ABEL, Niels Henrik
Matematico norvegese, nato a Findö il 5 agosto 1802, morto a Froland il 6 aprile 1829. Durante la breve vita, travagliata della povertà e dalla malferma salute, poté compiere opere mirabili che gli assicurarono fama duratura.
Fu un autodidatta. Sulle opere dei grandi matematici (specie Eulero e Lagrangia), più che all'università di Cristiania frequentata interrottamente dal 1821 al 1825, maturarono le idee che ispirarono la sua opera futura. Nel 1825 ottenne dal governo norvegese una pensione biennale per perfezionarsi all'estero. Fu dal settembre 1825 al febbraio 1826 a Berlino, dove entrò in amichevoli rapporti con Crelle, il quale iniziava allora la pubblicazione del noto giornale di matematica portante il suo nome. Il Crelle, riconosciuto subito il grande valore del giovane norvegese, ne accettò varî lavori nel giornale. In seguito Abel si recò a Parigi dove rimase dal luglio al dicembre 1826. Non vi trovò tuttavia le accoglienze cordiali che aveva avuto a Berlino, e il Cauchy, che dominava allora la scuola francese, non parve apprezzare dovutamente il genio di Abel, tanto che il manoscritto di una delle sue memorie più importanti, che il Cauchy avrebbe dovuto presentare all'Accademia di Parigi, rimase a lungo dimenticato, e fu pubblicato solo nel 1841 per cura del Libri. Nella prima metà del 1826, dopo un nuovo soggiorno a Berlino, Abel ritornò in patria, dove visse miseramente, finché ottenne, sul principio del 1828, un provvisorio e modesto incarico di insegnamento all'accademia militare e successivamente all'università di Cristiania. La malattia polmonare, che da qualche tempo lo affliggeva, lo costrinse però alla fine di quell'anno a sospendere l'insegnamento e lo trasse alla tomba l'anno dopo, mentre gli stava per arrivare l'invito a coprire una cattedra all'università di Berlino, ove avrebbe trovato finalmente quella tranquillità di spirito che non poté mai raggiungere.
Dei lavori di Abel alcuni sono dedicati alle equazioni algebriche e in particolare alla questione della irresolubilità per radicali di una equazione di grado superiore al quarto. La risoluzione delle equazioni di 3° e 4° grado, gloria della scuola italiana (prima metà del sec. XVI), aveva suscitato tentativi di trattare con metodi analoghi le equazioni di grado superiore. Abel dimostra l'impossibilità di costruire, con operazioni razionali ed estrazioni di radici eseguite a partire dai coefficienti di una equazione generale di grado superiore al 4°, un'espressione che la soddisfi, fornendo così una risposta negativa ad una questione che si trascinava da tre secoli. È da avvertire però che in questa dimostrazione egli fu preceduto di quindici anni dal matematico e medico modenese Paolo Ruffini. L'Abel conobbe il lavoro del Ruffini soltanto prima di redigere l'ultima fra le memorie che egli dedicò all'argomento, e non ritenne superfluo pubblicare tale memoria, sembrandogli oscura e forse non esauriente la dimostrazione del suo predecessore. Questa, nella sua ultima forma, fa, in realtà, grande onore all'acume del Ruffini, ma lascia in ombra un punto, sul quale il ragionamento dell'Abel ha gettato piena luce.
Esistono equazioni particolari di grado arbitrariamente alto che sono risolubili per radicali. Abel ne segnala una classe notevole. Sono equazioni (dette poi abeliane) in cui ciascuna radice può ottenersi con un'operazione razionale applicata ad un'altra radice, le dette operazioni essendo permutabili fra loro. Casi particolari sono le equazioni per la divisione del cerchio (dalle quali dipende la iscrizione di un poligono regolare in un cerchio), considerate da Gauss sul principio del secolo scorso.
