Vedi Nigeria dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2015
Con circa 150 milioni di abitanti la Repubblica Federale di Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa. Ogni stato federato si divide in province, distretti e autorità locali che in alcuni casi (Borno e Kano, per esempio) possono avere ampi poteri decisionali. Con il ritorno al governo civile nel 1999, la Nigeria ha progressivamente aumentato il proprio peso internazionale ed è diventata uno degli attori più importati del continente africano, contendendo a Senegal e Ghana la leadership regionale e al Sud Africa quella continentale. La fine del regime militare ha coinciso con un periodo di crescita economica e di profondi mutamenti sociali, che hanno portato a una sempre maggiore polarizzazione della ricchezza all’interno della società tra un’élite facoltosa e una massa sempre più povera, dipendente dal ciclo dell’economia informale.
Al momento dell’indipendenza dal dominio britannico nel 1960, la Federazione era composta da tre stati, quanti sono i maggiori gruppi etnici del paese: Hausa-Fulani, Yoruba e Igbo (o Ibo). Sulla scorta del sistema di amministrazione indiretta (indirect rule) introdotto dagli inglesi, il modello federale nigeriano si fonda sui gruppi etnici, riconoscendone in alcuni casi anche i dirigenti tradizionali. Il compromesso non scritto è una ponderazione e rotazione delle maggiori cariche istituzionali tra i più importanti gruppi del paese, anche sulla base della religione (cristiana o musulmana) dei dirigenti. L’appartenenza etnica ha acquisito un’importanza crescente a scapito di quella nazionale, definita dalla cittadinanza. La competizione per l’accaparramento e la gestione delle risorse simboliche e materiali all’interno di ogni stato federato ha assunto una connotazione etnica, che replica la contrapposizione in atto fin dal periodo coloniale tra etnie definite originarie all’interno di un certo contesto regionale e altre che viceversa erano considerate immigrate.
Nel 1967 la tentata secessione del Biafra, la terra degli Igbo nel sud-est della Federazione, prese le mosse dalle persecuzioni che gli stessi Igbo avevano subito negli anni immediatamente successivi all’indipendenza nel nord e nell’ovest del paese, dove erano arrivati al seguito dell’amministrazione coloniale. La crisi secessionista, che mise a repentaglio la tenuta stessa della Federazione, rientrò nel 1970: da allora i confini dello stato non sono più stati messi in discussione, ma il sistema federale ha subito una progressiva frammentazione interna, che ha portato dai tre stati federati del 1960 agli attuali 36 e allo spostamento della capitale da Lagos ad Abuja nel 1976. La moltiplicazione degli stati ha stemperato, ma non risolto la rivalità interetnica, soprattutto per le rimostranze dei gruppi minoritari. L’esclusione delle minoranze dai benefici del governo e la loro riconduzione, a torto o a ragione, a uno status di immigrati per quanto riguarda il possesso della terra rimane una fonte di tensione costante.
La Nigeria ha scontato a lungo una condizione pressoché cronica di instabilità e conflittualità. Negli anni Sessanta l’esistenza stessa del paese venne messa in pericolo dalla secessione della regione sud-orientale con il nome di Biafra. Nel separatismo del Biafra si fecero sentire, come in quello del Katanga alcuni anni prima, pressioni e interferenze dall’esterno, ma l’avventura degli Igbo era anzitutto il prodotto della difficile coabitazione all’interno di uno stato afflitto da identità male assortite.
La Nigeria è un paese diviso lungo gli assi di un modello duale (nord e sud, musulmani e cristiani), ma senza quella separatezza fisica che può rendere più sicura la sopportazione reciproca ancorché a distanza. L’exploit, fallito, del Biafra derivò dall’intolleranza della popolazione del nord per l’invadenza di militari, funzionari e commercianti igbo fuori della loro terra d’origine.
Quando i singoli atti di violenza divennero veri e propri pogrom, il colonnello Odumegwu Ojukwu chiamò tutti gli Igbo a fare blocco e – un po’ per disperazione e un po’ per un senso di superiorità, vieppiù rafforzato dal possesso della ricchezza petrolifera – proclamò l’indipendenza del Biafra.
Per evitare il peggio, la dualità venne stemperata moltiplicando il numero degli stati federati: dai tre del 1960 agli attuali 36. In teoria, il nord e il sud non esistono più in quanto tali. Cristiani e musulmani vivono fianco a fianco in molti stati e spesso nelle stesse città o negli stessi villaggi. Ad Abuja, la capitale edificata ex novo nel centro geografico del paese, la cattedrale e la moschea sorgono l’una accanto all’altra.
