Noce
Un albero maestoso, solitario, un po’ magico
Il noce è un albero maestoso. Nessun’altra pianta gli cresce intorno poiché quest’albero produce una sostanza tossica. Il noce viene coltivato dai tempi più remoti per il suo legno, per i frutti commestibili, le noci, e per l’olio che se ne ricava. È anche un albero talvolta considerato simbolo di saggezza, altre volte legato alle divinità dell’inferno e alla stregoneria, come il famoso Noce di Benevento
Il noce (Juglans regia) è un albero originario dell’Asia centro-occidentale, presente sin dalla preistoria in quasi tutta Europa e nella nostra penisola. Dal portamento maestoso, può superare i 20 m d’altezza; ha un’ampia chioma formata da foglie lobate di cui quella terminale è sempre più grande delle altre. È un albero solitario: alla sua base non crescono germogli né erbe; ciò avviene perché le foglie contengono lo juglone, una sostanza tossica che, rilasciata nel terreno dalle foglie cadute, rende il suolo inabitabile per le altre piante. Inoltre è avido di sali minerali e di altri nutrienti che assorbe dal terreno impoverendolo; per questo suo ‘egoismo’ entra raramente a far parte dei boschi spontanei.
Il noce è una pianta che l’uomo ha sempre apprezzato perché tutte le sue parti sono molto utili.
Cominciamo dai frutti: le noci, ricche di grassi, proteine, sali di rame e di zinco, sono una vera miniera alimentare. Il frutto del noce si chiama in botanica drupa, è ovato-globoso, con una membrana esterna verde e carnosa punteggiata di ghiandole (mallo), una membrana interna legnosa (guscio) facilmente divisibile in due, che protegge il seme (gheriglio) a 4 lobi, molto ripiegato, ricco di oli e commestibile.
Il tronco fornisce un legno di color bruno scuro, semiduro, di facile lavorazione, che viene considerato tra i legni più pregiati per fare mobili, listelli per pavimenti, calci di fucile, stecche da biliardo. Un mobile di noce è imponente quanto l’albero da cui deriva e può durare secoli; le grosse radici piene di venature (radica di noce) sono sempre state apprezzate in ebanisteria per fare mobili artistici.
Dal gheriglio si ricava un olio molto usato in passato per le lampade, ma anche per fare vernici da pittore. Dalle noci ancora molli e verdi si distilla un buon liquore con blande proprietà astringenti, il nocino, e con il legno del guscio si fanno palle da golf particolarmente elastiche. Infine, i pigmenti bruni del tronco e del mallo (tannini) sono usati per conciare le pelli, per colorare di scuro altri tipi di legno e, una volta, i capelli delle signore.
Lo stesso nome botanico del genere Juglans suscita interesse: secondo alcuni infatti vorrebbe alludere (dal latino Jovis glans «ghianda di Giove») alla bontà del suo frutto degno di Giove, simile alle ghiande di quercia ma molto più buono.
I medici del passato, tra cui nel Rinascimento Paracelso e Giovanbattista Della Porta, consigliavano di mangiare noci per curare le malattie mentali, vista la strana somiglianza tra una noce e la testa umana: il mallo sarebbe l’equivalente del cuoio capelluto, il guscio del cranio e il gheriglio del cervello.
Dall’antica Roma proviene invece un canto nuziale che, tradotto dal latino, dice: «Ti stanno portando la sposa, lancia, o sposo, le noci». Infatti si credeva che le noci fossero bene auguranti e simbolo di saggezza nascosta, e ancora oggi comunque, in alcuni paesi del nostro Meridione, esiste l’usanza di lanciare noci sul corteo nuziale.
Ma il noce più intrigante è forse il celebre Noce di Benevento dove, secondo una leggenda, si riunivano a cantare e a ballare sfrenatamente diavoli e streghe provenienti da ogni luogo.
La storia è molto antica, risalirebbe al tempo dei Longobardi che, non ancora cristianizzati, mantenevano le usanze pagane, tra cui quella di riunirsi intorno a un albero di noce per compiervi i loro riti considerati dalla Chiesa stregoneschi. Il vescovo di Benevento, Barbato, avrebbe ordinato di abbattere quel noce per costruire al suo posto una chiesa. La leggenda racconta che tuttavia, una volta all’anno, il 24 giugno, la notte di s. Giovanni, le streghe di tutto il mondo, sulla classica scopa (o forse oggi con mezzi più aggiornati) si precipitano a Benevento, nel luogo dove sorgeva un tempo il mitico noce e vi fanno bisboccia.