Nodi e fisica
Sommario: 1. Introduzione. 2. Come fissare un nodo: le mosse di Reidemeister. 3. Invarianti di nodi e links: un primo passo. 4. Il polinomio di Jones. 5. Il polinomio di Kauffman come somma sugli stati. 6. Meccanica quantistica e topologia. 7. Una breve rassegna sulla meccanica quantistica. 8. La vita propria della notazione e l'integrale di Feynman. 9. Teoria topologica dei campi: primi passi. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Lo scopo di questo articolo è quello di delineare brevemente la questione della notevole connessione tra la teoria dei nodi nello spazio a tre dimensioni e alcuni aspetti della fisica quantistica. La nostra intenzione è quella di fornire una descrizione figurativa di questo legame che fa appello più all'intuizione geometrica che a specifiche conoscenze del lettore. Cominceremo con una rapida illustrazione del metodo diagrammatico nella teoria dei nodi e mostreremo quindi come questo metodo conduca in modo diretto a una relazione tra alcuni concetti e risultati della teoria dei nodi, da un lato, e la fisica, dall'altro.
Il lettore potrebbe trovare sorprendente che esista una qualche relazione tra la teoria dei nodi e la fisica: ciò che è forse più sorprendente è che la teoria dei nodi ha avuto origine proprio da un problema di fisica. Nel secolo scorso lord Kelvin ideò una teoria - la cosiddetta ‛teoria degli atomi vortice' (v. Thomson, 1867) - in cui gli atomi erano considerati come mulinelli nell'etere (un onnipervasivo substrato fluido dello spazio a tre dimensioni). I mulinelli tridimensionali avrebbero dovuto soddisfare alcune condizioni per essere considerati atomi: in particolare, avrebbero dovuto godere di stabilità nel corso del tempo e della capacità di essere coinvolti in interazioni con altri mulinelli per formare molecole. Kelvin immaginava questi mulinelli come anelli di fumo in tre dimensioni: un anello di fumo ha la forma di una ciambella, che si muove e ruota su se stessa mentre naviga nello spazio. Kelvin propose un tipo generale di ciambelle che fossero annodate individualmente ed eventualmente l'una all'altra. La possibilità dell'annodamento reciproco corrispondeva a quella che i singoli atomi si legassero a formare molecole, e la forma a laccio chiuso garantiva la stabilità. Gli atomi avrebbero potuto avere uno spettro corrispondente a quello delle vibrazioni dell'atomo vortice.
Kelvin scrisse numerosi articoli sulla sua teoria degli atomi vortice e coinvolse i matematici Tait, Kirkwood e Little in un progetto per la compilazione di tavole di tutti i nodi topologicamente distinti (due oggetti sono topologicamente uguali se possono essere deformati l'uno nell'altro con continuità, cioè tramite una modificazione che può mutare forma o proporzione senza lacerare gli oggetti: per esempio, un quadrato è topologicamente uguale a un cerchio). Si trattava di un compito enorme e, ovviamente, infinito a meno di non convenire su qualche restrizione. Tait, Kirkwood e Little si limitarono a nodi la cui proiezione nel piano avesse al più 10 incroci: esistono tuttavia ben 49 nodi con 9 incroci e oltre 100 con 10. Essendo i primi matematici a occuparsi di nodi, essi compilarono le loro tavole per tentativi ed errori: non possedevano infatti procedimenti di calcolo per determinare se un nodo fosse effettivamente annodato o se due nodi fossero effettivamente distinti. Queste tecniche vennero sviluppate molto più tardi, ma l'esigenza di distinguere i nodi dal punto di vista topologico nacque precisamente dal loro tentativo di enumerazione degli atomi vortice di lord Kelvin.
La teoria degli atomi vortice scomparve insieme all'etere quando la teoria di Einstein della relatività speciale e i risultati dell'esperimento di Michelson-Morley mostrarono che lo ‛spazio vuoto', qualunque ne fosse la natura, non poteva certamente essere considerato analogo a un fluido onnipervasivo. Tuttavia, i vortici annodati continuano a essere oggetto di studio e il fisico Herbert Jehle ha anche suggerito che le particelle elementari possano essere modellate da un flusso elettromagnetico annodato e quantizzato. Anche nella teoria delle stringhe le particelle elementari sono viste come anelli chiusi, ma parlare di annodamento di questi anelli in senso tridimensionale è problematico, perché la loro condizione naturale è quella di vagare in spazi di dimensione più alta. Tuttavia, l'influenza della teoria degli atomi vortice di lord Kelvin continua ad aleggiare sulla fisica contemporanea.
Nel resto di questo lavoro tratteggeremo alcune delle tecniche fondamentali della teoria dei nodi (sconosciute a Tait, Kirkwood e Little) e la loro relazione con alcuni aspetti della fisica moderna. Tale correlazione fu stabilita all'inizio degli anni ottanta, quando l'autore riuscì a trovare il modo di descrivere il polinomio di Alexander (e più tardi il polinomio di Jones) nella forma di una funzione di partizione della meccanica statistica, e Vaughan Jones scoprì invarianti del tutto nuovi di nodi e links (un link è l'unione di un numero finito di nodi che non abbiano tratti di corda in comune) direttamente correlati a problemi di meccanica statistica. Pochi anni più tardi, Edward Witten mostrò come tutte queste costruzioni potessero essere comprese in termini di teoria quantistica dei campi, dando con ciò origine al nuovo settore di studio della topologia quantistica e della teoria topologica dei campi quantizzati.
2. Come fissare un nodo: le mosse di Reidemeister
Cominciamo ora a costruire qualche nodo. Considereremo in particolare il nodo detto ‛gassa d'amante', che è piuttosto utile nella pratica, ad esempio per chi voglia fissare la briglia di un cavallo a una staccionata o una barca a un molo.
Il lettore potrebbe forse già avere familiarità con le convenzioni delle figure con cui si rappresentano le istruzioni per annodare una corda: le soluzioni di continuità in una linea indicano dove la linea passa al di sotto di un'altra, cosicché l'incrocio di due tratti di corda è indicato come nella fig. 1.
Questa semplice convenzione consente di tracciare figure schematiche dei nodi più intricati, come ad esempio nella fig. 2. In questa figura la gassa d'amante viene mostrata allentata: per usarla effettivamente bisogna afferrare l'anello in basso nella figura e tirarlo con decisione tenendo fermo il capo di corda in alto. Il risultato è che la gassa d'amante si serra fortemente, ha un'ottima tenuta e tuttavia è anche facile da sciogliere.
L'utilità di uno schema per disegnare un nodo è che non è necessario riportare tutte le proprietà fisiche del nodo: è sufficiente che esso contenga tutte le informazioni che consentono di costruire effettivamente il nodo. Abbiamo così costruito un linguaggio, quello dei diagrammi di nodo, che gode della notevole proprietà di contenere implicitamente tutte le proprietà fisiche e topologiche del nodo che rappresenta, le quali, tuttavia, non divengono immediatamente evidenti a meno che non si costruisca effettivamente il nodo con un pezzo di corda.
