BIXIO, Nino
Nacque a Genova il 2 ott. 1821 da Tommaso, impiegato all'Ufficio del marchio, e da Colomba Caffarelli, ultimo di otto figli, e fu battezzato con il nome di Girolamo. La prematura morte della madre lo avviò a un'infanzia disordinata: impetuoso e ribelle, maturò fuori della famiglia e della scuola, in lunghi vagabondaggi per le strade e il porto della città natale. Per questo, il padre lo fece imbarcare come mozzo, nel 1834, su una nave mercantile e, nel novembre 1837, arruolare di forza come "volontario" nella marina militare sarda. Il B. vi rimase quasi sette anni, raggiungendo nel 1841 il grado di allievo pilota; soltanto nel luglio del 1844 il riscatto pagato dal fratello Alessandro gli permise di sbarcare con un anno di anticipo. Ma ormai la sua strada appariva segnata: qualche mese di sosta a Genova, e nel 1845 avveniva il nuovo imbarco su una nave mercantile.
Come il B. stesso dichiarerà varie volte, la vita sul mare aveva rappresentato per lui una scuola preziosa, scuola di azione e di disciplina, cui faceva riscontro, negativamente, la carenza di una istruzione generale, che egli avrebbe faticosamente tentato di conquistarecon una serie di massicce letture, di carattere soprattutto storico e scientifico. Aveva anche rappresentato l'avvio a un lavoro - navigazione e commercio - tipico di molti genovesi, che il B. affrontò con entusiasmo e spirito nuovi, con idee e iniziative audaci.
Nel 1846, dopo alcune clamorose avventure nel mare di Sumatra (contribuiranno anch'esse a dar colore alla leggenda che lo accompagnerà per tutta la vita), il B. fu costretto a tornare con mezzi di fortuna in Europa: da New York arrivò a Parigi, dove si era sistemato il fratello Alessandro, che lo introdusse nei gruppi politici di opposizione alla monarchia di Luigi Filippo. Conobbe allora G. Lamberti, capo della congrega mazziniana in Francia: è il primo contatto finora noto con rivoluzionari italiani, il primo segno di un interesse politico. Anche se è facilmente intuibile che egli non era rimasto estraneo agli ideali democratici e indipendentistici della Genova della sua giovinezza, è certo questa la prima volta che il B. si impegnò in attività politiche, accettando di farsi propagatore nel regno sardo delle idee di Mazzini e diffusore della ristampa della sua lettera a Carlo Alberto del 1831.
Il Piemonte, la Genova del '47, in cui il B. tornò con l'entusiasmo del neofita, vivevano però in una realtà politica diversa da quella che aveva fornito le premesse alla famosa lettera di Mazzini a Carlo Alberto. Era il momento del moderatismo e del riformismo, della speranza per le concessioni liberali e per la lotta all'Austria, mentre in tutta Italia, sulla scia del movimento animato da Pio IX, esplodeva l'entusiastico idillio con i principi e si diffondeva l'ideale federativo. Il B. strinse rapporti con gli elementi repubblicani della città, conobbe la madre di Mazzini e quella dei fratelli Ruffini, si avvicinò - e fu l'inizio di una fraterna amicizia - a G. Mameli. Fece anche propaganda di stretta ispirazione mazziniana, indirizzandosi soprattutto agli ambienti studenteschi, ma finì per accettare, come gli altri democratici genovesi, come i giovani della Società Entelema, l'alleanza con i moderati e l'inserimento nel Comitato dell'ordine, composto da rappresentanti di tutte le tendenze liberali. Era, come molti altri, in una posizione che, pur nella diffidenza verso il sovrano, andava al di là del "tatticismo" mazziniano, e accettava di essere sprone, impulso, pressione verso mete sempre più avanzate, fra cui presto si delineò quella dello scontro con l'Austria. Il B. si rivelò quindi subito come uomo di azione, primo nei cortei, nelle manifestazioni e nei tumulti. Alle prime avvisaglie di guerra, si arruolò volontario.
Sottotenente, il 28 marzo 1848, sotto il diretto comando di Mameli nella legione Torres, composta da Lombardi e Veneti, combatté nel Bresciano; il 19 aprile passò nella Legione mantovana, comandata da A. Longoni (scontro di Governolo); il 21 maggio era nella Legione bolognese di L. Zambeccari (battaglia di Vicenza), restando poi aggregato alle truppe pontificie. Troppo frequenti e troppo rapidi trasferimenti: essi sembrano denunciare una irrequietezza e uno scontento che scaturivano non soltanto dalle deludenti vicende della guerra regia, ma anche da una difficoltà di inserimento nel disordinato ambiente dei volontari, contrario alla sua disciplinata mentalità di uomo di mare.
