PALUMBO, Nino
PALUMBO, Nino. – Secondogenito di Domenico, artigiano, e Gaetana Moscatelli, nacque a Trani il 15 aprile 1921.
All’età di undici anni si trasferì con la famiglia a Bari; costretto dalle precarie condizioni economiche ad abbandonare le scuole, lavorò per due anni come apprendista elettrotecnico e fattorino. Solo in seguito poté riprendere gli studi ginnasiali, presso il liceo Orazio della città. Tra i pochissimi libri cui ebbe accesso nell’adolescenza, si contano I miserabili, Il conte di Montecristo, I promessi sposi. Nel 1938, persistendo le difficoltà finanziare del padre, l’intera famiglia si trasferì a Milano, dove, dopo un periodo di apprendistato, Palumbo entrò come impiegato in un ente parastatale, frequentando i corsi serali e diplomandosi nel ’39 in ragioneria; nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di economia e commercio dell’Università Bocconi. Chiamato alle armi come ‘volontario universitario’, con destinazione le isole del Dodecaneso, non partì mai per il fronte a causa del precipitare degli eventi nel 1943. Dopo l’armistizio e il ritorno a Milano, ebbe modo di avvicinarsi alle formazioni antifasciste di «Giustizia e libertà». Con la fine della guerra riprese gli studi: nel ’46 completò il corso di laurea in economia e l’anno seguente – conseguita anche la maturità classica – si iscrisse dapprima a giurisprudenza e, dopo due anni, alla facoltà di lettere. Nel 1951 lasciò Milano e un redditizio mestiere di commercialista per trasferirsi in Liguria, a San Michele di Pagana, dove si dedicò interamente alla scrittura. Nello stesso anno sposò Donatella Cozzio, da cui ebbe i figli Domenico e Franca.
Tracce delle vicende familiari e del difficile percorso di formazione e di ricerca della propria vocazione confluirono nei racconti stesi tra il 1952 e il 1955, raccolti successivamente in Oggi è sabato e domani è domenica (Roma 1964) e L’intoppo e altre cose (Bari 1993). Furono, quelli seguiti al trasferimento, anni di studio teso a colmare le molte lacune letterarie: lesse più volte la Commedia di Dante e si avvicinò alla letteratura ottocentesca russa (soprattutto Gogol΄ e Dostoevskij) e francese, trovandovi antidoti alla dominante moda americana (cfr. N. Palumbo, Ritorno alla tradizione, in L’Antologia, I [1955], 5, p. 3). Importante fu anche l’apporto di certa letteratura teatrale, August Strindberg e Henrik Ibsen, «evidente nell’uso del dialogo come del monologo, e nella struttura stessa, una sorta di teatro da camera», di alcune sue opere giovanili (S. Martelli, Itinerario della scrittura palumbiana, in N. P. vent’anni dopo…, 2004, p. 20).
Opere teatrali furono le sue prime prove, scritte tra il 1947 e il 1951, cui vanno aggiunte le pièces appena successive Il processo, Caino e non Abele. Lavorò in maniera frenetica anche ai primi romanzi, rimasti inediti: Ho trovato un eroe, La via verso se stesso, Gli appunti di Tell, Noi siamo tarati, Ninfe macabre e bambole viventi, Al cinque; lavori, specie gli ultimi, che rielaboravano una materia autobiografica, d’ambiente spesso meridionale, poi variamente ripresa nei romanzi successivi (ibid., p. 22).
Negli anni dell’apprendistato letterario un ruolo importante ebbe la corrispondenza con Vittorini, cominciata nel 1954 e proseguita per i due anni successivi. Palumbo sottopose al giudizio dello scrittore siciliano alcuni racconti e il romanzo, rimasto inedito, Noi siamo tarati, avanzando la propria candidatura per i «Gettoni»: ne ricavò alcuni consigli, ma un rifiuto netto a comparire tra gli autori della collana Einaudi. Degli stessi anni fu il contatto con Carlo Salinari, anch’esso documentato da un cospicuo epistolario. A una iniziale adesione di Palumbo alle posizioni che il critico andava sostenendo in quegli anni sulle pagine della rivista Il contemporaneo, si sostituì, specie dopo la stroncatura salinariana di Pane verde, una maggiore distanza, fino alla coscienza di una diversità intrinseca dei propri mezzi.
