NINFE (Νύμϕαι, Nymphae)
Divinità minori venerate dai Greci antichi. L'etimologia del nome è discussa; tuttavia non pare che la parola greca νύμϕη si possa separare dal lat. nubere ("sposarsi"), sicché nympha sarebbe, nel suo significato originario, la fanciulla giunta all'età matura per le nozze. Erano immaginate come genî femminili, vergini o giovani donne, alberganti nei ruscelli, nei fiumi, nei laghi, oppure negli alberi delle selve o nelle grotte dei monti e personificanti, in certo modo, la vita della natura nell'elemento vegetale e nelle acque scorrenti sulla superficie della terra. Benché talora gli dei dell'Olimpo non disdegnassero invitarle alle loro assemblee, tuttavia la loro dimora ordinaria era sulla terra; qua si potevano trovare intente a filare e a tessere, a intonare canti, a danzare o a bagnarsi; spesso anche, quando gli dei si trattenevano sulla terra, le ninfe erano compagne dei loro passatempi o, comunque, della loro attività: cacciavano con Artemide, con Dioniso partecipavano alle estasi bacchiche scorrendo di luogo in luogo, con Apollo ed Ermete s'intrattenevano in amorosi colloquî; spesso in guerra con la schiera dei satiri lussuriosi.
Ma, già nei poemi omerici, le ninfe erano note per la loro benevolenza verso i mortali, essendo anch'esse in qualche modo partecipi dell'umana natura e delle umane sorti, perché spesso immaginate come mortali: se infatti l'albero muore, s'inaridisce la fonte, si dissecca il lago, tosto se ne va anche l'anima della ninfa che vi aveva dimora. E questa simpatia delle ninfe per gli uomini trovava per lo più espressione nell'amore di cui esse spesso si prendevano per adolescenti o per eroi: di tali amori di ninfe per mortali è piena la mitologia, sia la più antica sia quella dei tempi più tardi, che si compiacque di elaborare e complicare le primitive poetiche leggende; tale fu l'amore di Circe e di Calipso per Ulisse, o quello di un'altra ninfa per Ila, o la disperata passione di Eco per Narciso; né meno nota e cantata fu la storia di Dafni, amante infedele di una ninfa e per la sua infedeltà duramente punito.
Alle ninfe non si attribuiva però soltanto la facoltà di destare l'amore per esse nei mortali, ma anche la forza d'infondere negli uomini una sovreccitazione estatica, dalla quale si facevano spesso derivare certe virtù profetiche in coloro che n'erano colpiti: νυμϕόληπτοι si dicevano quest'invasati, e di tale specie sono da riguardarsi anche le sibille; i Latini chiamarono costoro lymphatici (ossia nymphatici; lympha = nympha: vedi più oltre).
Nel linguaggio comune, si usò distinguere con differenti denominazioni le ninfe dell'elemento liquido (sorgenti, fiumi, laghi) da quelle che avevano dimora nelle foreste o sui monti; le prime si chiamarono naiadi (Νηιάδες o Ναιάδες, Naiădes), le altre driadi o anche amadriadi (Δρυάδες, 'Αμαδρυάδες Dryădes, Amadryădes). Le naiadi sono spesso designate da Omero come "figlie di Zeus", che è il signore delle nubi e della pioggia, dal quale perciò discendono tutte le acque che scorrono sulla terra; esse formano la corte preferita di Zeus, di Posidone, di Apollo, di Demetra e sono apportatrici alla terra di fertilità e feconde esse stesse e riguardate perciò come protettrici del matrimonio: νύμϕαι si chiamavano infatti le giovani spose, e, fra i riti nuziali, non si dimenticava mai da parte della fidanzata l'abluzione a una sorgente sacra.
Le driadi e il gruppo, affine ad esse, delle oreadi ('Ορειάδες, Oreădes), o ninfe dei monti, si trattenevano preferibilmente con Apollo e con Ermete, con Pan e coi satiri, giocando o amoreggiando, talora cacciando o pascendo le greggi. Così le naiadi come le oreadi venivano spesso designate, a gruppi, col nome della regione cui appartenevano le acque o le selve montane da loro abitate: si ebbero così le ninfe idee a Creta, le peliadi, le citeroniche, le ismenie, le acheloidi, e così via.
Frequente e diffuso fu il culto delle ninfe nell'antica Grecia, fiorente specialmente nei territorî che s'immaginava offrissero loro più gradita dimora: quivi, nei boschetti, alle sorgenti dei fiumi, nelle grotte dei monti, sulle rive dei laghi, esse venivano venerate per lo più a cielo scoperto, spesso però anche in veri e proprî santuarî, chiamati Ninfe, nei quali si offrivano loro capre, agnelli, latte, olio o vino.
Assai per tempo il culto greco delle ninfe penetrò a Roma, dove esse furono identificate con le divinità indigeti dell'acqua e delle sorgenti (Camene, Carmenta, Giuturna: v.). Probabilmente anzi, l'aedes Nympharum in campo, nota come sede dell'archivio censorio, è da identificarsi con quell'aedes Iuturnae in campo, di cui più volte si fa menzione: è da ritenersi che in questo sacrario, originariamente votato a Giuturna si sia venuto ad aggiungere poi il culto delle ninfe, nel numero delle quali si pone Giuturna stessa. La nozione e il culto delle ninfe, passando dalla Grecia a Roma (probabilmente attraverso la Magna Grecia), diedero origine anche a quell'arcaica e ingenua trascrizione del nome in Lumpae o Lymphae, esprimente in certo modo l'identità di queste dee con la virtù fecondante e salutifera dell'acqua.
S'immaginarono le ninfe come fanciulle di fiorente bellezza, rese ancora più belle dai loro ornamenti di foglie e di fiori; si rappresentarono negli atteggiamenti, a loro più soliti, della danza, del canto, del bagno, con nudi i piedi e le braccia, disciolte le chiome, succinte le vesti, sguardo lieto e sereno; le naiadi più spesso intente ad attingere acqua o a raccoglierla in brocche, le oreadi, sedute o dritte sulle rupi degli alti monti. Si ricordano rappresentazioni di ninfe a rilievo, per mano di parecchi artisti; in tondo, pare le avesse scolpite soltanto Prassitele: di rado vennero rappresentate sole, ordinariamente invece in compagnia di Pan, dei satiri o anche di Ermete. Anche in tutto il territorio dell'impero romano s'incontravano frequenti monumenti o are di ninfe, spesso in compagnia di Apollo, come divinità salutifera.
Bibl.: O. Navarre, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, VII, p. 124 segg.; Bloch, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, III, coll. 500-567; L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1894, p. 718 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, II, p. 826 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., ivi 1912, p. 223 seg.; A. Baumeister, Denkmäler der klass. Altertums, Monaco e Lipsia 1889, II, p. 1031 segg.