L'armistizio Salasco rinfocolò nel B., come negli altri democratici, amarezza e delusione, ma un rapido incontro con Mazzini a Milano riaccese le sue speranze. Con Mameli, a Genova, s'impegnò in un'attività politica tendente alla riorganizzazione dei democratici nel Circolo italiano e alla ripresa della guerra per iniziativa popolare. Vi era in Italia vasto campo d'azione per le forze rivoluzionarie, zone apertamente ribellatesi o latenti focolai di rivolta, campo troppo vasto per i democratici che non seppero concentrare le esigue forze e unificare i diversi programmi. Il B. ne è esempio: con i resti della Legione mantovana, verso i primi di novembre, raggiunse in Romagna Garibaldi; suo ufficiale di ordinanza, con lui ispezionò, attraversando le Marche, i confini napoletani. Arrivata la notizia della insurrezione di Genova, raggiunse, in Roma repubblicana, Mameli e ambedue, con la qualifica di inviati straordinari, ripartirono, il 4 apr. 1849, per la città natale, in tempo solo per apprendere la notizia della sconfitta e per assisterealle ultime trattative di resa dei forti occupati dai rivoltosi. Con Mameli e con G. Avezzana, il B. riprese subito la via di Roma; sbarcò a Civitavecchia contemporaneamente alle truppe francesi, e ne trasse occasione per un aperto attacco all'intervento straniero nella sala stessa in cui era adunato il consiglio di guerra del generale Oudinot.
È, il B., personaggio ancora troppo di secondo piano perché la sua figura possa emergere nelle vicende del '49 romano, sia sul piano politico, dominato dalla personalità e dall'ideale di Mazzini, ma in un contesto ricco di incertezze e di contrasti, sia sul piano militare, caratterizzato dal dissidio fra ufficiali regolari romani e ufficiali volontari, fra Garibaldi, Roselli, Pisacane. Più tardi prenderà posizione per l'ultimo contro il primo, giudicato non abile nel comando; ma contro Pisacane entrerà anche in polemica per difendere la correttezza militare di un episodio di guerra. Ancora una volta, il B. rifugge dai contrasti e dalle battaglie ideologiche per rifugiarsi nell'azione: combatte contro i Francesi a villa Corsini il 30 aprile, e per merito di guerra diventa luogotenente; contro i borbonici a Palestrina il 9 maggio, e diventa capitano; nella battaglia sulle mura di Roma del 3 giugno, e diventa maggiore. Dal 14 maggio era capo di Stato Maggiore nella brigata Marocchetti.
Ferito nel combattimento del 3 giugno e curato in un ospedale romano, il B. poté lasciare Roma, occupata dai Francesi, solo verso la metà del novembre 1849. Convinto che ci fosse ancora una possibilità di riscossa, spronato da Mazzini, che ebbe occasione di incontrare a Londra nell'autunno del 1850, riprese a svolgere attività organizzativa repubblicana: nel maggio 1851 era nel consiglio di direzione dell'Italia e popolo, in giugno si trasferiva, finanziato dagli amici, a Torino, con l'apparente scopo di studiare arte militare e prendere lezioni dal generale Roselli, ma molto probabilmente (Morelli, pp. 58 ss.), perché invischiato nella segreta opera di propaganda mazziniana. Ma la situazione non era matura per tentativi di azione, e urgevano invece per lui problemi di lavoro e di famiglia (solo nel gennaio 1855 riuscirà a sposare, dopo un lungo e contrastato fidanzamento, Adelaide Parodi, figlia di una sorella, da cui avrà quattro figli: Giuseppina, Riccarda, Garibaldi e Camillo). Il B., che aveva ottenuto alla fine del 1850 la patente di capitano di lungo corso, riprese la via del mare.
Nel 1853 decise l'attuazione di un'idea a lungo accarezzata: raccogliendo a fatica i capitali, riuscì a costruire, sul modello dei clipper americani, una nave, "Goffredo Mameli", con cui partì il 28 nov. 1855 per l'Australia. Fu una iniziativa che si rivelò disastrosa, per una poco approfondita conoscenza dei mercati e degli ambienti economici locali, oltre che per varie traversie di viaggio, ma il B. ne trasse rinnovato entusiasmo per prospettive di proficui commerci. Il "Mameli" dovette essere subito venduto, sotto pressione dei creditori, al suo ritorno a Genova nel sett. 1857, ma egli mise subito in cantiere un'altra nave, il "Marco Polo", mai terminato per le successive vicende italiane.