Sono tutti del nord peraltro gli stati che hanno adottato la sharia. Dopo il ritorno a un sistema costituzionale di tipo multipartitico è stato seguito il principio dell’alternanza fra presidenti cristiani e musulmani. Per le elezioni dell’aprile 2011 è stato difficile attenersi al gentlemen’s agreement per le circostanze in cui si è arrivati al voto. Il presidente musulmano eletto nel 2007 in una consultazione molto contestata, Umaru Yar’Adua, è morto durante il mandato e a norma di Costituzione gli è succeduto il vice, Goodluck Jonathan, un cristiano, per l’abitudine di formare tickets presidenziali misti. Nel periodo residuo del quadriennio Jonathan si è fatto un nome, ed è stato confermato come candidato del partito di governo alla massima carica dello stato, che ha poi conquistato con il 58% dei suffragi, deludendo le aspettative dei musulmani: un mezzo mandato invece del mandato pieno con la possibilità di un rinnovo. Chinua Achebe, scrittore molto rispettato in Nigeria per l’alto contenuto civile delle sue opere, ritiene che da sole le elezioni non facciano la democrazia e auspica lo sviluppo di una coscienza patriottica che metta al bando la corruzione imperante. I dirigenti vanno giudicati per i loro meriti e non per il pedigree etnico o religioso.
I presidenti che hanno segnato in modo più netto la storia recente della Nigeria sfuggono, del resto, a un’appartenenza troppo precisa. L’emergenza del 1966-67, in cui si condensarono l’ascesa al potere per la prima volta dei militari e lo ‘strappo’ del Biafra, fu governata con equilibrio da Yakubu Gowon, un generale originario del Middle Belt, regione di transito fra le due metà di un paese diviso, appunto, fra un nord musulmano e un sud cristiano: la sua città natale, Jos, si trova nel nord, ma Gowon professava una confessione cristiana e non era membro del gruppo Hausa dominante.
La guerra per domare il Biafra fu molto cruenta, anche perché il governo federale impiegò la fame come arma per costringere i secessionisti alla resa. Gowon ebbe il merito di riammettere l’ex Biafra e gli Igbo nella compagine nigeriana all’insegna della concordia e della pacificazione.
Un altro personaggio ‘di frontiera’ è Olusegun Obasanjo, che figura oggi fra i grandi saggi dell’Africa. Chiamato nel 1976 a presiedere la giunta militare arrivata al potere l’anno prima con un colpo di stato, portò a termine con successo le procedure per restituire il potere ai civili. Dopo altre peripezie, con le degenerazioni della presidenza del generale Sani Abacha, che segnò il punto più basso della gestione del potere da parte dei militari, Obasanjo, ormai un civile e candidato di un partito politico a livello nazionale, è stato eletto nel 1999 primo presidente della Terza o Quarta Repubblica. Nato nel sud-ovest, di lingua e cultura yoruba, era vicinissimo ai militari del nord per aver gestito insieme il potere nella transizione degli anni Settanta. Nel 2007 avrebbe probabilmente vinto di nuovo le elezioni, ma ebbe il buon senso di non insistere per modificare la Costituzione al fine di potersi presentare per un terzo mandato.
Dopo un trentennio quasi ininterrotto di governo militare (dal 1966 al 1979 e poi dal 1983), nel 1998 l’allora presidente Abdulsalami Abubakar avviò la transizione al potere civile. Nelle elezioni del 1999 fu eletto alla presidenza con il sostegno del People’s Democratic Party (Pdp) l’ex generale Olusegun Obasanjo, che venne poi confermato alla guida del paese nelle controverse elezioni del 2003.
A seguito del fallito tentativo di emendare la Costituzione nel 2006, che avrebbe permesso al presidente Obasanjo di ricandidarsi per il terzo mandato, la Nigeria sperimentò per la prima volta una successione democratica al potere nel 2007. Il candidato del partito di governo e delfino del presidente uscente, Umaru Yar’Adua, fu eletto con il 70% dei consensi, anche se il risultato elettorale venne guastato da violenze e contestazioni incrociate dei diversi schieramenti politici. Dopo la morte di Yar’Adua nel maggio 2010 a causa di una malattia, la presidenza è stata assunta dal vice presidente Goodluck Jonathan, eletto successivamente presidente nella tornata elettorale dell’aprile 2011: la sua vittoria è stata seguita da numerose violenze nel nord del paese. Il Pdp conta un ampio seguito tra uomini d’affari, intellettuali, accademici, capi tradizionali ed è particolarmente popolare tra le forze armate.
