ZABAGLIA, Nicolò (Nicola, Niccola). – Nacque con il nome di «Nicolò Felice» a Roma, da Alessandro e da Geltrude Baldini, probabilmente nel gennaio del 1667 (Marconi, 2015, p. 18)
e non nel 1664 come si desumerebbe dal necrologio.
Il padre fu anch’egli manovale, così come il fratello Antonio, nato nel 1651; la famiglia operava almeno dagli anni Trenta del Seicento in Vaticano, anche per la costruzione di ponteggi e apparati provvisionali (ibid.).
Nicolò sposò nel 1692 Francesca Zaffiri e nel 1727, vedovo da cinque anni, si unì alla trentacinquenne Francesca Ripa da Rimini (pp. 19 s.), la quale gli diede due figlie, Geltrude e Anna (p. 21).
I rapporti di Zabaglia con la Fabbrica di S. Pietro si datano dal 1686, quando risulta manovale («manuale») a giornata (p. 27), ma nel 1691 entrò stabilmente in ruolo (p. 28); già nel 1696 seppe dare prova della sua abilità di meccanico, movimentando la gran tazza in porfido e le statue bronzee poste nel battistero vaticano (p. 31). La sua attività è quasi completamente legata a interventi in Vaticano e ci è narrata in una biografia a firma di Filippo Maria Renazzi (1824). Entro il principio del XVIII secolo Zabaglia eseguì il trasporto di una colonna di granito da piazza delle Cornacchie al Vaticano e pose in opera i ponteggi per la realizzazione dei mosaici del battistero, quelli per i lavori nelle cappelle laterali della basilica e per il sollevamento delle grandi statue in stucco di Lorenzo Ottoni negli arconi della navata maggiore; nel 1703 provvide al sollevamento e al posizionamento di 50 statue sopra i bracci rettilinei che delimitano l’area antistante alla basilica, grazie a un’antenna mobile. Dal 1713 operò sotto le direttive dell’economo Ludovico Sergardi, senese, il quale si avvalse delle invenzioni di Zabaglia anche per la copertura in lastre in piombo della chiesa (1718) e per programmare i costanti interventi manutentivi necessari; quindi Zabaglia realizzò le opere provvisionali necessarie per la realizzazione dei mosaici nelle cappelle di S. Michele e di S. Sebastiano (1721). Le maestranze dovevano sentirsi al sicuro con i ponteggi da lui ideati, tanto che i mosaicisti chiamati a restaurare la facciata di S. Paolo fuori le Mura nel 1726 fecero istanza per un suo intervento. In quegli anni egli fu impegnato anche nel distacco delle pale monumentali vaticane destinate a essere tradotte in mosaico e a essere, quindi, trasferite in S. Maria degli Angeli. Intorno al 1729 provvide al trasporto della Morte di Anania del Pomarancio, dipinta a olio su lastre di lavagna, e della Presentazione al Tempio di Giovan Francesco Romanelli, un olio su intonaco; analogo intervento fu compiuto nel 1737 sull’enorme pittura murale del Martirio di s. Sebastiano del Domenichino (Marconi, 2015, p. 36), «con mirabile artifizio, avendo fatto segare il muro senza scompaginare l’ornato de’ marmi, da’ quali era tutta circondata» (Titi, 1763, p. 291; meno lusinghiero il giudizio di Savettieri, 2000, p. 716). L’approntamento di ponteggi e castelli eccezionali e il trasporto di pesi straordinari rimasero tra le sue specializzazioni: nel 1734 operò il trasporto dell’obelisco Sallustiano da villa Ludovisi alla piazza antistante alla cattedrale di S. Giovanni in Laterano, ma in seguito eretto in piazza Trinità dei Monti; nel 1739 preparò il ponteggio per restaurare la croce dell’obelisco di S. Pietro; nel 1744 collaborò alla cerchiatura della cupola vaticana, su progetti di Giovanni Poleni (Marconi, 2015, pp. 46-48). Per Benedetto XIV provvide nel 1748 all’estrazione dell’obelisco poi posto in piazza Montecitorio. Un insuccesso – pare causato da un errore dei suoi operai, che vollero procedere in sua assenza (Renazzi, 1824, p. XXVI) – portò alla perdita dell’Adorazione della Croce dipinta da Simon Vouet in S. Pietro (Savettieri, 2000, p. 557), ma altri insuccessi gli sono riferiti su tracce malsicure (Conti, 1973, 1988). Infine, nel 1749, sotto la sua direzione fu trasferita nell’attuale collocazione la Pietà di Michelangelo.