Lontano dall'Europa, il B. non era stato toccato che superficialmente dalla tempesta che aveva squassato il mondo dei repubblicani, costringendo Mazzini alla difensiva, ma, a suo modo, aveva ugualmente maturato il distacco dall'antico maestro rifiutandosi a quell'azione dall'altro continuamente invocata. Di sicura fede mazziniana appare ancora nel settembre del 1854, ma un anno dopo simpatizzava già con Garibaldi, esponente principale di quel folto gruppo di democratici che si avviava sulla strada aperta dalla politica piemontese. Al suo ritorno in Italia, il B. non faticò a inserirsi, a divenire anzi elemento di punta, con Bertani e Medici, di quel movimento che abbandonava le pregiudiziali mazziniane per la collaborazione con la monarchia sabauda e con il governo cavourriano, in vista della guerra all'Austria. Ed egli non tornerà mai più politicamente a Mazzini, anche se esalterà sempre l'educazione morale del suo apostolato.
A Genova, dal 1857, il B. curò la propaganda nell'opinione pubblica e la preparazione militare delle forze volontarie: dalle colonne del San Giorgio, divenuto poi Nazione, insistettesulla necessità della dittatura piemontese e della alleanza con Napoleone III, cercando di esercitare contemporaneamente una pressione e una spinta sul governo di Torino. A differenza di Bertani e di Medici, che tentavano in un faticoso travaglio di idee di mantenere organica e intatta una carica ideologica democratica nel movimento nazionale pur abdicando momentaneamente alla direzione, il B. era tutto teso alle prospettive, agli sviluppi e alle necessità del conflitto imminente, in una visione di ampia partecipazione nazionale attraverso l'afflusso dei volontari; era anche profondamente attratto dalla personalità di Cavour, e la sua risposta alla politica cavourriana di aggancio delle forze rivoluzionarie italiane fu senza riserve.
Quando, il 26 apr. 1859, scoppiò la guerra con l'Austria, il B. era già a Savigliano, centro di raccolta dei volontari; maggiore nei Cacciatori delle Alpi, combatté con Garibaldi in Valtellina e, dopo Villafranca, lo seguì nell'Italia centrale, dove urgeva il problema della organizzazione dell'esercito dei governi provvisori, sorti dalla rivoluzione. Nel dissidio scoppiato tra Fanti, esponente della prudente politica del governo piemontese, e Garibaldi, fautore di più ardite iniziative, il B. fu con quest'ultimo, pur continuando a ignorare l'appello che gli rivolgeva Mazzini: "Al Centro, al Centro, mirando al Sud". Quando Garibaldi si dimise, anch'egli (19 novembre) si dimise, ma non lo seguì poi nella sua opera, confusa e slegata, tendente a scavalcare il governo piemontese per un accordo diretto con il re. Continuò a manifestare fiducia in Cavour, e lo cercò anzi, nel febbraio 1860, per vedere se fosse ancora possibile un'intesa con le forze d'azione. Con Bertani, Medici, Crispi, Pilo, cominciò a interessarsi a una iniziativa rivoluzionaria in Sicilia, e si adoperò personalmente molto, sia con Cavour sia con Garibaldi, per scrollarli da un atteggiamento negativo: il primo ormai preso dal difficile problema diplomatico delle annessioni, il secondo perplesso e turbato di fronte alle incognite dell'impresa. Premeva l'ala estrema, repubblicana, del partito d'azione, di cui era maggiore esponente Pilo, per una iniziativa immediata nell'isola, premeva Mazzini per una iniziativa nel centro, e il B. attraversò un momento di incertezza e di turbamento, conclusosi con la maturata convinzione che l'impresa non poteva essere condotta senza il comando militare di Garibaldi, senza il denaro raccolto nella sottoscrizione del "milione di fucili", senza l'assenso, pur tacito, del governo di Torino. La partenza di Pilo e la rivolta di Palermo del 4 aprile ruppero ogni indugio: attivissimo negli ultimi preparativi, il B. prese il comando di una delle due navi, il "Lombardo", che portavano, il 5 maggio, i volontari in Sicilia, e divenne così il "secondo dei Mille".
La sua partecipazione all'impresa si colorò presto, per l'opinione pubblica italiana. di tinte leggendarie, in cui episodi mitici (ricordiamo la famosissima frase di Garibaldi: "Bixio, qui si fa l'Italia o si muore!") si univano a fatti autentici di coraggio e di bravura militare. Al comando del I battaglione, partecipò all'assalto del colle di Calatafimi, su cui si erano arroccate le truppe borboniche; nella riuscita manovra di aggiramento della difesissima Palermo riuscì a far sormontare alle avanguardie garibaldine un pericoloso sbandamento al ponte dell'Ammiraglio e venne ferito a Porta Termini. Assunse poi il comando di una colonna, formata da quattro battaglioni, che, per Corleone e Girgenti, doveva unirsi a Catania con la colonna Türr-Eber, passata per il centro dell'isola, mentre quella Medici aveva seguito il litorale settentrionale, verso Milazzo e Messina. Scopo della manovra: il controllo militare dell'isola, con l'annientamento delle residue velleità di resistenza borbonica, e l'opera di propaganda nella popolazione, con l'arruolamento dei volontari, che dovevano rafforzare le schiere garibaldine. Scoppiata a Bronte una sommossa di contadini, con sanguinosi eccessi, il B. si pose un solo problema, quello militare tradizionale, la necessità cioè per l'esercito avanzante di avere alle spalle zone nell'ordine e sicure, e reagì immediatamente con implacabile durezza.
