Night and the City
(USA/GB 1950, I trafficanti della notte, bianco e nero, 95m); regia: Jules Dassin; produzione: Samuel G. Engel per 20th Century Productions; soggetto: dall'omonimo romanzo di Gerald Kersh; sceneggiatura: Jo Eisinger; fotografia: Max Greene; montaggio: Nick De Maggio, Sidney Stone; scenografia: C.P. Norman; costumi: Oleg Cassini, Margaret Furse; musica: Franz Waxman.
Il trafficante di bassa lega Harry Fabian si guadagna la fiducia di Gregorius, ex campione di lotta che, di passaggio a Londra, scopre con rabbia e dolore che suo figlio Kristo è il boss degli incontri truccati. Harry ottiene del denaro procurando a Helen, una donna che vuole abbandonare il marito, una licenza falsa per aprire un locale in proprio. Con la somma così procuratasi, il trafficante mette in piedi una palestra assieme a Gregorius. Ma Phil Nosseross, il marito di Helen, si accorda con Kristo per stroncare le attività di Harry. Quest'ultimo cerca di coinvolgere Phil nei suoi affari, ma in cambio deve inserire nei futuri incontri un lottatore brutale denominato Strangler. Nella palestra di Harry, in preda all'alcol Strangler offende Gregorius: i due ingaggiano lì per lì un match. Gregorius ne esce vincitore, ma la fatica lo stronca. Helen, scoperto che la sua licenza non ha alcun valore, torna dal marito ma lo trova morto suicida. Kristo mette una taglia di mille sterline sulla testa di Harry che, dopo una vana fuga notturna attraverso i bassifondi, viene buttato nel Tamigi da Strangler. Prima di morire, però, ha lasciato credere a Kristo di essere stato tradito da Mary, la sola ragazza che abbia mai avuto fiducia in lui, in modo da ricompensarla con il denaro della taglia.
Mentre buona parte della critica europea lo considera il migliore film noir di Jules Dassin ‒ il regista americano che già in The Naked City (La città nuda, 1948) aveva fatto della città, ripresa con aspro realismo e accurata stilizzazione, la vera protagonista del genere ‒, quella di lingua anglossassone non sembra apprezzarne né la ricchezza di messa in scena né l'aspirazione romanzesca. Realizzato in Inghilterra, dove l'autore era fuggito per sottrarsi alla caccia alle streghe del maccartismo, il film radicalizza le due componenti fondamentali del cinema di Dassin: la rappresentazione quasi documentaria della metropoli, il romanticismo concentrato in alcuni caratteri non esenti da vena poetica. Il risultato è un universo urbano davvero mutevole, attraversato da individui in movimento, sterminato nei suoi scorci, ambienti, strade, ponti e fiumi popolati di ombre e di vita.
I bassifondi squarciati da lampi improvvisi, la pulsazione della folla, il sottobosco sociale di una grande città scovato nei più remoti anfratti sembrano, a distanza di anni, risentire anche della ventata che il neorealismo italiano aveva rapidamente diffuso in tutto il mondo, anche se la costruzione delle inquadrature, in cui una profondità ricca di dettagli si oppone alle prospettive ravvicinate dei primi piani e le fonti di luce piovono spesso con violenza dai lati e dall'alto, mantiene con determinazione lo stile visivo del noir. Per buona parte del suo errare urbano, e ancor di più durante la caccia all'uomo, prevalgono nel film l'obliquità dell'angolo di ripresa e le prospettive dall'alto e dal basso che deformano i profili dell'ambiente. Nel finale, girato all'alba in un breve lasso di tempo, con sei macchine da presa, si fa largo invece quell'impostazione documentaria tipica delle produzioni di Mark Hellinger, con il quale il regista aveva già lavorato negli Stati Uniti. Le prime sequenze notturne, che ci conducono nella città parallela dell'illegalità (locali notturni, racket di mendicanti, falsari e contrabbandieri) hanno qualcosa di irreale e fiabesco; le scene di lotta, dove svetta l'interpretazione di un vero campione della disciplina ripescato dall'oblio e dalla povertà, sono dal canto loro una rappresentazione impressionante dello scontro fisico concepito come dimostrazione plateale del darwinismo sociale contemporaneo: una sorta di sovraesposizione del tema di un'umanità caratterizzata dalla ferocia della solitudine e della lotta per la sopravvivenza.
Tratto da un romanzo di sensibili qualità letterarie, il film scontorna in continuazione, al lato del protagonista, una galleria di caratteri mai privi di una nota di vividezza o drammaticità. Richard Widmark, il protagonista, è a una delle sue prove migliori (nei panni di un piccolo, tragico furfante sempre in movimento: con la bocca, le gambe e il cervello), ma molti comprimari vanno ricordati: in modo speciale l'enorme Francis L. Sullivan, Herbert Lom, la appassionata e materna Gene Tierney. Se la città contemporanea, come una scena elisabettiana, è un mondo fatto di crudeltà quotidiana e cospirazione dei più forti contro i più deboli, la macchina da presa di Dassin non rinuncia a scoprire anche nei più spietati (i coniugi Nosseros) il morso del dolore e della disperazione. Nel 1992, Irvin Winkler ne ha diretto un remake omonimo (in Italia intitolato La notte e la città), con Robert De Niro e Jessica Lange.
Interpreti e personaggi: Richard Widmark (Harry Fabian), Gene Tierney (Mary Bristol), Googie Withers (Helen Nosseross), Francis L. Sullivan (Phil Nosseross), Herbert Lom (Kristo), Stanislaus Zbyszko (Gregorius), Mike Mazurki (Strangler), Hugh Marlowe (Adam Dunne), Charles Farrell (Mickey Beer), Ada Reeve (Molly), Ken Richmond (Nikolas), Eliot Makeham (Pinkney), Betty Shale (Mrs. Pinkney), Russell Westwood (Yosh), James Hayter (Figler), Tony Simpson (Cozen), Maureen Delaney (Anna O′Leary), Thomas Gallagher (Bagrag), Edward Chapman (Hoskins), Aubrey Dexter (Fergus Chilk, avvocato di Kristo), Kay Kendall.
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