nido
Le occorrenze del termine in senso proprio sono spesso riferite a situazioni che il poeta considera con particolare affettuosa attenzione: così per le colombe che al dolce nido / vegnon per l'aere (If V 83), per l'augello... / posato al nido de' suoi dolci nati (Pd XXIII 2), per la cicogna che sovresso il nido si rigira / poi c'ha pasciuti... i figli (XIX 91), o per il cicognin che ancora non s'attenta / d'abbandonar lo nido (Pg XXV 12). Ma con tale intonazione decisamente contrasta il n. delle brutte Arpie (If XIII 10).
Quest'ultimo passo, riferito a creature in parte umane e in parte animali, introduce all'uso estensivo del termine, per cui D. può dire che Latona fece in Delo 'l nido [" idest, hospitium et lectum ", Benvenuto] / a parturir li due occhi del cielo (Pg XX 131); che il Paradiso terrestre è il luogo eletto / a l'umana natura per suo nido (XXVIII 78), o che la moglie di Forese è infreddata anche in piena estate per difetto ch'ella sente al nido (Rime LXXIII 11; va tuttavia osservato che n. in questo caso potrebbe anche valere " organo sessuale femminile "). Si noti come, pur nell'uso metaforico, il termine conserva un forte aggancio al senso proprio (e si aggiunga il caso di Firenze, nido di malizia [If XV 78]), aggancio che invece si allenta a proposito di colui che l'uno e l'altro [Guido] caccerà del nido (Pg XI 99), " scilicet gloriae " (Serravalle), cioè " dal seggio d'onore che essi si sono formati " (Casini-Barbi).
Si arriva a una vera e propria sineddoche in Pd XXVII 98, dove la costellazione dei Gemelli diventa senz'altro il bel nido di Leda: l'immagine (per cui cfr. Ovid. Her. XVII 55 ss.) trova sua ragione nel fatto che il " segno chiamato Gemini... fingono li poeti essere fatto di Polluce e Castore figliuoli di Iove e di Leda, co la quale Iove stette mutato in ispecie di ciecino " (Buti).
Un caso analogo si avrebbe in Pd XVVIII 111: osservando il formarsi dell'aguglia nel cielo di Giove, D. ricorda che da Dio si rammenta / quella virtù ch'è forma per li nidi, " cioè dà forma a tutti li uccelli et a tutti li animali bruti ", come intende il Buti (e poi il Lombardi, pur in alternativa con altre interpretazioni, Scartazzini-Vandelli, Chimenz), che però legge che forma: la lezione è stata ripresa dal Busnelli, dal Casella e dal Parodi, cui " sembrerebbe più sodisfacente leggere... ‛ quella virtù che forma per li nidi ' (cioè dentro i nidi) " (in " Bull. " XV [1908] 279; v. anche Petrocchi, ad l.). " Luoghi dove la generazione di ciascuna cosa si compie " intende anche il Tommaseo, che però avverte la scarsa perspicuità del passo; sono con lui Casini-Barbi, Porena, Sapegno, Mattalia, che aggiunge: " indicandosi però in nidi l'oggetto in rapporto al quale si può parlare di ‛ arte ', di operazione sapientemente condotta ".
Senza alcun riferimento al senso proprio, in If XXVII 50: il lioncel dal nido bianco allude allo stemma di Maghinardo Pagani, " il quale porta per sua insegna un lioncello azzurro nel campo bianco " (Ottimo).
Nei codici antichi appare anche la variante formale fiorentina nidio, che non dispiacque al Monti (Proposta, sub v. nidiuzzo), ad es. nel luogo di If XV 78, dove " quelle parole sono messe in bocca del fiorentino Brunetto Latini ", e nidio è in manoscritti del valore linguistico del Trivulziano 1080 e del Vaticano lat. 3199 (cfr. Petrocchi, ad l.).