Il 19 agosto il B., divenuto maggiore dopo Calatafimi, colonnello l'11 giugno e maggior generale il 28 luglio, a capo della 8a divisione passò con Garibaldi lo stretto di Messina, affrontando il primo diretto scontro con i difensori di Reggio, mentre il generale compiva l'aggiramento della città. La strada verso Napoli era aperta, ma, oltre Napoli, le superstiti truppe borboniche si erano attestate sul Volturno, con una maggiore organizzazione, un acceso spirito di lotta e un intelligente piano d'azione, che mirava a sfondare lo schieramento avversario verso Caserta e a puntare sulla capitale. Le truppe garibaldine si erano schierate in difesa dei punti nevralgici della prevista offensiva, in una lunga linea di resistenza: il B. che, al comando di 6.000 uomini, copriva Maddaloni, ebbe il 1º ottobre, a Ponti della Valle, l'ala destra travolta dal nemico, ma resistendo con le altre truppe, tentando un contrattacco e favorito dagli errori dei nemici, riuscì ad evitare la minaccia di un pericoloso aggiramento a tenaglia: sarà sempre particolarmente orgoglioso di questo combattimento, che lo ebbe unico protagonista, con ampia autonomia di comando. Poco tempo dopo, in una caduta da cavallo, si ruppe una gamba e finì in un ospedale napoletano, da cui solo nel dicembre 1860 poté riprendere, con il grado di luogotenente generale (decreto dittatoriale del 29 ottobre), la via di casa.
Uno dei principali protagonisti delle vicende militari della spedizione, il B. quasi scompare sul piano politico: la battaglia che si era ingaggiata a Palermo, tra Crispi e La Farina, e che era continuata a Napoli, intorno a Garibaldi, con la presenza di Mazzini e Cattaneo, sugli sviluppi futuri della marcia rivoluzionaria e sul significato e le modalità del processo di unificazione italiana, non lo vide partecipe. Prevalevano in lui l'interesse e l'impegno per gli aspetti organizzativi e disciplinari dell'esercito garibaldino, un interesse e un impegno che scaturivano non soltanto dalla sua reale capacità di comando, ma anche, forse, da una approfondita negativa valutazione della disordinata azione dei volontari nel '48. Non è possibile, però, affermare la sua indifferenza per la polemica accesasi tra Torino e Palermo, tra Torino e Napoli: tutto il suo atteggiamento posteriore è la riprova di quanto fosse stata profonda la sua accettazione della unificazione italiana sotto la bandiera monarchica e la guida piemontese, la sua accettazione soprattutto dell'opera di Cavour, che aveva radicalmente spazzato i pericoli di complicazioni diplomatiche e di sviluppi politici estremisti con l'invasione delle Marche e dell'Umbria e la presa del potere nel sud.
Del rivoluzionario mondo garibaldino, il B. fu uno dei pochi a inserirsi - e ad essere accettato - nelle alte sfere dell'Italia ufficiale. Ricevette la croce di ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, e il suo grado di generale dell'"esercito meridionale", che si stava con fatica inserendo nei quadri delle truppe regolari italiane, venne riconosciuto, il 27 marzo 1862, con anzianità al 1861. Contemporaneamente, eletto deputato, il B. iniziava la sua vita politica. Sembrava arrivato al culmine della carriera e del successo, e cominciava invece la crisi, una crisi politica e umana, che lo avrebbe logorato negli anni seguenti. In parte egli risentiva di un fenomeno generale, che vedeva la Sinistra italiana, esauritasi nell'azione indipendentistica e unitaria, impreparata e divisa ideologicamente, cercare a fatica una strada, dentro e fuori le strutture politiche del nuovo Stato, tra vecchie esigenze democratiche e nuove istanze sociali; in parte egli soffriva di personali contraddizioni, di intimi dissidi: il rivoluzionario si era fatto uomo d'ordine, il democratico repubblicano era divenuto generale dell'esercito regio.