In questo lavoro ci concentreremo sui metodi per ottenere le informazioni topologiche sui nodi direttamente dai loro diagrammi. Una proprietà di un nodo è detta topologica se non dipende dal materiale con cui il nodo è costruito né da quanto questo materiale sia stirato o piegato, purché non venga lacerato. Poiché non vogliamo rischiare di perdere il nodo nel corso di questo processo di deformazione, come succederebbe a causa di uno scivolamento sopra un estremo del pezzo di spago, adottiamo la convenzione, usuale nella teoria dei nodi, che il nodo si trovi su un anello chiuso. Il nodo a trifoglio, mostrato nella fig. 3, è il primo esempio di anello chiuso annodato. Un nodo presentato come anello chiuso è un oggetto robusto, che può essere spostato e rigirato nello spazio in molte forme diverse ma topologicamente equivalenti. Ad esempio, il lettore non dovrebbe avere difficoltà a riconoscere che il nodo mostrato nella fig. 4 è topologicamente equivalente al nodo a trifoglio della fig. 3.
Trovandoci di fronte a questo numero potenzialmente infinito di versioni di un dato nodo o link, vediamo qui emergere un vero problema matematico. Dire che un anello è annodato significa dire che nessuna delle infinite forme che esso può assumere è quella di un anello non annodato. Il risultato chiave che sta alla base di una teoria combinatoria dei nodi è il teorema di Reidemeister (v., 1932), secondo cui due diagrammi rappresentano lo stesso tipo di nodo se, e soltanto se, si possono ottenere l'uno dall'altro tramite una successione finita di deformazioni speciali, dette ‛mosse di Reidemeister' (v. fig. 5).
Il risultato del teorema di Reidemeister è che i problemi topologici sui nodi possono tutti essere riformulati in termini della matematica di questi diagrammi nel piano. Secondo una famosa filosofia della matematica, chiamata formalismo, la natura della matematica è quella di un intreccio di partite giocate con dei simboli seguendo regole specifiche. La teoria dei nodi, con le mosse di Reidemeister, illustra molto bene l'idea formalista consentendo inoltre di coglierne anche alcune limitazioni non appena si cominciano ad affrontare i problemi della teoria dei nodi. Infatti, perché essere per forza costretti in un dato insieme di regole e non poter pensare ai nodi in termini tridimensionali quando risulta utile? In realtà non è necessario attenersi strettamente ai diagrammi: di fatto vedremo che i diagrammi sono straordinariamente utili e consentono di passare dai nodi ad altri campi e idee, e quindi di tornare alla topologia.
Le mosse mostrate nella fig. 5 sono rappresentative di modificazioni che si possono eseguire in diagrammi più grandi; come mostrato nella figura, esse modificano il diagramma solo localmente. Per esempio, la fig. 6 mostra una successione di mosse di Reidemeister che trasforma l'uno nell'altro due diagrammi del nodo a trifoglio. Nella figura sono state applicate: al primo passo, la seconda mossa in due occasioni; al secondo passo, la terza mossa; al terzo passo, la seconda mossa; al quarto passo, la prima mossa; all'ultimo passo, la ‛mossa zero', che consiste in una modificazione topologica che non muta la configurazione degli incroci. La mossa zero è altrettanto importante delle altre, ma poiché non muta in modo essenziale le relazioni diagrammatiche si tende a lasciarla sullo sfondo della discussione.
Reidemeister ha dimostrato che queste mosse colgono in modo combinatorio la nozione di isotopia ambiente dei nodi nello spazio tridimensionale. Questo significa che, pensando ai diagrammi di nodo come fotografie istantanee, se due nodi si possono trasformare l'uno nell'altro allora anche le loro istantanee possono essere trasformate l'una nell'altra tramite una sequenza finita di mosse di Reidemeister. L'importanza di questo risultato è che il problema della classificazione topologica di nodi e links nello spazio tridimensionale può essere riformulato nei termini di un problema di classificazione dei diagrammi di link, a meno della relazione di equivalenza generata dalle mosse di Reidemeister.
Concludiamo questo capitolo con un'altra illustrazione. Prendiamo la gassa d'amante e chiudiamola a formare un anello. Una deformazione rivela allora che questa forma chiusa della gassa d'amante è topologicamente equivalente a due trifogli reciprocamente agganciati, come mostrato nella fig. 7. Questa deformazione è stata scoperta chiudendo ad anello la corda con la quale si era costruita una gassa d'amante e giocandoci fino a che non sono apparsi due bei trifogli agganciati. Dopo averla scoperta, c'è voluto qualche tempo per trovare il cammino grafico dalla gassa d'amante chiusa alla coppia di trifogli agganciati, mostrato nella fig. 7, che non è difficile espandere in una successione di mosse di Reidemeister. In questi termini possiamo pensare al modello di corda del nodo come a un calcolatore analogico, che può suggerire, a chi si occupa di teoria dei nodi, successioni di deformazioni che potrebbero essere altrimenti trascurate.
Abbiamo in questo modo curiosamente capovolto il punto di vista originale: l'oggetto fisico che all'inizio era l'argomento di studio è divenuto uno strumento di calcolo per ottenere informazioni sulla matematica dei nodi. Naturalmente si tratta di un percorso a doppio senso: la chiave di questa corrispondenza risiede nella stretta corrispondenza tra il modello matematico dei nodi e le proprietà topologiche di un nodo reale. In questo senso possiamo anche vedere i nodi come analoghi ai numeri interi: così come siamo portati a credere che l'enumerazione di collezioni di oggetti stabili nel mondo sensibile obbedisca alle leggi dell'aritmetica, così dobbiamo credere che le proprietà topologiche delle corde annodate nella realtà sperimentale seguano le leggi della topologia dei nodi.
3. Invarianti di nodi e links: un primo passo
Utilizzare le mosse di Reidemeister come base tecnica per sviluppare la teoria dei nodi è un compito laborioso: da principio non è affatto chiaro come ottenere informazioni che siano invarianti rispetto alle mosse. Ed è l'invarianza quello che ci sta a cuore: vorremmo poter calcolare numeri (o entità algebriche come polinomi) a partire da un qualsiasi diagramma di un link in modo tale che questi numeri non cambino quando un diagramma è modificato tramite una mossa di Reidemeister. Trovare siffatti invarianti significa trovare le informazioni topologiche sui nodi o sui links. L'esempio più semplice di un tale invariante è il ‛numero di allacciamento' di due curve: esso misura quante volte una curva orientata si avvolge intorno a un'altra. Se le curve A e B sono rappresentate in un diagramma di link a due componenti, il numero di allacciamento Al è definito dalla formula
dove la somma è eseguita al variare degli incroci x di A con B, ed e (x) indica il segno dell'incrocio, definito come + 1 o - 1 secondo la convenzione descritta nella fig. 8. Naturalmente, due anelli allacciati semplicemente hanno numero di allacciamento + 1 o - 1, come mostrato nella fig. 9.