Nel 1955, lasciando da parte Al cinque, Palumbo si dedicò alla stesura di Impiegato d’imposte (Milano 1957), il primo lavoro compiuto destinato alle stampe: il romanzo, sebbene ancora legato ai moduli del neorealismo, si distaccava da quella temperie grazie alla sottigliezza del processo psicologico, con il quale l’autore si calava nella vicenda di un grigio impiegato, sollevando il racconto dalle secche della cronaca (cfr. G. Manacorda, in Nel realismo oltre il realismo, in Misure critiche, XX [1990], 74-75, pp. 5-12).
Il giornale (Milano 1958) narrava le vicende di un altro impiegato, un nuovo inetto in rotta con il mondo, questa volta descritto però con caratteri decisamente letterari. Nel 1957 Palumbo cominciò la composizione di Pane verde (ibid. 1961), prima parte di una trilogia che non vide mai la luce, nella quale molta della materia memoriale e autobiografica, variamente presente nelle prime prove, trovava finalmente una disposizione meditata.
Composto all’incirca negli stessi anni, nel 1962 apparve Le giornate lunghe (ibid.), racconto lungo che sembrava presagire, con Il giornale e i racconti successivi di Giocare di coda (ibid. 1967), i nuovi modi della scrittura palumbiana, popolata ormai di personaggi alienati e caratterizzata dal ricorso sempre più massiccio alla satira e a una ironia distaccata, subentrata alla partecipazione pietosa dei romanzi dei primi anni.
Nel 1960 Palumbo fondò la rivista Prove di letteratura e arte; nel progetto furono coinvolti Sebastiano Addamo, Gian Carlo Artoni, Giorgio Bàrberi Squarotti, Leonardo Sciascia, Bartolo Cattafi, Carlo Montella e Giovanni Cattanei.
Serrata in difesa di una letteratura d’impegno e nello stesso tempo cosciente dell’invecchiamento di certo realismo, la rivista si trovò presto a trasformare, almeno in parte, la sua linea: già nel ’65, assieme a un rinnovamento della veste grafica, nuovi collaboratori (Walter Mauro, Marco Forti e Sergio Pautasso) determinarono un’apertura ad alcune delle istanze dello sperimentalismo. Dal 1962, all’attività della rivista si affiancò quella dell’annuale premio letterario per testi inediti «Rapallo-Prove»; rivolto dapprima a testi di poesia, dal secondo anno di attività coinvolse la narrativa, premiando, tra gli altri, Luigi Davì, Carlo Sgorlon, Fiora Vincenti. Il premio, divenuto poi biennale, ebbe alla presidenza Maria Bellonci e successivamente Mario Sansone.
Risale alla metà degli anni Sessanta la collaborazione di Palumbo a Diogene, rivista ligure di cui divenne direttore qualche anno dopo insieme a Vico Faggi, Adriano Guerrini e Cesare Garelli. Collaborò inoltre con il Corriere mercantile, Il Ponte, La Fiera letteraria, Il Contemporaneo, La Gazzetta del Sud, La Gazzetta del Mezzogiorno, con la Televisione svizzera italiana e con la Rai, per cui preparò la sceneggiatura de Il commissario De Vincenzi, interpretato da Paolo Stoppa. Con Bàrberi Squarotti, Garelli, Cattanei e Manacorda, partecipò alla creazione di una pagina letteraria sul Corriere mercantile, Il rigamatta; apparsa nell’ottobre 1979, fu uno spazio di riflessione e progettazione letteraria.