Il B. scelse la propria strada, sedendo a Sinistra ma proclamandosi indipendente da qualunque schieramento politico: "Domando che, nel nome santo di Dio, si faccia un'Italia al disopra dei partiti" invocò, ergendosi mediatore nel drammatico scontro fra Cavour e Garibaldi alla Camera, nell'aprile del 1861. Si era arroccato nell'idea dell'Italia incompiuta, senza Roma e senza Venezia, e alla meta unitaria indirizzava tutte le sue energie e le sue aspirazioni.
Era una posizione un po' semplicistica, che se aveva avuto un'indubbia validità storica nel difficile momento della lotta contro l'Austria e i regimi assolutistici, permettendo di raggruppare le forze d'azione, risultava ora, dopo il 1860, anacronistica nel momento della difficile costruzione - politica, amministrativa, economica - del nuovo Stato, nel momento in cui l'azione del governo era inceppata dalla impossibilità di poggiare su solide maggioranze, e quella della opposizione si disarticolava in varie direzioni. Prendendo posizione nel decennio seguente, nei grandi problemi in discussione, su base personale, votando cioè a seconda della propria immediata ispirazione, il B. non giovò né ai governi né all'opposizione, non contribuendo alla necessaria chiarificazione all'interno dei partiti. D'altra parte, in una situazione generale confusa, egli esercitò una positiva funzione in determinate occasioni, come elemento di equilibrio e di mediazione fra le parti, in quei primi esperimenti di politica trasformistica ante litteram che permettevano il superamento delle morte gore dell'immobilismo. Così, se le ali estreme e intransigenti dei due schieramenti lo guardarono sempre con sospettosa ostilità (e particolarmente dolorosa per lui fu la rottura con Bertani), non gli mancarono consensi e appoggi, sia da parte di uomini di governo, che tennero a mantenerlo sempre in guarnigioni vicine alla capitale, e lo ricercarono varie volte - da Cavour, nella prospettiva di un'azione rivoluzionaria nell'Europa orientale, a Minghetti, nella preparazione della difficile discussione sulla convenzione di settembre, a Sella, nel delinearsi di una soluzione radicale per la questione romana - sia da parte di uomini di Sinistra che si offrivano a collaborazione ministeriale (e costante fu l'apprezzamento di Depretis).
Eletto deputato a Genova nel 1861, favorito - sembra - da Cavour, il B. nel 1865 non venne rieletto nella città natale, dove vivo era il dispetto per una sua infelice frase (difendendo la cessione di Nizza e Savoia, si era dichiarato disposto, in caso di necessità, a cedere "in pegno" anche la Liguria), ma si era presentato in vari collegi, e poté quindi optare per Castel San Giovanni (Piacenza), dove era stato sostenuto da Depretis, e dove venne rieletto nel 1867.
Parlò sovente e di vari argomenti, con una stile "pittoresco, vibrato, originale" (Guerzoni, p. 257), con un'oratoria impetuosa e militaresca, che animava la Camera. Pensiero dominante fu quello di Roma e di Venezia, che condizionava di riflesso i suoi giudizi nelle questioni più o meno collaterali, dal campo della politica estera a quello della politica interna. La questione romana aggravò la sua indifferenza religiosa e lo portò a una dura posizione nei confronti della Chiesa, la posizione di chi vedeva in Roma il centro della reazione conservatrice e nei conventi italiani tante "fortezze" da espugnare. Ma il terreno su cui si mosse con maggiore profondità, organicità e competenza fu quello militare: chiedeva un esercito forte, ben costituito, pronto a passare rapidamente dallo stato di pace a quello di guerra, e l'intera nazione "educata militarmente" a un eventuale sforzo bellico, e perciò lottava contro le sempre risorgenti proposte di riduzione delle spese militari. Nutrito da molte letture (preferiva le testimonianze dei protagonisti alle costruzioni teoriche), aveva ideato un piano di manovra, che aveva il suo centro in un sistema di piazzeforti, tra Po ed Appennini, e prevedeva l'impiego delle più moderne artiglierie e un'estrema mobilità delle truppe: da qui, il suo vivo interesse, alla Camera, per i problemi relativi alla costruzione di strade e di ferrovie, all'accrescimento e al potenziamento dei porti e allo sviluppo dell'industria metallurgica. La sua competenza si esercitava anche nel settore della marina mercantile e dei traffici commerciali: l'Italia - affermava - doveva essere una grande potenza marittima e il governo doveva quindi non solo occuparsi dell'istruzione nautica, dei porti e delle questioni internazionali legate all'esercizio del canale di Suez, ma incoraggiare, anche finanziariamente, le iniziative private tendenti alla costruzione di navi di grande tonnellaggio e alla ricerca di nuovi mercati in Estremo Oriente, specie in Indocina, e provvedere alla creazione di stazioni commerciali.
