LENAU, Nikolaus (pseud. di Nikolaus Niembsch von Strehlenau)
Poeta tedesco, nato a Csatád presso Temesvár (Ciaţa presso TimiŞoara) il 13 agosto 1802, morto pazzo in una casa di cura a Oberdöbling presso Vienna il 22 agosto 1850: massimo interprete tedesco di quella "poesia del dolore" in cui continuò a echeggiare per gran parte del secolo, anche dopo il romanticismo, l'inquieta nostalgia che accompagnò alle sue origini la coscienza moderna. Dotato d'impetuosa, ricca, morbida sensibilità e portato da natura a moltiplicare e complicare i proprî sentimenti in un incessante lavorio d'immaginazione; cresciuto dapprima nella solitudine del natio villaggio in una libera infanzia incustodita e senza controlli, ed educato poi dalla madre con mano più dolce che ferma in un'atmosfera affettiva di esaltata tenerezza; vissuto di poesia e per la poesia, senza alcuna stabile occupazione pratica, in un tono di esistenza in cui l'amore e le amicizie furono - accanto alla poesia - l'elemento dominante, restò perpetuamente l'uomo errabondo e senza pace, che nella sua inquietudine ha la sola sostanza permanente, e quasi la ragione steasa della sua vita. Come era passato in giovinezza dagli studî di filosofia a quelli di diritto e poi di medicina, senza giungere mai a una conclusione, così passò anche più tardi, nei suoi sforzi speculativi, da Schelling a Spinoza, a Schubert, a Baader, a Hegel, senza raggiungere mai l'interna coesione di una sintesi di pensiero personale; e, quasi che una forza oscura lo incalzasse senza dargli mai tregua, trascorse la vita in viaggi continui, spingendosi nel 1832-33 fino in America e alternando ogni anno, dopo il ritorno, l'abituale dimora di Vienna con escursioni varie in Germania e Austria e piu o meno lunghi soggiorni a Stoccarda. Nel settembre del 1844, quando i primi manifesti accessi del male lo colsero, era appena giunto allora, per la seconda volta in quell'anno, a Stoccarda, dopo essere stato in poco più di due mesi a Baden-Baden, Francoforte, Vienna, Monaco. Era come se, di luogo in luogo, d'esperienza in esperienza, egli tentasse una continua fuga da sé medesimo; e invece in ogni luogo, dopo ogni esperienza, lo stato d'animo risolutivo di tutte le nuove impressioni era sempre la stessa malinconia, ora languida ora struggente, che era connaturata al suo spirito e che egli in fondo amava e coltivava, entro di sé, più che ogni altra cosa. Così anche le varie vicende d'amore, malgrado la passionalità del suo temperamento, restarono via via sempre soltanto - tutte, tranne una - esperienze più o meno brevi, episodî: dalla relazione giovanile con una giovanissima popolana, Berta Auer (1823-1826), al fidanzamento con la nipote di Gustav Schwab, Lotte Gmelin - l'ispiratrice dei Schilflieder (1832) -, all'idillio con la cantante Carolina Unger (1839), al nuovo e ultimo fidanzamento con Maria Behrends (1844); e il solo grande amore della sua vita fu quello per Sophie Löwenthal (1834-44), perché, nel suo alternarsi di appassionati inviti e di frigide resistenze, fu sempre desiderio inappagato, gioia e sofferenza insieme fuse. Di entrare, con tutto sé stesso, nella pienezza della realtà, gli era negato. Vi ripugnava d'istinto e non ne aveva la capacità. E precisamente in questo congenito atteggiamento della sua natura trovò il limite anche la sua poesia. Quando con innegabile serietà d'impegno tentò il poema filosofico religioso - nel Savonarola (1836), celebrazione del cristianesimo come religione della sofferenza, e negli Albigenser (1842), esaltazione religiosa dello spirito come presenza di Dio nella vita - diede bensì un documento della storia spirituale dell'epoca, interessante per i problemi che pone e per gli stati d'animo che contiene, ma senza raggiungere quella concretezza ed evidenza di visione che sono necessarî