TAGLIACOZZI CANALE, Nicolò
– Nato a Napoli il 19 aprile 1691 da Vincenzo Tagliacozzi e da Anna Canale, fu battezzato, con il nome di Nicola Gennaro Domenico Andrea Tagliacozzi, nella chiesa parrocchiale dei Ss. Francesco e Matteo, sita nei Quartieri Spagnoli, dove poi risiedette (Archivio storico diocesano di Napoli, da ora ASDNa, Processetti prematrimoniali, 1721-T-2382, cc. 3, 10, 1728-T-1697, c. 11).
Architetto, regio ingegnere, scenografo, decoratore, tavolario, costumista, commerciante di sete, nonché architetto di fiducia dei principali complessi monastici napoletani (Ss. Trinità delle Monache, S. Martino, S. Gregorio Armeno, S. Maria di Costantinopoli ecc.) e delle più importanti famiglie nobili partenopee (Pignatelli di Monteleone, Rinuccini, Mastellone, Trabucco), svolse la sua attività sotto l’influenza delle opere di Domenico Antonio Vaccaro e Ferdinando Sanfelice, nel delicato momento di transizione dal rococò al tardo Settecento, quando nella capitale già si registrava un rinnovamento del linguaggio architettonico in chiave neoclassica. Grazie all’intreccio di dati archivistici e bibliografici, è oggi possibile definirne non solo il profilo biografico e artistico, rimasto a lungo noto solo marginalmente, ma anche il contributo espressivo nell’ambito del tardo rococò napoletano (Bisogno, 2013, p. 219).
L’attività giovanile di Tagliacozzi Canale si colloca entro i primi anni Venti del XVIII secolo. Rimasto orfano di padre, Nicolò iniziò a collaborare con lo zio materno, Andrea Canale (m. ante 1720), dedito all’arte muraria, portando a termine, dopo la sua scomparsa, alcuni dei lavori da lui avviati e divenendo ingegnere ordinario di molti degli enti presso i quali egli aveva prestato servizio. È probabile che alla volontà di palesare la parentela con lo zio, già noto nel settore, vada ascritta la decisione di firmare i propri progetti, da un certo momento in poi, con il doppio cognome Tagliacozzi Canale, rendendo così maggiormente riconoscibile la propria provenienza professionale (Rizzo, 1984, p. 143; Bisogno, 2013, pp. 5 s.).
Il 16 novembre 1721, a trent’anni, Nicolò sposò Giovanna Fernandez, nella chiesa parrocchiale di S. Anna di Palazzo. Tra le varie testimonianze contenute nel fascicolo del matrimonio va di certo segnalata quella del noto scultore Bartolomeo Granucci, che dichiarava di essere amico della famiglia Canale già da diversi anni. A lui potrebbe forse riferirsi un periodo di apprendistato svolto da Tagliacozzi Canale prima dell’affiancamento allo zio materno. Morta la prima moglie nel 1727, l’anno seguente l’architetto tornò a sposarsi, chiedendo la mano della vedova Candida Cavallo (ASDNa, Processetti prematrimoniali, 1721-T-2382, c. 9, 1728-T-1697, c. 7).
In merito alla sua formazione, va rilevato come il suo profilo biografico sia ignorato da Bernardo de Dominici, che, tuttavia, all’interno delle sue Vite, dedica diverse pagine agli allievi di Francesco Solimena e di Ferdinando Sanfelice. Pertanto sarebbe da scartare l’ipotesi che questa formazione abbia avuto luogo presso uno dei due artisti, indubbiamente tra i più noti e affermati del panorama napoletano dell’epoca, sebbene già suo zio avesse avuto modo, in diverse occasioni professionali, di venire a contatto con loro.
La collaborazione con lo zio Andrea è per la prima volta documentata nel 1718, quando Nicolò firmò i disegni preparatori e fornì indicazioni per l’esecuzione degli stucchi di una cappella, ubicata al primo piano del noviziato dei gesuiti a Napoli. Tali opere furono eseguite dal maestro stuccatore Giuseppe Cristiano, che nel 1720 – sempre sotto la direzione di Andrea Canale – lavorò anche agli stucchi per la casa palaziata, di proprietà del monastero di S. Martino, situata di fronte alla chiesa di S. Maria dei Sette dolori. La conoscenza del Sanfelice, presumibilmente avvenuta proprio sul cantiere della Nunziatella, consentì ad Andrea Canale di affiancare il noto architetto anche in altre occasioni e a Nicolò di proseguirne talvolta l’opera rimasta incompiuta, come nel caso del restauro di palazzo Pignatelli di Monteleone, intrapreso nel 1719 dallo zio, ma poi proseguito negli anni Cinquanta dal nipote (Blunt, 1975, 2006, p. 316; Bisogno, 2013, pp. 25-33, 223, 255; Ead., 2018, pp. 43-46).
