Vedi NISIBIS dell'anno: 1963 - 1996
NISIBIS (arabo Nasibin; greco Νίσιβις)
La città di N. sorgeva sul sito ora occupato dal moderno villaggio di Nusaybin, importante centro ferroviario turco al confine con la Siria, a circa 200 km ad E di Charrae (Harrān). La città si trova già menzionata, con il nome di Naṣibina, in iscrizioni assire risalenti agli inizî del I millennio a. C. Nel III sec. a. C., N. fece parte del regno di Seleuco Nicatore, il quale la ribattezzò con il nome di Antiochia Mygdonia. Col decadere dei Seleucidi nel Il sec. a. C., la città cadde in mano al regno d'Armenia ed in seguito ai Parthi.
Come centro fortificato al confine tra la pianura mesopotamica e i monti dell'Antitauro, N. ebbe parte notevole nella lotta secolare tra l'Impero romano ed i Persiani (Arsacidi prima, Sassanidi poi). Nel 68 a. C. fu presa da Pompeo e rimase in mani romane fino alla disfatta di Crasso (65 a. C.). Da allora fino ad oltre la metà del II sec. d. C. N. fece parte dell'impero arsacide, salvo un brevissimo periodo in cui fu occupata da Traiano (115 d. C.). Nel 165 d. C. i Romani, al comando di Lucio Vero, la riconquistarono stabilmente. Alla fine del Il sec. apparterrebbe la menzione di N. nella iscrizione in Abercio (linea 10) nella quale starebbe a indicare i più remoti confini dell'impero. Nel 365 d. C. Gioviano, successore di Giuliano l'Apostata, fu costretto a cedere N. ai Sassanidi a condizione che la popolazione potesse trasferirsi in territori controllati da Roma. Ciò provocò lo spopolamento della città, allora centro economico, intellettuale e religioso assai fiorente e vivace. La maggior parte degli abitanti emigrò ad Amida (odierna Diyarbakir).
La scuola teologica locale, fondata da S. Giacomo vescovo della città, si trasferì invece ad Edessa, dove, sotto la direzione di S. Efrem, continuò i suoi corsi con il nome di "Scuola dei Persiani". Implicati nelle violente dispute tra diofisiti e monofisiti, i successori di Efrem (Iba, Narsete, ecc.) furono perseguitati dalla chiesa di Bisanzio. Essi si rifugiarono di nuovo a N. (457 d. C.) dove godettero della ufficiale protezione dei re sassanidi. Presa dagli Arabi nel 640 d. C., la città continuò a prosperare anche se in tono minore. Solo nel 1260 l'invasione dei Mongoli di Hulayo ne provocò il definitivo declino.
I resti archeologici di N. sono molto scarsi. Nessuno scavo sistematico è stato finora intrapreso nella zona. I monumenti si riducono praticamente ad alcune colonne corinzie, ad un ponte romano ampiamente rimaneggiato e ad un battistero. Quest'ultimo riveste una notevole importanza nella storia dell'architettura paleocristiana in Siria. Esso, costruito nel 351 dal vescovo Volagesos, subì due rimaneggiamenti; il primo nel 759, il secondo tra il XVII ed il XIX secolo. Alla seconda costruzione appartengono l'abside semicircolare e la cripta nella quale veniva venerato il corpo di S. Giacomo vescovo di Nisibis. L'elevazione originaria dell'edificio aveva la forma di un cubo sormontato da una cupola piramidale e preceduto da un portico con colonne; finestre e porte, a gruppi di tre e di quattro, ne alleggerivano i lati lunghi, conferendo all'insieme l'aspetto di un caratteristico baldacchino. La concezione generale del monumento sembra ubbidire ad un complicato simbolismo religioso.
Il battistero deriva direttamente dai piccoli mausolei funerarî a forma cubica che si trovavano in varie zone della Siria (Dāna; Brād; Ma'rata, tomba Il) e può esser considerato come un monumento di transizione tra questi e le successive chiese cristiane a pianta centrale.
Bibl.: E. Sachau, Reise in Syrien und Mesopotamien, Lipsia 1883, p. 949 ss.; C. Preusser, Nordmesopotamische Baundekmäler, in Wissenschaftl. Berichte d. Deutschen Orient Gesellschaft, XVII, 1911, pp. 38-43; F. Sarre-E. Herzfeld, Archäologische Reise im Tigris u. Euphrat, vol. II, Berlino 1920, pp. 336-46; R. Dussaud, Topographie historique de la Syrie antique et médiévale, Parigi 1927, pp. 417, 449, 492-98, 522; A. Khatcharian, Le baptistère de N., in Actes du V Congrès Internat. d'Archéologie Chrétienne, Parigi 1954, pp. 407-21. Per l'iscrizione in Abercio: H. Strathmann-Th. Klauses, in Reallexikon f. Antike u. Christentum, I, Lipsia 1940, c. 12; A. Ferrua, in Enciclopedia Cattolica, I, Città del Vatican 1948, c. 69 ss.