Nominato in tutte le legislature membro della commissione generale per il Bilancio, e in particolare assegnato a quelli della Guerra e della Marina, il B. nel 1862 venne inviato come commissario all'Esposizione internazionale di Londra; nel '63 entrò a far parte della commissione creata dal Parlamento per la questione del brigantaggio: non ne approvò completamente la relazione finale, e nelle sue lettere, nelle sue dichiarazioni alla Camera, oltre a un cavalleresco apprezzamento per il coraggio dimostrato dai condannati alla fucilazione, trapela una nuova apertura per i problemi di carattere economico e sociale che travagliavano il Mezzogiorno.
Al di fuori del parlamento era ancora attiva nel paese la forza rivoluzionaria, volontaristica, accentrata nel partito d'azione sotto la guida di Garibaldi e tesa a continuare la propria opera sia in Italia, verso Roma e Venezia, sia nell'Europa orientale agitata da fremiti insurrezionali. Sul piano dei rapporti con il partito d'azione e con Garibaldi, la crisi del B., divenuto uomo d'ordine, si fa ancora più evidente, e, si potrebbe dire, patetica. Non voleva abbandonare il mondo cui era appartenuto, e cercava quindi una forma di conciliazione e di intesa con il governo, nel proseguimento ideale di quella che era stata la politica cavourriana fra il '57 e il '60, offrendosi intermediario garante della buona fede delle due parti.
"L'Italia è fatta e la rivoluzione è finita" proclamava alla Camera, e contro il partito d'azione difendeva la funzione del parlamento, unico rappresentante della volontà nazionale, ma questa funzione difendeva anche contro il governo, come quando protestò per l'emanazione ministeriale dei decreti che costituivano il nuovo regno. Esaltò sempre l'idea - cara alla Sinistra italiana - della "nazione armata" e si batté per il riconoscimento dei diritti degli antichi rivoluzionari e per l'inserimento dell'"esercito meridionale" in quello italiano, ma quando Garibaldi gli chiese di rappresentarlo alla presidenza dei Comitati di provvedimento, che collegavano tutte le società democratiche, con obiettivi di azione radicale per quanto riguardava i problemi di Roma e Venezia, egli rifiutò, e quando fu nominato membro della commissione parlamentare per lo studio del progetto della guardia nobile, se rappresentò la minoranza che protestava per l'esclusione dei giovani e dei proletari, accettò però il principio che gli ufficiali fossero di nomina regia e che la formazione fosse alle dipendenze del ministero della Guerra, radicalmente trasformando quella che era stata l'ispirazione di Garibaldi nella sua relazione del 15 giugno 1861.
Sembrò talvolta che la sua speranza di un'intesa, di una marcia concorde, trovasse terreno favorevole: con Cavour, già alla fine del 1860, dopo un colloquio con Mierosławski, aveva studiato la possibilità di incoraggiare le insurrezioni nell'Europa orientale, in stretto contatto con Garibaldi. Con Ricasoli, che il B. non apprezzava, poté proseguire un'attività tesa alla diffusione, attraverso l'istituzione dei "tiri a segno", della istruzione militare. L'avvento di Rattazzi alimentò le sue speranze di una rinnovata intesa fra governo e rivoluzione: nella primavera del 1862 il B. accompagnò il generale nel suo trionfante viaggio nell'Italia settentrionale ("Garibaldi è l'uomo... Dio voglia che lo comprenda il governo"), ma il governo non lo comprese, lo fermò anzi a Sarnico e ad Aspromonte. E il B., che si era illuso fino all'ultimo, dichiarandosi pronto a partire al primo appello di Garibaldi, quando l'appello arrivò dalla Sicilia, non rispose, limitandosi poi a parlare sdegnato alla Camera contro il governo in difesa del suo vecchio capo. Ancora nel 1864, interpellato dal sovrano, si fece attivo intermediario per una progettata spedizione garibaldina nell'Europa orientale. Ma era ormai evidente che, a parte velleità personali di Vittorio Emanuele, non era più possibile un'intesa fra la politica del governo, ormai condizionata da una posizione conservatrice sul piano internazionale e sul piano interno, e le forze rivoluzionarie, e il B., pur continuando a offrire il suo aiuto a Garibaldi, dichiarandosi pronto a dimettersi dall'esercito, lo dovette fare con una certa fatica, e Garibaldi probabilmente lo capì, perché non lo chiamò più, né nel 1866, quando organizzò le truppe volontarie contro l'Austria, né nel 1867, quando avviò l'infelice tentativo rivoluzionario nello Stato pontificio.