È facile vedere che il numero di allacciamento è in effetti invariante rispetto alle mosse di Reidemeister: non varia certamente con la prima mossa, giacché gli incroci di una componente con se stessa non compaiono nella somma; la seconda mossa crea o distrugge due incroci di segno opposto; la terza mossa, infine, permuta una configurazione d'incroci senza modificarne i segni. In forza di queste osservazioni abbiamo in effetti dimostrato che gli anelli allacciati semplicemente sono in effetti allacciati: non può esistere nessuna successione di mosse di Reidemeister che trasformi due anelli allacciati in due anelli separati, poiché il numero di allacciamento di due anelli separati è nullo.
Potrebbe sembrare una conquista da poco quella di aver dimostrato rigorosamente un fatto ovvio come la inseparabilità di questa semplice configurazione, ma si tratta del primo passo nella direzione di una proficua applicazione della topologia algebrica allo studio di nodi e links. Il numero di allacciamento ha una storia lunga e interessante, e può in realtà essere definito in molti modi diversi, spesso assai più complicati della semplice somma dei segni diagrammatici. Tuttavia, esso presenta dei limiti intrinseci che sono illustrati prendendo ad esempio il link di Whitehead, costituito da due componenti che hanno numero di allacciamento zero (v. fig. 10A). Si può verificare che il link di Whitehead è effettivamente allacciato, ma sono necessari strumenti più potenti del numero di allacciamento per dimostrarlo. Un altro esempio del genere sono gli anelli di Borromeo (o di Ballantine): si tratta di tre anelli topologicamente inseparabili, ma tali che, tolto uno qualsiasi dei tre, i due rimanenti risultano non allacciati (v. fig. 10B).
Esiste una semplice dimostrazione del fatto che il nodo a trifoglio è effettivamente annodato, basata sull'idea di colorare gli archi del diagramma del nodo usando tre colori distinti. Notiamo che nel diagramma del nodo a trifoglio, mostrato nella fig. 11, a ogni incrocio compaiono tutti e tre i colori. Adottiamo ora la seguente convenzione sulla colorazione: a ogni incrocio devono comparire o uno solo dei tre colori oppure tutti e tre. Chiamiamo ‛colorato' un diagramma se gli archi sono colorati in modo da soddisfare questa regola. Notiamo che il diagramma canonico (senza incroci) del nodo sciolto viene colorato semplicemente assegnando un colore al suo anello e pertanto, secondo la nostra convenzione, in una colorazione possono anche non comparire tutti e tre i colori; definiamo allora ‛a tre colori' quel diagramma colorato in cui compaiono effettivamente tutti e tre i colori.
Proposizione. - Qualsiasi diagramma ottenuto dal diagramma usuale del nodo a trifoglio tramite mosse di Reidemeister ammette una tricolorazione.
Dimostrazione. - Partendo da un qualsiasi diagramma tricolorato, asseriamo che è possibile trovare una corrispondente tricolorazione su un diagramma che sia ottenuto da quello dato tramite una sola mossa di Reidemeister.
Nel caso che la seconda mossa sia effettuata nella direzione della semplificazione, bisogna osservare che, nonostante un colore sia perduto a causa dell'arco che scompare, il colore deve apparire altrove nel diagramma; altrimenti non sarebbe possibile per i due archi semplificati avere colori distinti, giacché esiste nel nodo un cammino che li congiunge, e dunque esiste almeno un incrocio nel nodo semplificato in cui compaiono i tre colori. Pertanto, in questo caso la tricolorazione è preservata.
Il caso della terza mossa di Reidemeister richiede la discussione di un breve elenco di casi distinti - che non prenderemo in esame - che completa la dimostrazione della proposizione.
Dalla proposizione deduciamo immediatamente che il nodo a trifoglio è effettivamente annodato: se esistesse una successione di mosse di Reidemeister che conduce dal diagramma consueto del nodo a trifoglio a quello del nodo sciolto ne seguirebbe che quest'ultimo ammette una tricolorazione, il che è manifestamente assurdo.
4. Il polinomio di Jones
Nel capitolo precedente abbiamo dimostrato che l'esistenza di una tricolorazione è un invariante di un nodo, ovvero non dipende dal diagramma. Discutiamo in questo capitolo un invariante di nodi e links di natura alquanto diversa. Si tratta di un invariante polinomiale scoperto da Vaughan Jones (v., 1985): questo invariante, indicato generalmente con VK (t), è un polinomio nella variabile t1/2 e nella sua inversa t- 1/2 (ciò si esprime dicendo che VK (t) è un polinomio di Laurent in t1/2.
Assiomi per il polinomio di Jones. - 1) Se due links orientati, K e K′, sono collegati da una isotopia ambiente, allora VK (t) = VK′ (t). 2) Se U è un anello snodato, allora VU (t) = 1. 3) Siano K+, K- e K0 tre links orientati con diagrammi che differiscono, come specificato nella fig. 12, solo in una piccola regione del piano, nella quale K+ e K- hanno un incrocio e K0 non ne ha; allora vale la formula
t- 1 • VK+ (t) - t • VK- (t) = (t1/2 - t- 1/2) VK0 (t).
Si noti che nella figura, invece che limitarci a specificare esattamente cosa siano K+, K- e K0, abbiamo simbolicamente espresso la formula che lega i valori di V, tracciando solo piccole regioni dei diagrammi con la convenzione che essi coincidano nelle parti non mostrate.
Questo schema di assiomi per il polinomio di Jones è simile a quello utilizzato da John H. Conway (v., 1970; v. Kauffman, 1980 e 1983) per una generalizzazione del classico polinomio di Alexander. Gli assiomi per VK (t) sono una conseguenza del metodo di definizione originale usato da Jones per il suo invariante; il cammino che lo portò alla scoperta di questo invariante cominciò con lo studio delle algebre di von Neumann (una branca dell'algebra con collegamenti diretti alla teoria dei quanti e alla meccanica statistica; v. Jones, 1983) e si concluse con lo studio di trecce, nodi e links. Il polinomio di Jones ha un significato completamente diverso dal polinomio di Alexander-Conway, sebbene possa essere assiomatizzato in maniera molto simile. Di fatto, questa somiglianza nelle assiomatizzazioni conduce a una generalizzazione comune a entrambi (il polinomio Homfly(Pt): v. Freyd e altri, 1985; v. Przytycki e Traczyk, 1987), a un'altra generalizzazione (il polinomio di Kauffman: v., An invariant..., 1990) e a ulteriori generalizzazioni in relazione con la meccanica statistica (v. Kauffman, 1983; v. Jones, 1989).