Agli stretti e consolidati legami con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, rinsaldati dall’accesso di questi paesi alle risorse petrolifere nigeriane, si sono aggiunte più di recente le relazioni strategiche con Russia e Cina. La Nigeria è membro dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), delle Nazioni Unite (Un), dell’Unione Africana (Au), della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e dell’Organizzazione della conferenza islamica (Oic). Nell’Ecowas il paese svolge de facto un ruolo egemonico.
Tra le centinaia di etnie della Nigeria, gli Hausa-Fulani, per gran parte musulmani, sono uno dei gruppi più importanti nel nord del paese, insieme a Nupe, Tiv e Kanuri. Gli Yoruba, cristiani e musulmani, sono la principale etnia nel sud-ovest della Federazione, mentre gli Igbo, per gran parte cattolici, sono predominanti nel sud-est insieme a Efik, Ibibio, Ijaw. Oltre all’inglese, la lingua degli ex colonizzatori utilizzata nell’istruzione o per gli affari, ogni nigeriano conosce almeno due o più lingue africane. Le più parlate e diffuse sono: hausa, yoruba, igbo, fulani e ijaw. Almeno il 50% della popolazione è di religione musulmana, mentre i cristiani si dividono in protestanti (26%) e cattolici (14%).
Nonostante le importantissime risorse naturali del paese, circa il 60% della popolazione vive sotto il limite della soglia di povertà con meno di un dollaro al giorno. Il nord e il sud-est sono le zone più arretrate del paese. La modernizzazione ha stimolato caotici processi di inurbamento, anche se più della metà della popolazione vive ancora in aree rurali. Il tasso di disoccupazione oltrepassa il 30%. La considerevole diffusione dell’Aids, la malnutrizione e l’alto tasso di mortalità infantile sono tutti elementi che incidono negativamente sull’aspettativa di vita (nel 2008 era di circa 49 anni).
L’istruzione elementare è obbligatoria e gratuita, impartita sia in inglese, sia in altre lingue della Federazione. Le università pubbliche e private sono nel complesso oltre cinquanta. Le grandi università del nord sono centri di studi islamici fra i più rinomati al mondo. Diversi sono gli istituti specializzati che operano nel settore delle ricerche minerarie, grazie ai finanziamenti dagli investitori stranieri.
La transizione dal regime militare al multipartitismo avviata alla fine degli anni Novanta non è sfociata in un sistema di governo pienamente democratico. La tutela dei diritti umani è costantemente minacciata dal diffuso clima di violenze, intimidazioni, corruzione e brogli nel quale si sono svolte le elezioni del 1999, del 2003 e poi del 2007. Gli sforzi intrapresi dalle autorità nella lotta alla corruzione sono spesso degenerati in trame per delegittimare gli avversari politici. Le bande armate di giovani disoccupati ed emarginati hanno lavorato al soldo di molti dei candidati risultati eletti, compiendo crimini più o meno gravi che di norma sono rimasti impuniti. Secondo i dati elaborati da Transparency International circa il livello di corruzione percepita, nel 2010 la Nigeria era al 134° posto su 178 paesi.
La polizia ha una lunga storia di violenze e abusi che sono stati più volte ammessi dal governo e dagli stessi vertici delle forze dell’ordine. I cittadini nigeriani sono sottoposti a vessazioni quotidiane, che in ordine di gravità vanno dal maltrattamento all’estorsione, all’arresto ingiustificato fino alle violenze fisiche e sessuali. In un tale contesto i diritti umani sono doppiamente lesi quando, oltre ai soprusi, diventa necessario pagare per ottenere giustizia o più semplicemente per far indagare su un crimine subito.
Nonostante i progressi nel campo della libertà di stampa siano tangibili rispetto al regime militare, rimangono numerosi i condizionamenti e le censure, in particolare nelle trasmissioni radiotelevisive.
L’ordinamento giuridico nigeriano si compone di diversi strati che combinano a più livelli le norme di common law dell’ex potenza coloniale con le consuetudini risalenti all’epoca precoloniale e le norme di derivazione islamica. Al vertice del sistema giudiziario vi sono la Corte federale e la Corte federale d’appello. A partire dal 1999 la decisione di alcuni stati del nord di introdurre il diritto islamico (sharia) nell’ordinamento giuridico ha alimentato una tensione crescente su base etnico-religiosa, a pregiudizio diretto o indiretto dei diritti umani.