Nonostante la fama e la celebrazione ancora in vita, Zabaglia ricoprì solamente il ruolo di manovale (Marconi, 2015, p. 13), pur operando per la Fabbrica per oltre sessant’anni: il titolo di «ingeniere di S. Pietro» gli veniva attribuito solo in maniera informale, per esempio in una caricatura del 1740 di Pier Leone Ghezzi (p. 17) e in un’incisione che lo vede alle prese con il sollevamento dell’obelisco in Campo Marzio (F. de Ficoroni, Gemmae antiquae litteratae, Roma 1757). I suoi ponteggi furono improntati all’economia dei materiali, al rispetto delle strutture in cui si operava, a una relativa semplicità d’utilizzo, alla possibilità di riutilizzo e di movimentazione grazie all’uso di ‘curli’; questi possono essere sostanzialmente divisi in due categorie: quelli sospesi o aerei (anche mobili, a grappolo, a sbalzo), necessari per i lavori di manutenzione, decorazione e restauro in quota, e quelli da terra, che includono i castelli mobili e le macchine impiegate per movimentazioni di opere di peso eccezionale, come il Carlo Magno di Agostino Cornacchini, posto nell’attuale collocazione nel 1725 (Savettieri, 2000, p. 467).
Il massimo onore tributatogli in vita fu la pubblicazione del volume Castelli e ponti. L’edizione in folio nacque da un progetto che risale al 1714 (Marconi, 2004, p. 46), allorquando il talento di Zabaglia doveva essere già pienamente emerso. Il progetto editoriale, caldeggiato da papa Clemente XI, fu interrotto nel 1722 alla di lui morte, ma ripreso sotto Benedetto XIV, nel 1741, per essere dato alle stampe nel 1743. Il volume si poneva come seguito del Templum Vaticanum di Carlo Fontana (Roma 1694), sennonché, laddove quest’ultimo celebrava la superiorità dell’architetto e del teorico sul ‘meccanico’, Castelli e ponti loda l’innata capacità pratica di Zabaglia. I commenti alle tavole furono scritti in italiano da Lelio Cosatti (matematico e dilettante di architettura) e, in un’epoca in cui la comunicazione scientifica era ancora affidata al latino, tradotti da Nicola Salutini. Il volume servì a fissare in immagini – le 54 tavole incise – un bagaglio di conoscenze acquisite dai tecnici sanpietrini, dando dignità di compendio teorico alle esperienze di cantiere: un importante momento di passaggio dalla trattatistica alla manualistica (Marconi, 2015, p. 72).
Il volume si apre con il ritratto di Zabaglia disegnato da Pier Leone Ghezzi e inciso da Girolamo Rossi nel 1720; le tavole I-XVII sono dedicate ad attrezzature di lavoro, dispositivi provvisionali e altri macchinari già in uso in S. Pietro. Non tutte le macchine sono infatti riferibili a un’invenzione di Zabaglia – per esempio, l’invenzione della scala all’italiana è attribuita ai «festajuoli» (tav. IX) –, il quale talvolta provvide solo a perfezionarne il funzionamento. Le successive tavole XVIII-XXXVI illustrano i ponteggi adoperati o inventati da Zabaglia per gli interventi di restauro e di manutenzione nella basilica, ivi inclusi i dispositivi necessari per il distacco e il trasporto delle pale monumentali in via di sostituzione con mosaici. Le tavole XXXVII-LIV non riguardano invece direttamente Zabaglia, bensì interventi che risalgono a Domenico e a Carlo Fontana, come il sollevamento dell’obelisco Vaticano e il trasporto della cappella del Presepe in S. Maria Maggiore.
