Nigeria
Nigèria. – Alla fine del primo decennio del 21° sec., la N. si doveva confrontare con una serie di gravi problemi che rimanevano ancora irrisolti ad alcuni anni dal ritorno alla democrazia (1999). Si trattava in gran parte di problemi strutturali della società e dell’economia che per certi versi l’espansione del settore petrolifero (la N. era il primo produttore africano) e la sua crescente centralità, con il ruolo dominante delle grandi compagnie e la diffusione di fenomeni di corruzione e di clientelismo, avevano addirittura contribuito ad aggravare. Un fattore importante di crisi era rappresentato dalle persistenti tensioni etniche e religiose che contrapponevano un Nord musulmano a un Sud cristiano o animista; questo contrasto si accentuava anche in seguito al diffondersi di forme di integralismo islamico in molti stati del Nord-est. In partic., a partire dal 2009, il movimento fondamentalista Boko Haram intensificava la sua attività, insanguinando il Paese con uno stillicidio di gravissimi attentati terroristici, principalmente contro chiese cristiane, che provocavano numerosissime vittime e innescavano ulteriori esplosioni di violenza. I problemi religiosi ed etnici si affiancavano e si sovrapponevano a quelli politici ed economici: le aree meridionali e sudorientali erano infatti tradizionalmente sottorappresentate nelle istituzioni e, pur ospitando la maggioranza dei giacimenti petroliferi, non avevano mai espresso esponenti di rilievo nel governo del Paese, godendo in minima parte dei benefici della rendita petrolifera, ma sopportando i costi ambientali e sociali dell’estrazione del petrolio. I diffusi livelli di corruzione impedivano inoltre sia il pieno utilizzo degli impianti petroliferi sia la destinazione della rendita petrolifera agli investimenti e alla crescita economica del Paese. Infine la fragilità di un sistema democratico privo di tradizioni, con una società civile debole e con un quadro politico fortemente condizionato dalle appartenenze etniche, rendeva difficile la definizione di politiche nazionali coerenti e orientate su comuni obiettivi strategici. Nell’aprile 2003 si tennero le consultazioni presidenziali e legislative. Le prime videro la conferma, con il 62% dei voti, di Olesung Obasanjo, già eletto nel 1999, le seconde diedero la vittoria al partito del presidente, il People’s democratic party (PDP). Obasanjo ha varato un programma incentrato sull’accelerazione delle riforme economiche e della lotta alla corruzione e inserito nella nuova compagine governativa alcuni tecnici con vasta esperienza negli organismi finanziari internazionali. Il governo si trovava comunque a operare in un contesto molto difficile, contrassegnato da un fortissimo disagio sociale e da continue esplosioni di violenza, alcune delle quali sembravano coniugare aspetti etnici e componenti sociali ed economiche: gli scontri tra bande rivali nel porto petrolifero di Port Harcourt nell’estate del 2004, i rapimenti nel 2006 di lavoratori stranieri delle industrie petrolifere, i ripetuti attacchi agli oleodotti per appropriarsi di quantità talvolta ingenti di petrolio (nel maggio 2006 un tentativo di manomissione di un oleodotto ha determinato un’esplosione nella quale sono morte circa 200 persone). Questi rapimenti e attacchi, in parte interpretabili come semplici comportamenti illegali sia di singoli sia di bande operanti all’interno di un vero e proprio mercato clandestino del petrolio, erano però anche inseriti in un tentativo da parte di gruppi di ribelli – il più attivo era il Movement for the emancipation of the Niger Delta (MEND) – di esercitare pressioni sul governo per ottenere maggiori risorse per le regioni meridionali. Queste aree avevano subìto nel corso degli anni gravissimi danni ambientali per le ricorrenti fuoriuscite di petrolio dai giacimenti e dagli impianti, dovute soprattutto alla scarsa manutenzione e alla violazione delle elementari norme di sicurezza da parte delle grandi compagnie impegnate nell’estrazione del greggio (l’operato della Shell venne più volte denunciato dalle organizzazioni internazionali ambientaliste). Dal settembre 2007 si intensificavano, dopo un periodo di tregua, gli attacchi del MEND agli impianti per l’estrazione del greggio. Un punto fondamentale del programma governativo era quello relativo alla rinegoziazione di un ingente debito estero (37 miliardi di dollari), contratto dai governi dittatoriali succedutisi fino al 1999. Il debito rappresentava un ostacolo a qualsiasi iniziativa riformatrice, se si tiene conto che nel 2005 il servizio (costi, oneri e accessori) sullo stesso debito corrispondeva a cinque volte il budget per l’istruzione e a quindici volte quello per la sanità. La N. inoltre, in quanto possessore di materie prime pregiate, non poteva accedere, in base ai criteri stabiliti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, allo status di Paese povero altamente indebitato e quindi godere della cancellazione del 90% del debito. Dopo una lunga trattativa e a seguito del fermo rifiuto del Parlamento di onorare il debito, nell’ottobre 2005 la N. ottenne dal Club di Parigi (il gruppo più consistente dei Paesi creditori) la cancellazione del 67% del debito, a fronte di un impegno a restituire la parte restante con i proventi del petrolio. Nel giugno 2006 il senato ha bocciato una modifica costituzionale presentata dal PDP e finalizzata a consentire a Obasanjo una terza candidatura alla presidenza nelle elezioni del 2007. Queste, tenutesi in aprile, hanno visto la vittoria di Umaru Musa Yar’Adua, candidato del PDP, con il 70% dei voti. Le violenze che hanno contrassegnato tutta la campagna elettorale (oltre 200 morti), la dubbia regolarità e la scarsa trasparenza delle operazioni di voto testimoniavano le forti incertezze con cui procedeva il processo di democratizzazione, anche se per la prima volta il potere passava dalle mani di un presidente eletto a un altro ugualmente eletto senza l’intervento dei militari e senza che i risultati del voto suscitassero ulteriori violenze. Nel gennaio 2010 la grave malattia che aveva colpito il presidente della Repubblica costringeva il Parlamento a trasferire i poteri nelle mani del vicepresidente Goodluck Jonathan, che assumeva pienamente la carica a maggio dopo la morte di Yar’Adua e veniva confermato nel primo turno delle elezioni presidenziali tenutesi nel marzo 2011. La politica estera nigeriana del primo decennio del 21° sec. appariva caratterizzata da un notevole dinamismo: riammessa a pieno titolo nel Commonwealth, la N. stabiliva buoni rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea, mentre stringeva accordi con la Cina, interessata allo sfruttamento delle risorse petrolifere (genn. 2006) e con l’Unione Indiana; migliorava inoltre le relazioni con i paesi dell’area, partecipando alle missioni di pace in Sierra Leone e Liberia. Nell’agosto 2008 la N. ha accettato di riconoscere la sovranità del Camerun sulla penisola di Bekassi, una regione ricca di risorse minerarie e petrolifere situata al confine tra i due stati, mettendo così fine a un contenzioso che si protraeva dal 1993.