Un fatto che ha reso fin da subito il polinomio di Jones una scoperta estremamente eccitante per i teorici dei nodi è che esso permette di individuare la differenza tra molti nodi e le loro immagini speculari. In seguito sono emerse altre interessanti proprietà: ad esempio, esso è stato uno strumento chiave per la dimostrazione di proprietà dei links alternanti (e nelle loro generalizzazioni) che erano state congetturate già nel secolo scorso (v. Kauffman, 1987; v. Murasugi, Jones polynomials and..., e The Jones polynomial..., 1987; v. Thistlethwaite, 1988; v. Menasco e Thistlethwaite, 1993). A tutt'oggi non sono noti esempi di nodi di cui il polinomio di Jones non riconosca l'annodamento. Ciò suggerisce la seguente congettura.
Congettura. - Se un singolo anello di un nodo K è effettivamente annodato, allora VK (t) non è uguale a 1.
In altre parole, è concepibile che il polinomio di Jones sia capace di determinare la proprietà di effettivo annodamento. È tuttavia noto che esso non è uno strumento di classificazione completo: esistono coppie di nodi che hanno il medesimo polinomio di Jones ma che non possono essere collegati da una isotopia ambiente, ovvero sono topologicamente diversi. Una tale coppia è costituita dai nodi di Kinoshita-Terasaka e di Conway, ed è illustrata nella fig. 13.
Il calcolo del polinomio di Jones, a partire dai suoi assiomi, non spiega perché questo invariante ‛funzioni'. L'analisi di questo metodo di calcolo permette di dimostrare che esso non dipende dalle scelte fatte e che fornisce informazioni sul nodo o sui links in esame. Un metodo alternativo porta a una elegante formulazione del polinomio di Jones in termini di una somma sugli stati del diagramma. In tale formulazione il polinomio è ben definito fin dall'inizio e si vede che l'invarianza topologica nasce dall'aggiustamento di alcuni parametri di funzioni ben definite.
5. Il polinomio di Kauffman come somma sugli stati
Secondo gli sviluppi più recenti della teoria, si tende a considerare il diagramma di un nodo come analogo a un sistema fisico del quale viene calcolata una funzione di partizione o somma sugli stati. La funzione di partizione è una somma di certe valutazioni su tutti i possibili stati del sistema, dove il termine ‛stato' andrà inteso in modo opportuno.
Gli stati non sono le varie configurazioni che vengono assunte nel corso di una evoluzione (deformazione topologica) a partire da una data situazione: sono invece modi di configurare la situazione presente. La funzione di partizione fornisce informazioni sulle evoluzioni topologiche del sistema senza che queste compaiano effettivamente.
Per fornire un esempio di come si possa mettere in pratica questa idea della valutazione, descriviamo ora la più semplice somma sugli stati per nodi e links che risulti significativa: il polinomio bracket (il termine bracket indica le particolari parentesi ad angolo introdotte da P. A. M. Dirac: v. cap. 7; v. Kauffman, 1987). Prendiamo in considerazione nodi e links non orientati, e a ogni incrocio di un diagramma associamo due stati che identifichiamo con le etichette A e B, come mostrato nella fig. 14. Nello stato A vengono connesse tra loro le regioni del piano spazzate da una rotazione in senso antiorario dell'arco che sta sopra, mentre nello stato B vengono connesse quelle spazzate da una rotazione in senso orario del medesimo arco.
Uno stato S di un diagramma K consiste nella scelta di uno stato locale per ciascuno dei suoi incroci, cosicché un diagramma con n incroci avrà 2n stati. Due stati S e S′ del diagramma del nodo a trifoglio sono indicati nella fig. 15.
Utilizzeremo due valutazioni per uno stato S, indicate rispettivamente con 〈K∣S〉 e con ∥S∥. Quest'ultima è chiamata ‛norma' dello stato ed è definita come il numero di curve chiuse che compongono S, ‛meno uno'; così nell'esempio di cui sopra si ha ∥S∥ = 1 e ∥S′∥ = 0. La valutazione 〈K∣S〉 è definita come il prodotto di tutte le etichette A o B nello stato; nell'esempio precedente si ha allora 〈K∣S〉 = A3 e 〈K∣S′〉 = A2 B. Utilizzando variabili A, B e d definiamo la somma sugli stati associata al diagramma K mediante la formula seguente:
In altre parole, per ogni stato S prendiamo il prodotto delle etichette che si trovano in S moltiplicato per d, elevato a ∥S∥. Mostreremo che questa somma sugli stati è invariante rispetto alle seconda e terza mossa di Reidemeister purché si scelga B = 1/A e d = - (A2 + B2). A questo punto una normalizzazione ci consentirà di ottenere l'invarianza rispetto a tutte e tre le mosse e, quindi, di ottenere informazioni topologiche su nodi e links. Gli invarianti costruiti secondo questo schema si sono rivelati nella pratica di grande interesse: per esempio, grazie a questi è possibile distinguere molti nodi dalle loro immagini speculari e accade spesso che il calcolo del bracket sia sufficiente a mostrare se un certo nodo è effettivamente annodato.
Vogliamo ora analizzare più attentamente la definizione del bracket. Abbiamo intanto le formule fondamentali:
I diagrammi piccoli nella (1) rappresentano diagrammi più grandi, identici tranne che per le variazioni locali indicate nei diagrammi piccoli. La (1) è una immediata conseguenza della descrizione del bracket come somma sugli stati: infatti, nella somma, un certo incrocio assume esattamente le due forme mostrate. Questa relazione dunque esprime il fatto che stiamo sommando su tutti i possibili stati utilizzando i pesi locali A e B. Nella (2) appare una curva semplice e chiusa che non incontra il resto del diagramma: l'effetto di una tale curva ai fini del calcolo del bracket è quello di moltiplicare il risultato per la variabile d. Le variabili A, B e d sono quelle utilizzate in precedenza e al momento supponiamo semplicemente che commutino tra loro, senza introdurre ulteriori relazioni. Utilizzando le formule (1) e (2) mostriamo alcuni esempi di calcolo della somma sugli stati.
Di fatto, le equazioni (1) e (2) sono completamente equivalenti alla definizione di bracket come somma sugli stati, ed è spesso utile considerarle come la effettiva definizione di bracket. Vogliamo sottolineare che anche utilizzando come definizione le formule (1) e (2) il bracket risulta ben definito per diagrammi di link non orientati.