Tra il 1999 e il 2002 la sharia è ufficialmente stata introdotta nell’ordinamento giudiziario di 12 stati del nord (Bauchi, Borno, Gombe, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebbi, Niger, Sokoto, Yobe e Zamfara). L’intera regione ha una storia di profonda islamizzazione e nel 19° secolo fu il centro del Califfato di Sokoto, inglobato poi nell’amministrazione indiretta britannica. Gli inglesi mantennero in vigore le corti di diritto islamico, limitandone sensibilmente le competenze a favore della common law solo nel 1959. Nel 1967 venne definitivamente abolita la Corte islamica d’appello, anche se alcune regole di diritto islamico continuarono a essere utilizzate nel campo di applicazione del diritto consuetudinario.
Il governo federale, dopo essersi espresso in modo contrario all’introduzione della sharia, ha evitato di arrivare alla prova di forza con quegli stati che in ogni caso rivendicavano il loro diritto all’autonomia giurisdizionale. Il compromesso ricercato dal presidente Obasanjo consistette in un’applicazione moderata della sharia negli stati del nord, che però nel corso degli ultimi anni non ha evitato l’aumento delle tensioni interreligiose e interetniche. Mentre infatti i musulmani guardano all’applicazione della sharia come a un diritto legittimo, i cristiani vi intravedono il tentativo di trasformare la Nigeria in uno stato islamico, dove essi finirebbero per essere cittadini di seconda classe.
Alle tensioni che oppongono i gruppi estremisti cristiani e musulmani si aggiungono quelle tra i gruppi islamisti e le confraternite sufi e infine quelle che contestano trasversalmente il potere del governo federale. L’introduzione della sharia, al di là del richiamo in chiave panislamica a una storia di più lungo periodo, risponde anche alla logica di utilizzare l’appartenenza religiosa per rivendicare interessi che sono propriamente politici ed economici. La religione può fungere da strumento attraverso il quale mobilitare il malcontento di quella parte del paese - gli stati del nord - dove si concentra il 76% dei nullatenenti di tutta la Nigeria: qui i musulmani hausa-fulani si contrappongono ai cristiani igbo, che arrivarono in queste regioni dal sud-est al seguito delle autorità coloniali per fungere da intermediari dell’amministrazione e dopo l’indipendenza divennero i colletti bianchi della nuova amministrazione federale. La frammentazione interna alla comunità musulmana dimostra però come la stessa aristocrazia hausa-fulani sia messa in discussione da parte di gruppi minoritari.
La Nigeria è l’ottavo esportatore di petrolio al mondo e rappresenta la seconda più grande economia dell’Africa. Strettissime sono le relazioni commerciali con gli Stati Uniti: il paese è infatti il maggiore partner commerciale statunitense nell’Africa sub-sahariana grazie alle esportazioni di petrolio che arrivano ad assorbire oltre il 45% della produzione giornaliera. Gli Stati Uniti sono i principali investitori stranieri, soprattutto nel settore minerario e della grande distribuzione, e sono il secondo partner commerciale della Nigeria dopo la Gran Bretagna.
Con una produzione giornaliera di oltre due milioni di barili, il petrolio è la più importante risorsa nazionale in assoluto: circa l’80% delle entrate fiscali deriva dalla vendita del greggio, che pesa per il 95% sul totale delle esportazioni. I tentativi intrapresi dal governo nigeriano per diversificare l’economia e le entrate fiscali non hanno prodotto risultati significativi. L’economia è infatti strettamente collegata all’andamento del prezzo del petrolio sui mercati internazionali e alle reali capacità estrattive in loco, che negli ultimi anni si sono sensibilmente ridotte a causa del conflitto nella regione del Delta del Niger.
Gli effetti negativi collegati alla crisi economica e finanziaria internazionale del 2008 hanno causato una caduta del pil dai 6 punti percentuali del 2007 ai 3 del 2009, ma le prospettive sono per una rapida ripresa. L’elevato tasso di inflazione e il debito pubblico rimangono i due principali problemi di politica economica del paese. Un’ulteriore criticità è costituita dal numero eccessivo di istituzioni coinvolte nei processi decisionali, che porta a frequenti conflitti di competenza e a imposizioni fiscali multiple. Le infrastrutture rimangono carenti, specialmente nel settore elettrico e nelle comunicazioni.
L’agricoltura, per gran parte tradizionale, occupa circa il 70% della popolazione attiva e costituisce la componente più importante del pil (36,5% nel 2009), seguita dall’industria estrattiva (32,3%) e, a distanza, dai settori del commercio (15,9%) e dei servizi (8,2%). La produttività del settore agricolo è molto bassa per una serie di concause: carenza di servizi, utilizzo di tecnologie inadeguate, parcellizzazione eccessiva delle proprietà, desertificazione crescente nelle regioni settentrionali ed erosione dei terreni coltivabili nella fascia centrale del paese. In una situazione di costante crescita demografica, la Nigeria è così diventata un importatore di prodotti agricoli, mentre nel 1960 era un esportatore netto.
