NANNETTI, Nino
– Nacque a Bologna il 29 aprile 1906 da Enrico, infermiere all’ospedale Sant’Orsola, e da Argia Rossi.
Completati gli studi elementari, lavorò come operaio meccanico alla Sabiem di Bologna, coltivando al contempo lo studio da autodidatta; il convinto antifascismo, combinato alla formazione, gli permise di divenire dirigente della Federazione giovanile socialista nel 1923, due anni dopo avervi aderito. Negli anni seguenti si scontrò più volte con i fascisti, riportando lesioni che non lo distolsero tuttavia dall’impegno politico, orientato all’unificazione delle anime dell’opposizione al regime.
Nel settembre 1926 partì con una delegazione di operai, in rappresentanza dei giovani socialisti, per una visita in Unione Sovietica organizzata dal Partito comunista d’Italia (PCd’I). Espatriò con un passaporto a nome Mario Bianco, attraversò Svizzera, Austria, Germania, Lettonia, Lituania e giunse a Mosca. Nel febbraio 1927 intraprese il viaggio di ritorno con un nuovo passaporto a nome Giuseppe Bianco; giunto a Parigi, vi si trattenne sino al mese di maggio per poi rientrare in Italia attraverso la Svizzera.
L’esperienza lo aveva avvicinato al PCd’I e segnato profondamente; come ebbe a scrivere ai genitori cinque anni dopo, quando attraversava l’Europa come funzionario della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI): «Posso dirvi che da quando sono partito ho fatto un cambiamento tale che non mi riconosco più. L’orizzonte delle conoscenze si è ampliato, il mondo con tutti i suoi problemi non sono più una cosa sconosciuta. La vita che faccio non la cambierei con un pacifico borghese» (Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3480, f. 19620, Nannetti, Nino).
La polizia politica conosceva i suoi spostamenti e ne attendeva il rientro dal viaggio in Russia: lo arrestò a Genova, dove lavorava come meccanico alla Ansaldo San Giorgio di Sestri Ponente. Tradotto a Bologna, rimase in carcere sino al 19 ottobre 1927 per il reato di espatrio clandestino; al rilascio, nonostante diffida e sorveglianza, tornò alla politica spingendo la gioventù socialista verso il PCd’I. Il 9 gennaio 1928 fu nuovamente arrestato e assegnato a tre anni di confino di polizia dalla commissione provinciale bolognese per «attività comunista in Italia e all’estero». Scontò la pena nella colonia di Lipari, dove giunse il 17 febbraio 1928, ma fu prosciolto anzitempo per disposizione del capo del governo.
Il 12 febbraio 1930 rientrò a Bologna e riprese a battersi per la causa comunista; ancora sorvegliato, riuscì a sfuggire all’arresto espatriando clandestinamente nell’agosto dello stesso anno. La fuga gli valse lo stralcio dal processo concluso nel giugno 1931 e istruito dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato contro la cellula bolognese di cui era membro. Dopo brevi periodi a Berlino e Zurigo, si stabilì a Parigi, svolgendovi attività ad alto livello per gli organismi del PCd’I con lo pseudonimo di «Bassi». Partecipò a conferenze delle forze antifasciste internazionali, contribuendo alla loro organizzazione e viaggiando attraverso l’Europa: il 10 aprile 1931, all’XI Congresso della FGCI tenuto a Zurigo, venne eletto al Comitato centrale, nell’agosto 1932 partecipò al Congresso internazionale di Amsterdam contro la guerra, nel giugno 1933 prese parte al congresso antifascista europeo di Parigi.
Negli anni successivi gli scarsi introiti lo costrinsero ad affiancare un’altra occupazione all’attività politica; spostatosi prima a Montauban poi a Tolosa, lavorò come autista, manovale, meccanico. Nel 1933-34 rischiò l’espulsione per le lungaggini nell’ottenere documenti regolari; analogo rischio corse una volta arrestato per aver contestato un deputato fascista durante un comizio. Alla ricerca di persone amiche da contattare in altri paesi, dovette spesso ricorrere all’aiuto dei genitori; accantonato l’iniziale sogno di raggiungere l’America, guardò alla Svizzera, dove risiedevano amici di famiglia, e alla Palestina, dove i fratelli della fidanzata Szyfra Lipszkck, ebrea polacca, sognavano di aprire un’attività.