Palumbo fu iscritto al Partito socialista italiano (PSI), nelle cui liste venne eletto consigliere comunale a Rapallo; fece parte del direttivo dell’Associazione Italia-Urss per la Liguria e dell’Associazione partigiani della Liguria.
Frutto di un lavoro decennale di riflessione sulla forma romanzo, ma scritto in un periodo piuttosto concentrato, nel 1977 apparve Il serpente malioso (Roma). Il romanzo portava tracce di un evidente rinnovamento: a un personaggio debole e alienato, che sembrava rispecchiare il pessimismo amaro dello scrittore nei confronti di una società impoverita e senza valori, facevano da corrispettivo una inedita sperimentazione linguistica e una costruzione complessa delle sequenze narrative, con largo uso di flashbacks. Concepito negli stessi anni, ma apparso cinque anni dopo, Domanda marginale (Foggia 1982) proseguiva nel solco tracciato dal romanzo precedente, ponendo al centro della vicenda un eroe negativo, vuoto, dominato dalla nevrosi; a fronte di vicende minime, ridotte all’osso, emergeva anche in questa prova la centralità della lingua, dello stile, della struttura. Negli ultimi anni Palumbo lavorò a lungo a un nuovo romanzo, Quattro donne, che tornava a prelevare materiale dalle proprie vicende autobiografiche; nel «suo mancato Bildungsroman», Palumbo cercò di dare soprattutto spazio al «background storico-sociale degli anni 1939-1941», humus in cui si sarebbe dovuta realizzare la maturazione sentimentale e politica del protagonista (Martelli, Itinerario della scrittura…, cit., p. 32). Il romanzo rimase incompiuto.
Morì, inaspettatamente, il 6 marzo 1983 a Genova per conseguenze post-operatorie.
Opere. Fra le opere non citate nel testo, si ricordano ancora: le edizioni scolastiche Il treno della speranza (Milano 1967: antologia che raccoglie brani da Impiegato d’imposte, Il giornale, Pane verde, Le giornate lunghe, oltre a racconti tratti dal volume Oggi è sabato e domani è domenica); la riduzione del romanzo Pane verde (ibid. 1969), I racconti del giovedì (Bari 1974), Il quadrifoglio, Allegro, ma non troppo (entrambe ibid. 1976); L’intoppo, a cura e con introd. di S. Martelli (ibid. 1993), che pubblica il racconto in una versione giovanile.
Fonti e Bibl.: Scandiscono la fortuna postuma di Palumbo le miscellanee: Le stagioni di N. P., a cura di S. Martelli, Foggia 1983 (v. in particolare: R. Frattarolo, Ipotesi di lavoro per una bibliografia su N. P., pp. 348-363; L. Biondi, Bibliografia palumbiana (1978-1982), pp. 365-377; nonché Il «Carteggio» P. - Salinari, pp. 316-342; Nel realismo oltre il realismo, Giornata nazionale di studi su N. P., Rapallo, 19 marzo 1988, a cura di F. De Nicola, in Misure critiche, XX (1990), 74-75, pp. 1-198; F. De Nicola, «Prove di letteratura e arte»(1960-1981), ibid., pp. 167-198 (contiene una breve storia della rivista Prove e l’indice di tutti i fascicoli); N. P., vent’anni dopo, a cura di F. De Nicola - P.A. Zannoni, Venezia 2004. Propongono un quadro d’insieme sull’attività di P., sebbene in corso d’opera: S. Folliero, Invito alla lettura di N. P., Milano 1976; S. Martelli, N. P., Firenze 1979. Si vedano, inoltre: G. Manacorda, N. P., in Novecento (Marzorati), Milano 1989, XI, pp. 376-393. Per il rapporto tra P. e Vittorini: Carteggio Vittorini - P., a cura di A. Jacomuzzi, in Italianistica, VI (1977), 1, pp. 126 s.