Lungo la costa nigeriana si trovano alcuni dei porti più importanti dell’Africa occidentale (Lagos e Port Harcourt), ma le alte tasse doganali e le perquisizioni capillari (si stima che il 95% delle spedizioni in arrivo vengano fisicamente ispezionate) limitano fortemente le potenzialità del settore commerciale, oltre a costituire una fonte costante di corruzione. Industrie un tempo fiorenti, come quella tessile e farmaceutica, hanno progressivamente ridotto la loro competitività sui mercati regionali.
Nel settore dei servizi, l’industria cinematografica registra una grande dinamicità, con effetti positivi sull’occupazione: le produzioni nigeriane vengono infatti vendute in tutta l’Africa occidentale. Il turismo rimane invece un settore dalle molte potenzialità, ma poco sfruttato, anche a causa dell’insicurezza diffusa.
La mancanza di adeguate politiche ambientali e uno sfruttamento intensivo delle risorse fanno della Nigeria uno dei paesi più inquinati dell’Africa.
La regione del Delta del Niger ha ricchissimi giacimenti petroliferi e di gas naturale. La rendita estrattiva viene ridistribuita tra tutti gli stati e l’amministrazione federale, lasciando solo una piccola parte dei ricavi alle comunità del Delta. Inoltre, le riserve ittiche e le colture sono significativamente diminuite a causa dell’inquinamento derivante dall’attività estrattiva, aggravando l’impoverimento della popolazione. Tra i tanti giovani senza lavoro sono proliferati durante gli anni Novanta gruppi di guerriglieri che, con l’intento di depredare le risorse petrolifere o di ottenere giustizia dal governo, hanno attaccato le installazioni delle grandi compagnie internazionali e i posti di controllo di polizia ed esercito.
L’ingresso sulla scena nel 2006 del Movement for the Emancipation of the Niger Delta (Mend) avvenne in modo eclatante, con il rapimento di quattro lavorati stranieri. Nei mesi successivi il Mend diede il via a una serie di attacchi alle infrastrutture petrolifere che determinarono la contrazione della produzione dai 2,6 milioni di barili del 2006 all’1,6 del 2009, con conseguenze dirette sulla crescita del prezzo del greggio sui mercati internazionali. Negli anni il Mend è stato responsabile del rapimento di dipendenti di compagnie bulgare, hounduregne, olandesi, inglesi e statunitensi. Non sono mancati episodi che hanno coinvolto italiani, come quando nel dicembre 2006 furono tenuti in ostaggio per settimane tre tecnici dell’Agip o quando, il mese prima, un gruppo di guerriglieri ha ingaggiato uno scontro armato con una nave dell’Eni. Molti incidenti, tra l’altro, non sono neppure denunciati dalle compagnie, che preferiscono pagare il riscatto senza troppa pubblicità.
L’attività del Mend ha segnato un salto di qualità rispetto al passato sia per le sofisticate tecniche utilizzate, sia per la capacità politica di rivendicare un controllo sulla risorsa petrolifera a livello regionale. La struttura del movimento è molto flessibile, difficilmente assimilabile a quella di una vera e propria organizzazione, e si è dimostrata in grado di assorbire molte delle altre formazioni guerrigliere. La leadership del movimento è formata da giovani di etnia igaw, istruiti – in alcuni casi a livello universitario – ed esperti di combattimento, per aver affinato le tecniche in altri scenari di crisi.
Le rivendicazioni del Mend sono arrivate a chiedere che almeno il 50% della rendita derivante dalle attività estrattive rimanga alle comunità locali. Il governo federale ha cercato in un primo momento una risposta prettamente militare, ma la forza dei guerriglieri lo ha costretto ad aprire una trattativa. Nel 2009 è stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco: oltre all’amnistia per più di 12.000 militanti, il governo si è impegnato a investire in diversi servizi di base (scuole, ospedali e vie di comunicazione) e a farsi promotore di una legge federale che destini il 10% della rendita alle comunità locali.
La morte del presidente Yar’Adua e l’ineludibile necessità di ridurre le dotazioni finanziare degli altri stati federati per ottemperare agli impegni presi con il Mend pesano sulla tenuta dell’accordo.
Con oltre 80.000 effettivi arruolati, tutti su base volontaria, le forze armate nigeriane sono le meglio addestrate ed equipaggiate dell’Africa occidentale. Contingenti nigeriani hanno partecipato alle principali missioni di pace nel continente africano sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana o dell’Ecowas. Grazie alla tecnologia russa, nel 2003 la Nigeria ha lanciato in orbita il suo primo satellite (il NigeriaSat-1).