Non fu la minacciata espulsione, bensì la situazione spagnola a portare Nannetti lontano dalla Francia. Privo di qualsiasi esperienza militare, perché riformato per motivi di salute, fu tuttavia fra i primi italiani a giungere a Barcellona il 20 luglio 1936, all’indomani dello scoppio della guerra civile. Si spostò rapidamente a Tardienta e partecipò al primo attacco a Huesca da dove organizzò una ‘batteria fantasma’: insieme a un compagno bombardò la città con un cannoncino da 75 montato su un camion, spostandosi in continuazione per dare ai fascisti l’impressione che fosse all’opera un’intera batteria. L’azione, pienamente riuscita, gli valse l’incarico di organizzare i 500 membri della gioventù socialista unificata di Catalogna; istruito il battaglione, lo condusse a Madrid il 18 settembre 1936, dove si mise a disposizione del V reggimento combattendo a Brunete e Chapinería in difesa della capitale. Passato da commissario politico a comandante militare, nel mese di novembre comandò sei battaglioni in difesa della Sierra Guadarrama e della strada della Coruña contro le truppe marocchine di Franco. Nominato tenente colonnello, dopo aver preso parte ai combattimenti di Valdemorillo fu promosso capo di brigata e in seguito di divisione col compito di contrastare l’offensiva fascista a Guadalajara. Nel maggio 1937, poco prima di essere trasferito a Bilbao con il grado di generale, in un’intervista rilasciata a Teresa Noce «Estella» (riportata in Albertazzi-Arbizzani-Onofri, s.d.; Andreucci-Detti, 1973; Arbizzani, 1980), parlò della composizione della sua divisione : tre brigate di dodici battaglioni, un reggimento di cavalleria, due treni blindati, un battaglione di genieri per le fortificazioni per un totale di 10.000 uomini, tutti spagnoli. Giunse a Bilbao dove, fra l’11 e il 16 giugno, comandò diverse divisioni nei combattimenti di Monte Urkullu, Pagasarri, Zalla; qui il 16, fu ferito alla spina dorsale da un proiettile di mitraglia sparato dall’aviazione franchista.
Un mese dopo, il 21 luglio 1937, spirò all’ospedale di Santander; la notizia della sua morte comparve sulle colonne di testate antifasciste francesi, fu annunciata da l’Unità, destò scalpore nella natia Bologna.
Da Nannetti prese il nome una delle maggiori divisioni operative in Veneto nei mesi della Resistenza, i cui organizzatori riconobbero nell’eroe della guerra di Spagna un esempio politico e militare. Caduto trentunenne col grado di generale, trovava così ampio riconoscimento per l’impegno di antifascista che i familiari non avevano condiviso, a esclusione della sorella Maria, a lui vicina e fidanzata col perseguitato politico Marx Tassoni. Nannetti, pur non trovando in famiglia sostegno alle sue scelte politiche e di vita, mantenne con i genitori e i fratelli minori (Giuseppe, Giovanna, Romolo e Maria) stretti rapporti affettivi ed epistolari, ricevendo numerose lettere indirizzate, nel tentativo di ingannare la censura di regime, al suo vecchio pseudonimo «Bassi». Nelle lettere alla famiglia, oltre allo spazio per le questioni private legate soprattutto alle condizioni di salute di genitori e fratelli, trasparivano una lucida analisi dei tempi, la percezione di una guerra imminente, la fiducia nella scelta comunista. Già durante il confino scriveva ai genitori protestando contro le iniziative di richiesta di grazia del padre; negli anni dell’esilio francese oppose fermi rifiuti ai tentativi di alcuni familiari di convincerlo a un compromesso col fascismo, salvo mantenere inalterato l’affetto per i cari lontani. Analogamente, espresse dissenso per le nozze della sorella Giovanna con un medico siciliano fondatore del Fascio di combattimento del Paese natale; la sua scelta di vita si collocava infatti agli antipodi, grazie a un duraturo legame con Szyfra Lipszkck detta Jaska, nella quale dal giugno 1933 aveva trovato una compagna di vita e di lotta.
Fonti e Bibl.: Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3480; Confinati politici, b. 702; Polizia politica. Fascicoli personali 1927-1944, b. 887; Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Fascicoli processuali, b. 418; Milano, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, Associazione italiana com-battenti volontari antifascisti di Spagna, b. 8, f. 53; b. 40, f. 158; Arch. AICVAS (Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna), b. 6, f. 36; b. 35, f. 131. A. Albertazzi - L. Arbizzani - N.S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Bologna s.d. (www.istitutostorico.com); Pionieri dell’Italia democratica, a cura di A. Dal Pont - L. Zocchi, Roma 1966, pp. 193-198; Dizionario biografico del movimento operaio italiano, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1973, pp. 644-648; L. Arbizzani, Antifascisti emiliani e romagnoli nella Resistenza, Milano 1980, pp. 104-107; L’Italia dissidente e antifascista, a cura di A. Dal Pont - S. Carolini, I, Milano 1981, pp. 519 s.; A. Dal Pont - S. Carolini, L’Italia al confino, III, Milano 1983, p. 855; Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, IV, Milano 1984, pp. 6 s.; Antifascisti nel casellario politico centrale, a cura di Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, XIII, Roma 1993, p. 239; La Spagna nel nostro cuore, a cura di AICVAS, Roma 1996, p. 327; F. Giannantoni - I. Paolucci, Giovanni Pesce “Visone”, un comunista che ha fatto l’Italia, Varese 2005, p. 38.