, la sua famiglia e il suo libro, pp. 65-161); F. Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Age. Le développement et l’exploitation du domain coloniel vénitien (XII-XV siècles), Paris 1975, p. 100; D. Jacoby, La Venezia d’oltremare nel secondo Duecento, in Storia di Venezia, II, L’età del Comune, a cura di G. Cracco - G. Ortalli, Roma 1995, pp. 268, 273 s., 281 s.; A. Zorzi, Vita di Marco Polo veneziano, Milano 2000, passim.