La pubblicazione si può anche intendere, oltre che come una presentazione della competenza tecnica formatasi nei secoli in seno al cantiere petrino, come un tentativo di calare la tradizione empirica e trasfondere le conoscenze pratiche in un testo a valenza scientifica, riportando quindi l’esperienza entro l’alveo di un accademismo diffuso.
Castelli e ponti fu riedito nel 1824, preceduto da una memoria biografica a firma di Renazzi, ma in realtà frutto almeno in parte della penna di Filippo Luigi Gigli (ibid., p. 15). La riedizione rispondeva alla necessità di adoperare il testo per finalità educative; inoltre, l’iniziativa in qualche modo anticipò la futura ideologia autodidattica di Samuel Smiles, che portava a esempio grandi inventori del Settecento, come sottolineato da Renazzi (1824, pp. I s.): «senza lettere, che non apparò, sfornito di qualunque scientifica cognizione, di cui neppur ebbe idea, da niuno ammaestrato o diretto, per sola forza di naturale talento colla meditazione della mente e colla scorta dell’esperienza» Zabaglia seppe imporsi con le sue invenzioni. Già la Prefazione dell’edizione del 1743 lo presentava come «uomo che senza saper leggere e senza maestri si è talmente avanzato nella statica e meccanica, e nell’arte di mover pesi»; più tardi anche Giuseppe Valadier (1832) avrebbe lodato colui che, «senza sapere leggere e scrivere tutto quello che intraprendeva nella sua sfera, tutto portava a salvamento, e tutto facea con la massima semplicità».
Zabaglia ci è descritto come un uomo alto e di eccellente costituzione, vivace e parco nei modi (Renazzi, 1824, p. XXVIII).
Sotto la sua guida, i manovali in S. Pietro non solo crebbero di numero – da 10 nel 1703 a 42 nel 1735 (Di Sante, 2016, p. 186) –, ma acquisirono preziose competenze. Le tecnologie illustrate in Castelli e ponti ne fecero in sostanza un testo normativo (Architetti e ingegneri, 2006, p. 91) e le opere previdenziali da lui elaborate o perfezionate rimasero in uso fino all’avvento dei ponteggi metallici (Marconi, 2009, p. 185).
Zabaglia fece testamento il 19 marzo 1749, lasciando al genero Giuseppe Lori, anch’egli muratore, «tutti li suoi modelli da lui fatti e fatti fare per uso della sua professione» (Marconi, 2015, p. 21). Né questi, né i modelli lignei già conservati in Vaticano, sono stati rintracciati (pp. 22 s.). I suoi allievi ne perpetuarono i metodi: tra essi Tommaso e Pietro Albertini e Angelo Paraccini, autori di alcune macchine che furono illustrate nella riedizione di Castelli e ponti del 1824 (sul suo seguito: pp. 49-65). A Zabaglia è stata riferita anche la nascita di una Scuola di meccanica (Renazzi, 1824, p. VI), che tuttavia parrebbe successiva (Marino, 2008, pp. 41 s.), mentre la trasmissione delle sue conoscenze sembra ricalcare più le consuete modalità di bottega, il fit facendo faber, che non intenti educativi scolastici.
Morì a Roma il 27 gennaio 1750. Fu sepolto in S. Maria in Traspontina, ma la sua tomba, già nella cappella di S. Canuto, è andata perduta assieme all’epigrafe postavi, che lo celebrava come «literarum plane rudis, sed ingenii acumine adeo praestans» (Renazzi, 1824, p. XXVII).
