PAŠIĆ, Nikola
Uomo di stato serbo, nato a Zaječar il 19 dicembre 1845, morto a Belgrado il 10 dicembre 1926. Vinta una borsa di studio, andò a perfezionarsi a Zurigo (1868-1872), donde uscì ingegnere agronomo. In Svizzera strinse amicizia con M. Balunin e s' imbevette d'idee rivoluzionarie.
Visse sobrio e modesto anche quando, nella seconda metà della vita, divenne ricco. La sua cultura generale, malgrado molti viaggi, rimase incompiuta; e fu scrittore ed oratore mediocre. Dotato di fine intuito politico, deve la sua fortuna all'eccezionale padronanza e controllo di sé stesso; intimamente serio, positivo, equilibrato, era nei contatti esterni taciturno, impassibile, temporeggiatore, enigmatico.
Ritornato in patria, divenne ingegnere del genio civile. Politicamente si schierò all'opposizione, contro gli Obrenović austrofili. Nell'ombra covava il programma politico di suscitare la rivoluzione nazionale, liberare tutti i Serbi dal giogo turco e dalla dominazione austriaca, unificarli nella Grande Serbia, quindi riorganizzare la società serba secondo le idee democratiche.
Nel 1875 partì volontario ad aiutare gl'insorti dell'Erzegovina, dove conobbe Pietro Karagiorgjević. Nella guerra del 1876-77 fece parte dello stato maggiore del generale russo černaev. Finita questa, si ritirò a Požarevac quale ingegnere privato. Nel 1877 creò il giornale Samouprava (L'autonomia), organo di un nuovo partito rivoluzionario socialista, in lotta con i conservatori degli Obrenović, che nel 1882 prese il nome di radicale e del quale egli divenne il capo. Nel 1878 fu eletto deputato del collegio del Timok. Un ordine degli Obrenović di disarmare quella popolazione offerse ai radicali l'occasione per inscenare nel 1883 una rivolta, che fu presto soffocata. Cento congiurati, fra cui il P., furono condannati a morte. Si salvò con una fuga romanzesca attraverso il ponte in costruzione fra Belgrado e Semlino. Passò quindi 6 anni in esilio in Bulgaria, Romania e Russia. L'abdicazione di re Milan nel 1889 gli permise di fare ritorno in patria. Accolto trionfalmente, fu eletto sindaco di Belgrado. Nel 1891 divenne presidente della Skupština, presidente dei ministri e ministro degli Esteri.
In quest'anno contrasse matrimonio, a Firenze, con Giorgina Ducovich, educata a Trieste.
Raggiunto il timone dello stato, impresse alla politica estera serba un orientamento russofilo. Ciò acuì la sua lotta con gli Obrenović. Fu inviato rappresentante diplomatico a Pietroburgo dove restò fino al 1894. Nel 1898 avvenne un attentato misterioso contro re Milan; il P., coinvolto, salvò la vita a prezzo di astute dichiarazioni di lealtà, che lo compromisero nell'opinione pubblica e lo costrinsero a riparare all'estero (il governo russo era pure intervenuto in suo favore). Rientrò in patria nel 1900. Un anno dopo fu eletto senatore a vita. Visse nell'ombra fino al regicidio del 1903. Ritornati sul trono i Karagjorgiević, riprese il potere: nel 1904 come ministro degli Esteri, nel 1908 come presidente del consiglio, nel 1908 nuovamente come ministro degli Esteri, nel 1910 e 1912 come presidente del consiglio, dominando così la vita politica serba del periodo prebellico.
La sua politica era di tendenza nettamente antiaustriaca e appoggiata invece alla Russia; per quanto poi il P. desse prova più volte di moderazione e buon senso nei riguardi di Vienna e cercasse anche di migliorare i rapporti austro-serbi. Fu certo una politica coronata dal successo: quattro anni dopo la crisi della Bosnia-Erzegovina, che aveva costituito un momentaneo trionfo dell'Austria, il P. conduceva alla vittoria il suo paese in quelle guerre balcaniche del 1912-13, in cui egli ebbe gran parte. Debellata la Turchia nella prima guerra, con la seconda guerra, contro la Bulgaria, riuscì ad acquistare alla Serbia la Macedonia; sicché, pur dovendo rinunziare a Salonicco e Scutari, riuscì a raddoppiare quasi il territorio del suo paese (v. balcaniche, guerre). Era presidente del Consiglio nel 1914, allo scoppio della guerra con l'Austria, ch'egli sembra non volesse né prevedesse. Accettò la prova, sofferse i disagi della ritirata attraverso l'Albania, ma trionfò su tutta la linea, sull'Austria, la Bulgaria, il Montenegro. Il Comitato iugoslavo di Trumbić turbò i suoi piani. Il patto di Corfù segnò il compromesso tra le sue ideologie panserbe e le conseguenze dello sfacelo dell'Austria (iugoslavismo). L'opposizione dei Croati lo costrinse a cedere ad altri il governo per due anni (1918-20), durante i quali fu a Parigi, presidente della delegazione iugoslava alla Conferenza per la pace; ma riprese il sopravvento, impose lo statuto di S. Vito e fece piegare i suoi avversarî, Protić, Trumbić, Radić, davanti alla supremazia serba. Assicurò il nuovo stato verso l'estero con il Trattato di Rapallo, con i Patti della Piccola Intesa, col Patto di amicizia con l'Italia, verso la quale dimostrò un diffidente rispetto.
Bibl.: O. Randi, N. P. P., Roma 1927; Spomenica (Strenna) 1845-1925, Belgrado 1926; F. Černý, N. P. P., jeho život a dílo (N. P. P., la sua vita e la sua opera), Praga 1927; Ž. Živanovič, Politička istorija Srbije u drugoj polovini devetnaestoga veka (Storia politica della Serbia nella seconda metà del sec. XIX), Belgrado 1925; S. Jovanovič, Vlada Obrenovica, ivi 1912-1931; Ilustrovani Radikalni Almanah, P., I, II, ivi 1923-24; Cfr. inoltre il numero dedicato al P., in Nova Evropa (1926).