Evidenti sono soprattutto nella prima fase dell’attività di Nicolò le influenze di matrice barocca. Oltre ai chiari riferimenti all’opera fanzaghiana, vi sono forti affinità, specie se si osserva il repertorio grafico a disposizione, con i modi espressivi di Filippo Juvarra, che pure agli inizi del XVIII secolo aveva soggiornato per un breve periodo a Napoli.
L’analisi dell’attività tagliacozziana offre quindi l’opportunità di approfondire la cultura architettonica napoletana dell’epoca, non priva d’influenze di respiro europeo, e il contributo al rococò dell’artista, che, lungi dall’essere un semplice prosecutore delle idee vaccariane e sanfeliciane, si è rivelato fautore di nuovi sviluppi di quella corrente artistica. Se infatti numerose sono le opere che mostrano spiccate affinità con interventi di suoi predecessori o contemporanei, altrettante sono quelle in cui non mancano spunti di originalità e vivacità. Notevole in tal senso è la nuova veste decorativa conferita da Tagliacozzi agli interni della chiesa di S. Gregorio Armeno tra il 1720 e il 1759, in cui il registro ornamentale degli stucchi della tribuna, della balaustrata lignea del coro principale, delle cantorie dei due organi e del coro d’inverno appare evidentemente mutuato dagli apparati effimeri (Archivio di Stato di Napoli, Corporazioni religiose soppresse, fascio 3430, cc. 116r-120v; Rizzo, 1984, p. 145; Bisogno, 2013, pp. 87-95). A tal proposito va detto che interessanti prospettive di studio si aprono proprio nell’indagine dei possibili rapporti tra le invenzioni effimere e l’architettura.
Artista versatile, Tagliacozzi Canale, oltre che architetto, fu allestitore, scenografo e costumista, e come tale venne spesso incaricato di ideare e dirigere la costruzione di fantasiosi apparati effimeri destinati a celebrare un evento speciale, come l’arrivo a Napoli del re Carlo di Borbone, per il quale il 10 maggio 1734 l’artista ideò una magnifica cuccagna (Avvisi o Gazzetta napolitana, 18 maggio 1734, n. 22).
Tra le altre sue opere effimere vanno ricordate la scenografia teatrale (Serenata) realizzata a Napoli nel giardino del duca di Terranova e Monteleone (1732); i carri allegorici, come quello ben noto del Battaglino dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione (1738); gli allestimenti di chiese e gli apparati funebri, come quello progettato per l’ufficio anniversario fatto celebrare in Napoli nella chiesa dei Ss. Apostoli dei padri teatini il 28 novembre 1752 da Fabrizio Pignatelli d’Aragona duca di Terranova e Monteleone, per Diego, suo padre (Mancini, 1968).
Dal 1718, anno in cui è possibile documentare il primo intervento nel Noviziato dei gesuiti a Pizzofalcone, fino alla morte, Tagliacozzi Canale fu attivo nei cantieri delle principali fabbriche religiose non solo di Napoli, ma anche di Gragnano (monastero di S. Michele Arcangelo), di Ottaviano (monastero di S. Lorenzo), di Caiazzo (duomo) e di alcune città pugliesi.
Tra le principali opere oggi a lui ascrivibili vanno ricordati l’emiciclo del Foro Carolino e l’ambizioso progetto dell’Albergo dei poveri, l’intervento di restauro postsismico della cupola della chiesa della Ss. Trinità delle Monache, gli arredi marmorei per il Carmine Maggiore, la chiesa dell’Annunziata di Caiazzo, la cappella di S. Antonio di Padova nella chiesa di S. Lorenzo, la cappella di S. Mattia nella congrega omonima, gli stucchi ornamentali nel monastero di Montecalvario, la cappella di S. Francesco e il pavimento della chiesa di S. Maria Apparente, l’organo e lavori diversi nella chiesa di S. Croce a Torre del Greco, l’altare marmoreo della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, oltre a numerose case private a Napoli, nonché lavori di arredo e apparati diversi, testimoniati anche da alcuni disegni inediti.