Anche come generale, il B. aveva avuto le sue delusioni, guardato con diffidenza dall'alta ufficialità piemontese, con l'eccezione di Della Rovere, Della Rocca e Cialdini, e tenuto sempre in guarnigioni modeste, in posizione subordinata: solo nell'ottobre del 1863 ebbe il comando effettivo di una divisione ad Alessandria. Ma dalla vita militare egli trasse le soddisfazioni maggiori, la possibilità di applicarsi all'addestramento delle truppe secondo i propri principi. Fece anche viaggi di studio in Europa, come quello compiuto nel 1865 in Francia, Germania, Olanda e Inghilterra, per la visita a piazzeforti, industrie metallurgiche, porti militari.
Il B. accolse con particolare entusiasmo la guerra del 1866, che sembrava rispondere alle sue aspirazioni di azione e all'attuazione del suo ideale unitario, e che gli permetteva di cimentarsi al comando di una grande unità. Fu una delusione: negli ampi, slegati, disorganici combattimenti, che presero il nome di battaglia di Custoza, la sua divisione, dopo aver respinto, con quella del principe Umberto, l'attacco nemico davanti a Villafranca, restò immobile, fedele alla consegna di Lamarmora di "tener fermo", nonostante le insistenze del re per un contrattacco, mentre le altre divisioni subivano alterne vicende.
L'amarezza del B. per gli sviluppi della guerra crebbe con la crisi del 1867, che, se segnò, con Mentana, il tramonto del garibaldinismo, mise anche in luce le carenze e gli errori dell'Italia ufficiale. Fu sotto la spinta di questi avvenimenti, e forse per una maturata, onesta consapevolezza dell'esaurimento di una propria funzione - oltre che per necessità economiche - che egli si decise ad abbandonare la politica e l'esercito (dopo esser stato nel settembre 1866 al comando della divisione territoriale di Brescia, nel 1867 era passato a quella di Perugia) e a riprendere la via del mare. Con giovanile entusiasmo, in mezzo a gravi difficoltà finanziarie (e particolarmente dolorose furono per lui le numerose ripulse alle richieste di aiuto, specialmente quelle provenienti dalla Sicilia), iniziò la costruzione a Newcastle di una grande nave di 3.000 tonnellate, a vela e a vapore: il "Maddaloni". Nel febbraio del 1870, dopo un breve soggiorno alla divisione territoriale di Livorno, fu messo in disponibilità, il 6 febbraio nominato senatore, ma era ormai estraneo alla vita politica, tutto preso dalla costruzione della sua nave. Lo distolse lo scoppio della guerra franco-prussiana, il problema di Roma ridivenuto di drammatica attualità la decisione del governo di richiamarlo, in agosto, in servizio, destinandolo al comando di Bologna, per un progettato attacco allo Stato pontificio. La scelta del B. a comandante della 2a divisione, che dal nord doveva investire la città, aveva un profondo significato politico: la presenza dell'ex generale garibaldino al fianco di Cadorna suggellava un legame ideale fra le forze volontarie e regolari, un legame ideale con coloro che avevano combattuto a Roma nel 1849. Fu, per il B., un momento di profonda soddisfazione, di rinnovata gloria su piano nazionale. Ma fu un momento: nell'aprile del 1871 di nuovo posto in disponibilità, in giugno collocato a riposo, egli tornava alla sua nave e alla preparazione del viaggio. Il 6 luglio 1873 partì da Messina per Batavia e per Singapore. Nel mare di Sumatra, colpito da febbre gialla, moriva qualche mese dopo, il 16 dic. 1873. La sua tomba provvisoria, in un isolotto, venne profanata dagli indigeni, e solo alcuni anni più tardi i suoi resti, rintracciati sulla spiaggia di Atcin, trovarono sepoltura definitiva a Genova.
La leggenda del B. si era già affermata lui vivente, alimentata dalla rievocazione di tante avventure, fantastiche e reali, e dal fascino di un complesso carattere, capace di rabbiose violenze e di sentimentali abbandoni. La letteratura garibaldina avrebbe contribuito a mantenerla viva (e basti ricordare le Noterelle di G. C. Abba e i Mille di G. Bandi), perché il B. finì per impersonare, meglio di tanti altri, il "garibaldinismo" nel suo momento e nella sua forma migliore, più suscettibile di essere popolarmente capita, espressione più che di una costruita e fredda ideologia, di un ethos morale, di una profonda passione, che si traducevano in pura azione, puro sacrificio nella tormentata aspirazione a una patria, ad un mondo migliore.