Il prossimo passo nello studio delle possibilità insite nel bracket consiste nello stabilire la formula:
La dimostrazione di questa equazione è un semplice calcolo diagrammatico che utilizza le formule (1) e (2) nel modo seguente:
Osservando ora più attentamente la formula (7) notiamo che se AB = 1 e (ABd + A2 + B2) = 0 allora essa si riscrive come:
Ciò significa che con questa specializzazione il bracket risulta invariante rispetto alla seconda delle mosse di Reidemeister. Inoltre, è ora facile verificare che con queste restrizioni su A, B e d il bracket risulta in realtà automaticamente invariante anche rispetto alla terza delle mosse; infatti:
Allora, se prendiamo
B = A-1 e d = - (A2 + A-2), (11)
il bracket è invariante rispetto alla seconda e alla terza mossa. Abbiamo dunque quasi trovato un invariante di nodo nel senso stretto del termine. Cosa succede ora se si considera la prima delle mosse di Reidemeister? Scopriamo facilmente che
E, in modo simile, risulta
Il fatto che il bracket non sia invariante rispetto alla prima delle mosse di Reidemeister può dapprima sembrare un inconveniente, ma in ultima analisi non lo è affatto. Prima di tutto, non è difficile sistemare le cose con un piccolo aggiustamento: sia K un nodo o link orientato e definiamo l'avvolgimento (writhe) di K, denotato con w (K), come la somma di tutti i segni degli incroci di K. Come mostrato nella fig. 16, il nodo a trifoglio destrogiro ha avvolgimento 3.
L'avvolgimento ha il seguente comportamento rispetto alle mosse di Reidemeister: a) è invariante rispetto alla seconda e alla terza mossa; b) cambia di + 1 o - 1 rispetto alla prima delle mosse, come illustrato di seguito:
Ne deduciamo che l'avvolgimento, che pure abbiamo definito in modo assolutamente elementare, si comporta in modo parallelo a quello del bracket, e possiamo combinare i due oggetti in un nuovo calcolo il cui risultato sia invariante rispetto a tutte e tre le mosse di Reidemeister. Questo nuovo invariante completo che sarà chiamato f-polinomio, viene definito per un nodo o link orientato K, tramite la seguente formula:
fK (A) = (- A3)-w (K) • 〈K〉 (A), (15)
dove, ricordiamo, w (K) è la somma dei segni degli incroci di K, e 〈K〉 è il bracket calcolato sul nodo o link ottenuto da K ignorando l'orientazione. A meno di questa normalizzazione, il bracket fornisce un modello per il polinomio di Jones originale, cui è legato dalla seguente relazione:
VK (t) = fK (t-1/4). (16)
Torneremo tra breve a questa relazione con il polinomio di Jones, ma vogliamo prima fare un po' di filosofia matematica. Un altro modo di interpretare la mancanza di invarianza del bracket rispetto alla prima delle mosse di Reidemeister è quello di verificare che il bracket sia in realtà un invariante per nastri annodati e allacciati, immersi nello spazio a tre dimensioni. Illustriamo di seguito come si possa interpretare un diagramma di link come un modo di rappresentare l'immersione di un insieme di nastri nello spazio (v. fig. 17). Ciascuna componente del diagramma di link viene sostituita con una versione ispessita, analoga a una strisciolina di carta i cui estremi vengano incollati dopo un numero pari di mezzi attorcigliamenti (twists). La prima mossa di Reidemeister non si applica più ai diagrammi pensati come rappresentazioni di nastri: al massimo un ricciolo può essere sostituito con un attorcigliamento, come mostrato nella fig. 18. Di fatto, come illustrato nella figura, vi sono due diversi riccioli che corrispondono a un unico attorcigliamento. Notiamo che il bracket (e l'avvolgimento) si comportano nello stesso modo su questi due diversi attorcigliamenti, e questo significa che effettivamente possiamo interpretare il bracket come un invariante per le immersioni topologiche nello spazio tridimensionale di insiemi di nastri annodati, allacciati e avvolti su se stessi. Ne deduciamo anche che il bracket ha una interpretazione compiutamente tridimensionale, nonostante la sua definizione dipenda dall'uso di diagrammi piani (proiezioni).
Quando ci si interessa alle applicazioni della teoria dei nodi a corde o a molecole reali è spesso importante tenere conto della variazione del numero di attorcigliamenti e riccioli e, dunque, utilizzare un modello come quello delle immersioni di nastri. Facendo un nodo in un elastico e maneggiandolo un poco si può riconoscere facilmente l'importanza pratica di queste quantità. Nel caso del DNA circolare (in cui si facciano coincidere gli estremi della catena; v. Bauer e altri, 1980; v. Sumners, 1990), la molecola può essere modellata come un anello che consiste in una coppia di filamenti paralleli che si avvolgono uno intorno all'altro. Pertanto, la molecola forma una sorta di striscia nella quale i due filamenti sono le componenti del bordo. Se fosse possibile prendere un anello di DNA a doppio filamento e appiattirlo sul piano, il suo aspetto sarebbe quello mostrato nella fig. 19. Di fatto, le immagini del DNA ottenute con il microscopio elettronico hanno esattamente questo aspetto, solo che l'attorcigliamento reciproco dei due filamenti non è visibile.
Consideriamo ora un altro aspetto della fig. 19: qual è in questo caso il numero di allacciamento delle due componenti? È chiaro che nel computo entrano contributi di due tipi diversi: quello dovuto agli attorcigliamenti e quello dovuto ai riccioli. Ogni ricciolo contribuisce con + 1 o - 1 al numero di allacciamento, secondo quanto mostrato nella fig. 20A. Similmente, anche una coppia di mezzi attorcigliamenti contribuisce con + 1 o - 1, come illustrato nella fig. 20B. Il contributo complessivo dei riccioli può essere espresso come l'avvolgimento del nucleo della striscia (illustrato nella fig. 21 nel caso dell'esempio attualmente in esame). Ora, se B è un diagramma di una sola striscia (ovvero di due filamenti: i bordi della striscia) e Al (B) è il suo numero di allacciamento, definiamo Av (B) l'avvolgimento w(C(B)) del nucleo C(B) della striscia e chiameremo invece At(B) la somma di tutti gli attorcigliamenti di B, ottenendo così la formula:
Al (B) = Av (B) + At (B). (17)
Questa è la versione diagrammatica piana della famosa formula di Jim White (v., 1969) secondo cui
‛Allacciamento = Avvolgimento + Attorcigliamento',
proprietà che ha avuto numerose applicazioni nella ricerca sul DNA. L'utilità di questa formula risiede nel fatto che l'avvolgimento è osservabile nelle microfotografie, il numero di allacciamento non cambia in condizioni normali e dunque i mutamenti di attorcigliamento possono essere dedotti. Questi mutamenti dell'attorcigliamento sono legati alle condizioni ambientali alle quali è sottoposta la molecola in soluzione e, pertanto, la conoscenza dei cambiamenti dell'attorcigliamento è utile agli studiosi per l'analisi dei processi biologici.