Capace di conferire un nuovo aspetto agli interni, rispettandone tuttavia la fisionomia originaria, Nicolò regalò una nuova veste tardobarocca agli appartamenti nobili di alcuni palazzi del centro storico di Napoli, avvicinandosi spesso anche alle ‘decorazioni alla chinese’, molto in voga all’epoca. Le occasioni professionali per l’ingegnere regio furono quindi in prevalenza costituite da interventi in fabbriche già esistenti, da trasformare negli arredi, o in edifici già definiti nell’articolazione spaziale, da completare con l’apparato decorativo. Più rari, nella realtà napoletana del XVIII secolo già densamente edificata, furono i casi in cui egli ebbe l’opportunità di esprimersi liberamente, progettando un edificio ex novo, come i palazzi Mastellone e Trabucco a piazza Carità, le cui scale ‘aperte’ dimostrano una chiara ispirazione alle ardite soluzioni dei coevi modelli sanfeliciani.
All’Albergo dei poveri Tagliacozzi s’incontrò con Luigi Vanvitelli e vi compì laboriose misurazioni delle fabbriche, insieme a Ferdinando Fuga e al tavolario Giuseppe Pollio (1753-57). Alla Trinità delle Monache era stato già chiamato per il restauro della cupola, dopo il terremoto del 1732; qui il suo lavoro fu prevalentemente ingegneresco. Invece, in S. Gregorio Armeno, da esperto di macchine da festa, affrontò un tema delicato e molto particolare: quello di rendere visibile l’altare dal coro d’inverno delle monache, attraverso il soffitto ligneo dell’aula. A lui fu poi chiesto anche di affrontare l’adeguamento al nuovo gusto di tutto l’interno, dove realizzò la tribuna, le decorazioni a stucco, la cantoria e probabilmente anche i due grandi balconi presso l’arco trionfale, con gli organi contrapposti.
In S. Maria di Costantinopoli l’architetto, in analogia con S. Maria dei Sette dolori e S. Maria della Pace, addobbò con ricchi stucchi di spunto teatrale e coretti dorati le scarne pareti della fabbrica di fra Nuvolo, amplificando così, anche attraverso gli eleganti scanni dell’arredo, la scenografia dell’insieme.
Con la sua personalità eclettica e poliedrica, Tagliacozzi Canale incarnò in pieno lo spirito del suo tempo, nella temperie culturale di una città in cui forte ed evidente era l’interrelazione tra le arti, specie in quelle opere che, ancora a metà Settecento, risultavano informate al gusto tardobarocco e rococò.
Nella produzione tagliacozziana sembrano coesistere più istanze, talvolta contrastanti: da un lato la ridondanza della linea, che ricalca forme per lo più desunte dal repertorio naturale, plasmando altari, pareti, informando timpani dai profili mistilinei, arricchendo scenografie ed apparati; dall’altro una strenua ricerca di leggerezza, come nell’apparente dinamismo delle scale aperte, le cui rampe poggiano su esili pilastri, nei virtuosismi di audaci strutture sia effimere sia stabili, nelle pieghe dei molteplici tessuti impiegati per gli apparati celebrativi.
Straordinaria fu in Tagliacozzi Canale la capacità di gestire contemporaneamente più cantieri, di servire diversi ordini monastici (dei quali divenne spesso ingegnere ordinario), di fornire disegni ai collaboratori anche per piccole opere di scultura o di cesello, dimostrando una progettazione globale, che investiva ogni campo della produzione artistica e artigiana.
Grazie alle sue molteplici competenze, Niccolò affrontò anche incarichi di valutazione di lavori eseguiti da altri artisti, stilando, senza particolari difficoltà, stime relative non solo a opere di fabbrica, ma anche a oggetti realizzati nei più svariati materiali.
Pasquale Ferrari Canale (notizia 1749-81), suo fratello, nato dalle seconde nozze della madre con Giuseppe Ferrari, e Andrea Tagliacozzi Canale, uno dei suoi quattro figli, portarono avanti gran parte delle opere da lui intraprese e non concluse a causa delle precarie condizioni di salute, che lo condussero alla morte nel dicembre del 1763 (Archivio storico del Banco di Napoli, Banco di San Giacomo, Giornale di cassa, matricola 1594, 6 febbraio 1764, p. 104).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Corporazioni religiose soppresse; Archivio storico del Banco di Napoli, Banco dello Spirito Santo; Banco dei Poveri; Banco di San Giacomo; Banco del SS. Salvatore; Napoli, Archivio storico diocesano, Processetti prematrimoniali; Cava de’ Tirreni, Archivio storico municipale, Fondo Ente Comunale di Assistenza (E.C.A).
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