Fonti e Bibl.: Le carte del B. sono conservate nella Bibl. Univ. di Genova; l'Epistolario è edito a cura di E. Morelli (voll. 4, Roma 1939-1954). La prima biografia è di un amico, G. Guerzoni, La vita di N. B., Firenze 1875: è una delle più valide per l'ampiezza della impostazione e per il tentativo di una critica interpretazione. Documentandosi su carte di famiglia, getta maggior luce sulle vicende private e sull'attività militare il genero, G. Busetto, Notizie del gen. N. B., Fano 1876; G. C. Abba, Vita di N. B., Torino 1905, traccia un profilo sbiadito, che non raggiunge l'efficacia della pur frammentaria rievocazione delle precedenti opere "garibaldine". Ebbe la particolare - e piuttosto immeritata - fortuna di due edizioni in un anno C. Lazzarini, N. B. Cenni storici-biografici, Bologna 1910; E. Codignola, B., Milano 1948, ha dato interessante rilievo all'ambiente genovese - agli sviluppi politici del pensiero del B. ha dedicato un corso universitario (in dispense) E. Morelli, L'opera politica di N. B., Roma 1967. Fra i lavori biografici minori si ricordano: F. De Sanctis, N. B., in L'Illustrazione ital., 22 apr. 1877 p. 242; R. Bianciardi, Sulla vita del gen. N. B., in Riv. milit. ital., XXI (1876), pp. 389-433; P. Del Vecchio, Cenni biografici di N. B., in Il Risorg. ital., a cura di L. Carpi, Milano 1886, III, pp. 490-509; F. Sclavo, Ai nomi illustri di Nino e di Alessandro Bixio, Torino 1907; U. G. Oxilia, N. B., in Nuova Antologia, 16 apr.-1º maggio 1908, pp. 622 ss., 21 ss. Fra i saggi dedicati a argomenti particolari: G. Busetto, "Il MaddaIoni", ultima impresa di N. B., Bologna 1877; P. Del Vecchio, N. B. e l'Indocina, Genova 1877; R. Cadorna, N. B. e la presa di Roma, in La liberazione di Roma dell'anno 1870 e il plebiscito, Torino 1889, App., pp. 520-526; A. Cavaciocchi, Il priore Rondelli e il gen. B., in Mem. stor. militari, I (1909), pp. 83-84; G. Cappello, Le aspirazioni di N. B. alla vigilia della spedizione dei Mille,ibid., V (1911), pp. 99-108; A. Neri, Un episodio della vita di N. B., Genova 1912 (attività politica e giornalistica dopo il 1849); G. Ferretti, B. e Garibaldi. Note su un episodio della difesa di Roma, in Rass. stor. del Risorg., III (1915), pp. 658-665,C. Pariset, Amici e avversari anconetani di N. B., in Giorn. stor. e lett. della Liguria, XIII (1937), pp. 191-196; E. Morelli, Garibaldi e N. B. per l'indipendenza della Polonia e della Ungheria, in Camicia rossa, XIII (1937), pp. 75-77; S. Bozzetti, Sulle parole di Garibaldi in risposta a quelle di N. B. proponenti la ritirata da Calatafimi, in Arch. stor. lombardo, V (1940), pp. 387-388; O. Danese, Il "San Giorgio" di B., in Il Lavoro, Genova, 5 dic. 1942; T. Monicelli, Il ritorno a Genova delle ceneri di N. B., in Camicia rossa, XIX (1943), pp. 23-24; P. Fortini, N. B. marinaio, in Grandi navigatori dell'Ottocento, Roma 1950, pp. 7-114; N. Milano, Garibaldi e B. nel diario di un garibaldino pavese, in Boll. della Soc. pavese di storia patria, VII (1955), pp. 96-97; S. Cella, N. B. a Pola nel 1868, in Difesa adriatica, 28 sett.-4 ott. 1957; C. Arrigoni, N. B.... le sue ferite,la sua morte, in Minerva medica, 1960 (estratto); L. Tironi, B. nel 1860, in Studi garibaldini, II (1961), pp. 175-185. Sui fatti di Bronte, che sembrano aver ispirato a Verga nel 1882 una delle sue più belle novelle, "La libertà", usci il saggio di B. Radice, N. B. a Bronte. Episodio della rivoluzione italiana del 1860..., in Arch. stor. per la Sicilia orient., VII (1910), pp. 262-294, 412-452, documentata e obbiettiva ricostruzione di un avvenimento piuttosto complesso nella sua genesi e nel suo sviluppo; la ristampa effettuata a cura di L. Sciascia, Caltanissetta-Roma 1963, e più ancora l'introduzione, di duro tono polemico, ha riproposto, al suo apparire, agli studiosi alcuni problemi, riguardanti sia la rievocazione letteraria del Verga, sia l'interpretazione della tradizionale storiografia liberale, considerate forzate in senso conservatore e reazionario. Sono numerose, naturalmente, le opere di carattere generale che hanno, tra i protagonisti, anche il B.: di particolare utilità, P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, ad Indicem.