Particolare importanza hanno gli studî di Abel sugl'integrali di funzioni algebriche (irrazionali) della variabile indipendente (anch'essi in seguito chiamati abeliani); erano noti, in particolare, gl'integrali ellittici, ove la irrazionalità dipende dalla radice quadrata di un polinomio di terzo o quarto grado nella variabile. Per questi Eulero aveva stabilito un teorema di addizione, in virtù del quale la somma dei valori, che un integrale ellittico assume in due o più punti x1, x2 ... (valori questi del limite superiore di integrazione, l'inferiore essendo fisso), si può esprimere mediante il valore che l'integrale stesso assume in un unico punto x′ algebricamente determinato da quelli, a meno di funzioni di carattere più elementare (algebrico-logaritmiche). Abel dimostra che un fatto analogo sussiste per ogni integrale abeliano; precisamente, nota l'irrazionalità della funzione da integrare, resta determinato un numero intero p (che fu poi chiamato genere) tale che la somma dei valori dell'integrale nei punti arbitrari x1, x2, ..., xn (n > p) si esprime sempre mediante la somma dei valori dell'integrale in p punti x1′, x2′, ..., xp′, determinati algebricamente dai punti suddetti, a meno di funzioni algebrico-logaritmiche. È questa una delle forme sotto cui può enunciarsi il celebre teorema di Abel (monumentum aere perennius, come fu detto da Legendre), da cui furono tratte innumerevoli conseguenze.
Riprendendo lo studio degli integrali ellittici al punto in cui anziché l'integrale (di prima specie) come funzione del limite superiore di integrazione, il limite stesso come funzione del valore dell'integrale. La funzione (ellittica) che così si ottiene ha un solo valore per ogni valore della variabile complessa e non ha al finito singolarità all'infuori di poli. Essa possiede la proprietà della doppia periodicità, cioè di non mutar valore quando alla variabile indipendente si aggiungano multipli di due opportune costanti (periodi). In questa grande scoperta (1827) che arricchì l'analisi della classe più notevole di funzioni, dopo le elementari, Abel si incontrò col matematico tedesco Jacobi.
Aggiungiamo ancora che Abel è uno degl'iniziatori del rigore nell'analisi moderna; a lui è dovuta ad es. la nozione della convergenza uniforme di una serie di funzioni, divenuta ormai classica.
Tutti i lavori di Abel concernono questioni di matematica pura. Con lui si determina la separazione fra la scienza pura e le applicazioni, mentre i maggiori matematici dei due secoli precedenti avevano coltivato insieme l'una e le altre. Per Abel la teoria è ben degna di esser studiata senza secondi fini, "per l'onore dello spirito umano", come diceva nel 1830 il suo emulo Jacobi. Ad Abel si può far risalire quell'indirizzo dell'analisi qualitativa, ove l'interesse principale è di dimostrare che un problema può risolversi con determinati mezzi, o che ammette, in certe condizioni, una soluzione (teorema di esistenza), la quale possiede determinate proprietà, mentre si prescinde dal procedimento che conduce a costruire praticamente la soluzione. A questo indirizzo debbono ascriversi molte delle più belle conquiste dell'analisi nel secolo scorso. Esso tuttavia ha portato un eccessivo distacco fra la matematica e le applicazioni; oggi perciò si avverte una reazione che assegna un interesse più vivo ai metodi di approssimazione, considerati anche sotto l'aspetto pratico.
Uno dei caratteri salienti di Abel sta nel modo di porre le questioni. "Si deve dare al problema" - sono sue parole - "una forma tale che sia sempre possibile di risolverlo... Invece di domandare una relazione che non sappiamo se esista, occorre domandare se una tal relazione sia in realtà possibile". Un altro suo carattere è di chiarire una questione particolare, esaminando la questione generale in cui essa è contenuta; gli artifizî che erano occorsi per indagare il caso particolare cedono il posto a considerazioni semplici e luminose, suggerite dal caso generale.
I procedimenti che l'A. adopera sono piani e non lasciano ordinariamente apparire lo sforzo del ricercatore. Per questa assenza dello sforzo e di ogni artifizio, per l'eleganza e la grazia delle concezioni e della forma, egli fu paragonato a Mozart; ebbe, come questo, la vita breve, ma la sorte gli negò prima della morte i trionfi che consolarono il genio musicale di Salisburgo. Gli fu eretto un monumento a Oslo.
Bibl.: Delle Oeuvres complètes di Abel furono pubblicate due edizioni, la prima curata da Holmboe (Cristiania 1839), la seconda da Sylow e Lie (Cristiania 1881); C.A. Bjerknes, N.-H. A., sa vie et son action scientifique, in Mémoires de la Soc. des sciences phys. et nat. de Bordeaux, 3ª ed., 1884, I; N.-H. A., Mémorial publiè à l'occasion du centénaire de sa naissance, Cristiania, Parigi, Londra, Lipsia 1902; Ch. L. de Palouan, N.-H. A., sa vie, son oeuvre, Parigi 1906.