Fonti e Bibl.: Castelli e ponti di maestro N. Z. con alcune ingegnose pratiche, e con la descrizione del trasporto dell’Obelisco Vaticano, e di altri del cavaliere Domenico Fontana, Roma 1743; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte in Roma, Roma 1763, pp. 10, 291; F.M. Renazzi, Notizie storiche della vita e delle opere di maestro N. Z. ingegnere della Rev. Fabrica di S. Pietro, in Castelli e ponti di Maestro N. Z. con alcune ingegnose pratiche […], coll’aggiunta di macchine posteriori e premesse le notizie storiche della vita e delle opere dello stesso Z., compilate dalla ch. me. dell’avvocato Filippo Maria Renazzi, Roma 1824, pp. I-XXIX; G. Valadier, L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne Accademia di S. Luca, a cura di G. Rocrué - E. Catesi, Roma 1832, III, articolo LII, pp. 214 s.; A. Busiri Vici, L’obelisco vaticano nel terzo centenario della sua erezione..., Roma 1886, p. 7; R.W. Lightbown, Italy illustrated, in Apollo, XCIV (1971), 115, p. 221; B. de Montgolfier, Dessins parisiens du XVIII siècle, in Bulletin du Musée Carnavalet, I-II (1971), pp. 3-59 (in partic. p. 52); A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1973, 1988, p. 341, nota 2; A.M. Corbo, N. Z., un geniale analfabeta, Roma 1999; U.M. Milizia, Notizia sulla vita e sulle opere di N. Z. mastro muratore in Roma ad uso degli studiosi e delle persone colte, Roma 1999; La basilica di S. Pietro in Vaticano. Testi / Schede, a cura di A. Pinelli, Modena 2000, ad ind.; C. Savettieri, Scheda n. 166-170, ibid., pp. 466-468 (in partic. p. 467); Ead., Scheda n. 513, ibid., pp. 556-558 (in partic. p. 557); N. Marconi, Edificando Roma barocca. Macchine, apparati, maestranze e cantieri tra XVI e XVIII secolo, Roma 2004, passim; A. Felici, Le impalcature nell’arte e per l’arte. Palchi, ponteggi, trabiccoli e armature per la realizzazione e il restauro delle pitture murali, Firenze 2006, pp. 23-27; Architetti e ingegneri a confronto. I. L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. Debenedetti, Roma 2006, p. 46; N. Marconi, “Per costruire o ristorare ideate”: le macchine e i ponti di mastro N. Z., in Magnificenze vaticane. Tesori inediti dalla Fabbrica di S. Pietro (catal.), a cura di A.M. Pergolizzi, Roma 2008, pp. 155-157; Ead., Uno ex operariis et manualibus. Il contributo di N. Z. (1664-1750) all’arte di formar macchine e ponti tra XVII e XIX secolo, ibid., pp. 163-166; A. Marino, Sapere e saper fare a Roma, ai tempi di Z., in Sapere e saper fare nella fabbrica di S. Pietro: “Castelli e ponti” di maestro N. Z., 1743, a cura di A. Marino, Roma 2008, pp. 13-53; N. Marconi, N. Z. and the School of practical mechanics of the Fabbrica of St. Peter’s in Rome, in Nexus network journal, XI (2009), 2, pp. 183-192; G. Petricca, N. Z. Documenti, Roma 2013; A. Marino, Storia di un giorno nella fabbrica di S. Pietro al tempo di N. Z., in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., 2013-2014, n. 60-62, pp. 195-204; N. Marconi, Castelli e ponti. Apparati per il restauro nell’opera di mastro N. Z. per la Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, Foligno 2015, pp. 13-97; A. Di Sante, La Fabbrica di S. Pietro e la formazione delle maestranze. L’esperienza dello Studio pontificio delle arti, in Quando la fabbrica costruì S. Pietro, a cura di A. Di Sante - S. Turriziani, Foligno 2016, pp. 185-187.