Concludiamo questo capitolo con il calcolo di bracket e f-polinomio per il nodo a trifoglio destrogiro T, il cui risultato dimostra che T non è topologicamente equivalente alla sua immagine speculare T*. Poiché l'immagine speculare di un nodo o link si ottiene, a partire da un diagramma, rovesciando tutti gli incroci, ne segue facilmente che fK* (A) = fK (A-1), e pertanto se K è equivalente alla sua immagine speculare si ha fK (A) = fK (A-1). Se invece fK non gode di questa proprietà di simmetria, si può concludere che K è chirale (il che significa precisamente che K non è equivalente a K*). Eseguiamo il calcolo di 〈T〉 che, come annunciato, consente di concludere per la chiralità di T:
La chiralità del nodo a trifoglio è in realtà un caso particolare di un risultato più generale che riguarda nodi e links alternanti (v. Kauffman, 1987; v. Murasugi, The Jones polynomial..., e Jones polynomials and..., 1987; v. Thistlethwaite, 1988; v. Menasco e Thistlethwaite, 1993). Un diagramma di link si dice ‛alternante' se, seguendo ciascuna componente, si incontrano alternativamente un incrocio in cui la componente passa sotto e uno in cui essa passa sopra. Un diagramma di link alternante si dice ‛ridotto' se non esistono incroci sciogliendo i quali (in uno dei due modi possibili) si ottengano due diagrammi disgiunti. Peraltro i diagrammi ridotti con avvolgimento non nullo sono necessariamente chirali, e questo risultato prova una congettura che Tait, Little e Kirkwood avevano formulato a partire dalla loro esperienza di compilazione delle prime tavole di nodi (v. cap. 1).
Bisogna notare che il polinomio di Jones e i suoi affini non sempre riescono a determinare la chiralità, e un problema interessante è quello di stabilire esattamente quando ciò accade.
6. Meccanica quantistica e topologia
Nel precedente capitolo abbiamo stabilito come il modello bracket del polinomio di Jones sia ottenuto considerando il nodo come un sistema fisico. Questo approccio alla teoria dei nodi è suscettibile di diverse interpretazioni e in questo capitolo ne illustreremo qualitativamente una.
Immaginiamo che lo spazio sia bidimensionale, invece che tridimensionale come quello in cui viviamo. Poiché lo spazio occupa due sole dimensioni, possiamo immaginare lo spazio-tempo come tridimensionale, generato da un piano che si muove, e le tracce di punti in moto nel piano diventano le linee di universo dei punti nello spazio-tempo. Consideriamo alcuni esempi semplici.
Potrebbe accadere di vedere due particelle che girano l'una attorno all'altra: nella descrizione spazio-temporale di questo moto vediamo le due linee di universo che si avvolgono l'una intorno all'altra a formare una treccia semplice. Ancora, può accadere che l'energia dello spazio vuoto dia origine a due particelle: la linea di universo corrispondente alla creazione di una coppia di particelle, come si vede nella fig. 22A, appare come una ‛coppa', ovvero una curva con un minimo a un determinato istante. Ma può anche accadere che due particelle si annichilino a vicenda: nello spazio-tempo tridimensionale la sparizione di una coppia di particelle è rappresentata da un ‛cappello', come mostrato nella fig. 22B, vale a dire da una curva che presenta un massimo a un determinato istante. Qualsiasi processo elementare di interazione si riflette, nel nostro spazio-tempo a tre dimensioni, in un attorcigliamento (a destra o a sinistra), una ‛coppa' o un ‛cappello', il cui susseguirsi determina, nello spazio-tempo, nodi e links, come mostrato nella fig. 23.
Nella meccanica quantistica ci si può porre la domanda: qual è l'ampiezza di probabilità (non si tratta di una vera e propria probabilità, ma piuttosto di una generalizzazione della probabilità che i fisici chiamano ampiezza) che certe particelle appaiano dal vuoto, si muovano nello spazio-tempo tridimensionale seguendo il cammino corrispondente a un certo nodo o link e poi se ne tornino nel vuoto? La risposta a questa domanda è che tale ampiezza è proprio un valore del polinomio bracket del nodo.
Possiamo ora descrivere il modello del bracket come ampiezza di probabilità specificandone le matrici. Si tratta delle matrici (Mab) = (Mab) = M, dove M è la matrice 2 × 2 seguente:
(con i2 = - 1). Si noti che MM = I, dove I è la matrice identità. Queste matrici rappresentano la ‛coppa' e il ‛cappello' nel senso seguente: le particelle possono avere due colori (chiamiamoli 0 e 1) e allora Mab e Mab rappresentano l'ampiezza di probabilità per la creazione simultanea e per l'annichilazione reciproca, rispettivamente, di due particelle con colori a e b. La condizione MM = I è richiesta dalla topologia, come illustrato dalle relazioni
Si noti che l'ampiezza del cerchio risulta essere:
come illustrato nella fig. 24.
Definiamo ora una matrice R tramite l'equazione:
dove Iac denota la matrice identità. Possiamo anche definire la matrice R diagrammaticamente nel modo seguente:
Dunque diagrammaticamente identifichiamo R con l'incrocio (v. fig. 1) e quindi l'equazione che definisce R si può riscrivere simbolicamente nella forma:
Questa equazione, presa insieme al valore - A2 - A-2 dell'anello chiuso, può essere vista come un algoritmo ricorrente per il calcolo dell'ampiezza, e in questa forma ritroviamo il modello del bracket come somma sugli stati per il polinomio di Jones (non normalizzato).
Da questo modo di intendere un invariante di nodo come ampiezza quantistica segue una ricca teoria dei nodi legata alla fisica teorica, di cui nei prossimi capitoli tratteremo alcuni aspetti. Si tratta di sviluppi ancora in corso e la speranza è che attraverso questa teoria, la fisica e la matematica possano aiutarsi a vicenda e progredire parallelamente. I prossimi capitoli sono un poco più tecnici dei precedenti e sono stati inclusi al fine di fornire una descrizione relativamente completa del genere di idee che intervengono in questo campo.
7. Una breve rassegna sulla meccanica quantistica.
Cominciamo col ricordare i principi della meccanica quantistica, a partire dalle fondamentali equazioni di de Broglie:
E = ℏω e p = ℏk,
dove ℏ = h/2π e h è la costante di Planck. Nelle equazioni di de Broglie E rappresenta l'energia di un elettrone e p la sua quantità di moto, mentre ω e k rappresentano la pulsazione e il numero d'onda dell'onda piana associata alla particella.
De Broglie immaginò che i livelli discreti di energia delle orbite degli elettroni in un atomo di idrogeno si potessero spiegare come restrizioni sui possibili modi di vibrazione di onde associate al moto dell'elettrone. Le sue scelte per l'energia e la quantità di moto da associare a un'onda non sono arbitrarie, bensì scelte in accordo con il principio secondo cui un'onda o un pacchetto d'onda si muove insieme all'elettrone.