alla poesia; e, se più vivi gli riuscirono, nella soggettività e immediatezza dell'ispirazione, i due poemi drammatici su Faust (1834) e Don Juan (postumo: composto nel 1844), ciò avvenne perché tanto l'uno quanto l'altro furono dirette proiezioni delle sue esperienze in un fantasma poetico: canti dell'eterna vanità del desiderio, nel mondo dell'ebbrezza dei sensi come nel mondo delle elevazioni spirituali. Esclusivamente lirico era il suo genio: di una liricità tutta interiore, musicale e visionaria. Le sue stesse ballate (Die drei Zigeuner, Die drei Indianer, Die Heideschenke, ecc.), anziché a concentrarsi in un risalto dell'immagine, tendono a semplificarsi e a disciogliersi in una lineare musicalità di Lied. E a uno stato d'animo, che è al di là delle reali vicende della vita - identico con il suo modo di sentire e di vivere - attingono le liriche (Gedichte, 1832; via via accresciute nelle edizioni successive fino al 1842). Su dalle profondità indistinte di quel suo stato d'animo, a cui la vita vissuta non offre che momentanei stimoli, le onde della sua commozione si sollevano; e la sua immaginazione, esaltandosi, gli crea un suo mondo favoloso, ricco e triste a un tempo; e in quel mondo riprova ora la voce del suo malinconico sognare ora l'accento della sua disperazione. Fugge dagli uomini nella solitudine della natura; e la natura gli si popola di fantasmi di mitiche creature; e con determinata vastità di risonanze il suo amore e il suo dolore gli echeggiano intorno come voci dell'amore e del dolore del mondo. Dalla Waldkapelle a i Schilflieder e a i Waldlieder, non c'è, per questo riguardo, mutamento. E quanto più la realtà è ancora vicina, tanto più la poesia s'illanguidisce e intorbida in forme stanche o manierate: quanto più la realtà è lontana, superata, risolta in pura interiorità sognante, tanto più pura è la poesia: vita che dal "sentimento eterno del dolore e della morte, fiorisce in bellezza di canti".
Opere: Sämtliche Werke, ed. A. Grün, voll. 4, Stoccarda 1855; ediz. critica, a cura di E. Castle: Sȧmtliche Werke, voll. 6, Lipsia 1910-1923 (contiene anche le lettere). Fra le altre edizioni v. quelle di R. Boxberger, Lipsia 1883; G.E. Barthel, Lipsia 1885;. C. Schaeffer, Lipsia 1905; C.A. von Bloedan, Berlino 1912, e la scelta di O. Rommel, Teschen 1914.
Bibl.: A. X. Schurz, L.s Leben, Stoccarda 1855; nuova edizione di E. Castle, Vienna 1913; L. Roustan, L. et son temps, Parigi 1898; E. Castle, N. L., Lipsia 1902; id., L. und die Familie Löwenthal, Lipsia 1906; S. Rahmer, L. als Mensch und Dichter. Eine pathologische Studie, Berlino 1911; I. Sabger, Aus dem Liebenslebe N. L.s, 2ª ed., Vienna 1925; E. Lemke, N. L., Berlino 1927; R. Bottacchiari, L. e le donne, Roma 1909. Sui poemi drammatici, L. Schröter, L.s Faust, Marburgo 1923; V. Errante, Introduzione alla traduzione del Faust, Milano 1913; C. Siegel, L.s Faust und sein Verhältinis zur Philosophie, in Kantstudien, XX (1917); M. Brie, Savonarola in d. deutschen Literatur, Breslavia 1903; H. Walzer, L.s Savonarola, Francoforte 1925; W. Kroemer, L.s Albigenser, Marburgo 1925; A. Farinelli, Don giovanni, in Giornale storico della letteratura italiana, 1898; H. Heckel, Das Don Juan-Problem in der neueren Dichtung, Stoccarda 1915. Sulla lirica v. L. Reynaud, N. L. poète lyrique, Parigi 1905; H. Bischoff, L.s lyrik, voll. 2, Berlino 1920; L. Maronè, La poesia di L., Messina 1926; G. Gabetti, La poesia di Möricke e di L., Roma 1927; V. Errante, L. ed i suoi Canti dei Giunchi, Bologna 1924; C. v. Klenze, The treatement of nature in the works of L., Chicago 1902; A. Korr, L.s Stellung zur Naturphilosophie, Münster 1932. Su L. e Leopardi v. A. Faggi, L. e Leopardi, Palermo 1898; A. Farinelli, Über L.s und Leopardis Pessimismus, in Verhandlungen des achten Philologentages, Vienna 1898.