Se scriviamo la nostra onda in forma complessa ψ = ψ (x, t) = exp (i (kx - ω t)), constatiamo che possiamo estrarre l'energia e la quantità di moto di de Broglie tramite differenziazione: iℏ ∂ψ/∂t = E ψ e - iℏ ∂ψ/∂x = p ψ. Ciò ha indotto Heisenberg a postulare un'identificazione delle variabili della dinamica con operatori, di modo che la prima equazione iℏ ∂ψ/∂t = E ψ viene promossa a equazione di moto, mentre la seconda diviene la definizione della quantità di moto come operatore:
p ⇋ - iℏ ∂/∂x.
In questa formulazione l'operatore posizione è x stesso. In tal modo l'energia diviene un operatore per sostituzione dell'operatore quantità di moto nella formula classica per l'energia:
E = (1/2)mv2 + V
E = p2/2m + V ⇋ E = - (ℏ2/2m) ∂2/∂x2 + V.
Identificando dunque E con questo operatore, l'equazione di Schrödinger diviene un'equazione nella derivata prima rispetto al tempo e nelle derivate seconde rispetto allo spazio (V rappresenta l'energia potenziale e l'operatore che gli corrisponde dipende dalla particolare situazione in esame). In questa formulazione della teoria si considerano soluzioni generali dell'equazione differenziale e questo ha consentito di ottenere risultati eccellenti in numerosissime applicazioni.
Il modello matematico di un'osservazione fisica si basa sul concetto di ‛autovalore' dell'operatore che descrive il sistema. Più precisamente, un'osservazione viene interpretata come la proiezione della funzione d'onda sull'autostato corrispondente a un autovalore. Lo spettro di energia {Ek} di un sistema, che non è altro che un insieme di costanti (di fatto un insieme continuo per molti sistemi fisici), viene allora interpretato come insieme degli autovalori dell'operatore E. In altre parole, si ammette che lo spettro di energia {Ek} si ottenga in corrispondenza a funzioni d'onda {ψk} che soddisfano l'equazione di Schrödinger e per cui Eψk = Ekψk. Un ‛osservabile' E è un operatore hermitiano in uno spazio di Hilbert di funzioni d'onda. Che gli operatori hermitiani abbiano autovalori reali è in accordo con il fatto che tali autovalori possono essere interpretati come risultati di effettive osservazioni fisiche.
Si noti che gli operatori che corrispondono a posizione e quantità di moto soddisfano l'equazione xp - px = ℏi. Questo corrisponde all'equazione ottenuta da Heisenberg per altre vie, secondo cui le variabili dinamiche non commutano più necessariamente tra loro. In questo modo i punti di vista di de Broglie, Schrödinger e Heisenberg si sono saldati dando origine alla meccanica quantistica. Nel corso del suo sviluppo le interpretazioni sono state le più varie e alla fine i fisici hanno convenuto di considerare la funzione d'onda non come un pacchetto d'onda generalizzato, bensì come una fonte di informazione su possibili osservabili. Secondo questa interpretazione, ψ stessa può essere trattata come oggetto matematico rigoroso e ψ*ψ (dove ψ* denota il complesso coniugato di ψ) rappresenta la probabilità di trovare la ‛particella' (una particella è un osservabile con caratteristiche spaziali di tipo locale) in un certo punto dello spazio-tempo.
Ricordiamo la notazione 〈a∣b〉 di Dirac (v., 1958). In questa notazione 〈a∣ e ∣b〉 sono rispettivamente un vettore e un covettore, mentre 〈a∣b〉 è il valore di 〈b∣ in ∣a〉, dunque uno scalare. Generalmente in meccanica quantistica questo scalare sarà un numero complesso, che può essere interpretato come l'ampiezza di probabilità per un processo con stato iniziale 〈a∣ e finale ∣b〉. Questo significa che se un processo può essere fattorizzato in un insieme di stati intermedi c1, c2, ..., cn, cosicché si hanno i processi elementari a → cj → b per j = 1, ..., n, allora l'ampiezza per a → b è la somma delle ampiezze dei singoli a → cj → b. Inoltre, l'ampiezza per a → cj → b è il prodotto delle ampiezze delle due sottoconfigurazioni a → cj e cj → b. Dunque formalmente si ha
dove la somma avviene su tutti gli stati intermedi cj (j = 1, 2, ..., n).
In generale, l'ampiezza di processi mutuamente disgiunti è la somma delle ampiezze singole, mentre l'ampiezza per una configurazione di processi disgiunti è il prodotto delle singole ampiezze.
La suddivisione di Dirac delle ampiezze in bra 〈a∣ e ket ∣b〉 viene formalizzata matematicamente utilizzando uno spazio vettoriale V (uno spazio di Hilbert, che può anche avere dimensione finita) per i bra. I ket appartengono allora allo spazio duale V*, quindi un ket ∣b〉, come elemento di V*, è una applicazione lineare ∣b〉 : V → C (il campo dei numeri complessi). La simmetria della definizione viene ripristinata osservando che un elemento di V può essere considerato come una applicazione lineare dai numeri complessi in V: data l'applicazione 〈a∣ : C → V il corrispondente elemento di V non è altro che l'immagine di 1 (l'elemento unità di C), cioè 〈a∣ (1) ∈ V. Abbiamo perciò i bra e i ket come applicazioni
〈a∣ : C → V ∣b〉 : V → C.
La composizione
〈a∥b〉 = 〈a ∣b〉 : C → C
viene allora interpretata come il numero complesso 〈a∣b〉 (1). I numeri complessi sono equiparati al vuoto e l'intera ampiezza 〈a∣b〉 è l'ampiezza da vuoto a vuoto di un processo che comprende la creazione dello stato a, la sua transizione in b e, infine, l'annichilazione di b nel vuoto.
8. La vita propria della notazione e l'integrale di Feynman.
La notazione di Dirac è dotata di vita propria. Sia
P = ∣y〉〈x∣. 〈x∥y〉 = 〈x∣y〉.
Allora
PP = ∣y〉 〈x∥y〉 〈x∣ = ∣y〉 〈x∣y〉 〈x∣ = 〈x∣y〉 P.
A meno di moltiplicazione per uno scalare, P è un operatore di proiezione.
In questo linguaggio, la completezza di un certo insieme di stati intermedi si esprime con il fatto che una certa somma di proiezioni sia l'identità. Infatti, supponiamo che
Allora si ha:
Illustriamo ora come l'iterazione di questo processo di espansione su un insieme di stati completo conduca alla forma più primitiva dell'integrale di Feynman (v. Feynman e Hibbs, 1965). Immaginiamo che lo stato iniziale a e quello finale b definiscano punti rispettivamente delle rette x = 0 e x = n + 1 del piano x-y e che (c(k)j(k), k) sia un dato punto (stato) sulla retta x = k per k = 1, ..., n e 0 〈 j(k) ≤ m, in modo tale che la somma dei proiettori in ogni livello intermedio sia completa. Supponiamo cioè che la somma seguente risulti sempre uguale a 1 per k che varia da 1 a n:
∣c(k)1〉〈c(k)1∣ + ... + ∣c(k)m〉〈c(k)m∣ = 1.
Applicando la condizione di completezza iterativamente si ottiene allora, per l'ampiezza 〈a∣b〉, la seguente espressione:
in cui la somma è eseguita su tutti i valori di j (k) tra 1 e m, mentre k varia da 1 a n. Ciascuno dei termini della somma può essere pensato come un cammino combinatorio da a a b nello spazio bidimensionale del piano x-y. Pertanto, l'ampiezza di probabilità della transizione da a a b risulta uguale alla somma dei contributi di tutti i ‛cammini' che uniscono a e b. Feynman utilizzò questa descrizione per ottenere il suo famoso integrale sui cammini per l'espressione delle ampiezze in meccanica quantistica. Questo integrale prende la forma
L'integrale è eseguito su tutti i cammini dal punto a al punto b e S è l'azione associata al fatto che una particella viaggi da a a b secondo un certo cammino. Per la meccanica quantistica associata a una particella classica (newtoniana) l'azione S è data dall'integrale lungo il cammino della differenza T - V, dove T è l'energia cinetica classica e V è l'energia potenziale classica della particella.
L'eleganza dell'approccio di Feynman alla meccanica quantistica risiede nella straordinaria chiarezza con cui fa emergere il rapporto tra il punto di vista classico e quello quantistico. Il moto classico corrisponde alle regioni dove tutti i cammini tra loro vicini contribuiscono costruttivamente alla somma e, dunque, il cammino classico è quello che corrisponde alla variazione nulla dell'azione. La ricerca dei cammini per cui la variazione di azione è nulla è un problema del calcolo delle variazioni e conduce direttamente alle equazioni del moto di Newton. Dunque, tramite una opportuna scelta dell'azione, il punto di vista classico e quello quantistico risultano unificati.
La debolezza di questo approccio sta nel fatto che sino a ora non è stata sviluppata una teoria della misura adatta a formalizzare l'integrale di Feynman in tutte le situazioni possibili.
In conclusione, la notazione di Dirac pone in risalto il legame tra l'interpretazione probabilistica dell'ampiezza e la struttura di spazio vettoriale dello spazio degli stati di un sistema quantistico. La strategia che utilizzeremo nel seguito per mettere in evidenza le relazioni tra la teoria dei quanti e la topologia ruota intorno al bracket di Dirac. Possiamo dire che il bracket di Dirac funge da intermediario tra la notazione e l'algebra lineare, e che la connessione tra la meccanica quantistica e la topologia si ottiene effettivamente estendendo la notazione di Dirac.
9. Teoria topologica dei campi: primi passi.
Per giustificare l'idea dell'estensione della notazione di Dirac, consideriamo il seguente scenario. Sia M una varietà tridimensionale e sia F una superficie chiusa orientata in M, che divide M in due parti, M1 e M2; queste due parti sono varietà tridimensionali con bordo che si incontrano lungo F. Consideriamo ora un'ampiezza 〈M1∣M2〉 = Z (M), la cui forma sia una generalizzazione delle considerazioni precedenti in questo senso: la superficie F introduce la distinzione tra le parti M1 e M2 e consente di interpretarle, rispettivamente, come ‛preparazione' e ‛risultato'. Possiamo dire che si tratta di una generalizzazione dell'ampiezza di Dirac 〈a∣b〉 in cui la linea verticale rappresenta uno strumento di distinzione ‛topologica' nello spazio M. Se Z (M) è un invariante topologico di M, viene chiamata ‛ampiezza topologica'; si noti che l'ampiezza topologica non dipende dalla superficie F che divide M.
Dal punto di vista fisico l'indipendenza dell'ampiezza topologica dalla particolare superficie di divisione delle 3-varietà è la proprietà più importante. Nelle 3-varietà viene introdotta la distinzione tra due parti e l'ampiezza emerge interpretando una delle due parti come ‛osservatore' e l'altra come ‛osservato'. Se l'ampiezza deve fornire informazioni fisiche (ovvero topologiche) sulla sottostante varietà, allora non deve dipendere dalla particolare suddivisione in osservatore e osservato. Le stesse considerazioni si applicano alle varietà di dimensione 4 e hanno stretti rapporti con la teoria della relatività. La questione delle ampiezze quadridimensionali è attualmente oggetto di ricerca, mentre nel caso tridimensionale sono già noti numerosi esempi di ampiezza topologica ed è per questo che ci siamo concentrati soprattutto su questo caso. Notiamo ancora però che l'idea che un'ampiezza debba essere indipendente dalla distinzione che la produce è antecedente alla topologia. L'invarianza topologica delle ampiezze è un modo comodo e fondamentale per produrre questa indipendenza.
L'improvviso emergere del concetto di ampiezza topologica ha il suo complemento nella fisica matematica. Edward Witten (v., 1989) ha proposto un modello per la costruzione di una classe di invarianti di 3-varietà consistente in integrali di Feynman generalizzati della forma seguente:
In questa espressione M denota una 3-varietà senza bordo e A è un campo di gauge (detto anche potenziale di gauge o connessione di gauge) definito su M. Il campo di gauge è una 1-forma su M a valori in una rappresentazione di un'algebra di Lie e il gruppo di Lie corrispondente a tale algebra è detto gruppo di gauge del campo. Nell'integrale si considera come azione S(M, A) l'integrale su M della traccia della 3-forma di Chern-Simons,
CS = A dA + (2/3)A A A,
dove il prodotto è il prodotto esterno di forme differenziali. Invece che essere esteso a tutti i cammini, l'integrale che compare in Z(M) è calcolato su tutti i campi di gauge a meno di equivalenza di gauge. L'espressione formale dell'integrale e la sua logica interna hanno fatto ritenere che nel modello proposto esista un'ampia classe di invarianti topologici di varietà tridimensionali e, associati a essi, anche invarianti di nodi e links in 3-varietà.
In effetti sono state trovate rigorose descrizioni combinatorie degli invarianti associati a questo integrale (v. Freed e Gompf, 1991; v. Reshetikhin e Turaev, 1991; v. Turaev e Viro, 1992; v. Kirby e Melvin, 1991; v. Lickorish, 1991; v. Kauffman e Lins, 1994). Sono tuttavia ancora aperte domande e congetture di notevole interesse legate alla formulazione degli invarianti come integrali. Inoltre, molti problemi affascinanti sono scaturiti dall'introduzione dell'integrale funzionale di Witten. Notiamo che a questo integrale si possono dare interpretazioni fisiche e da queste interpretazioni dedurre risultati che forniscono approssimazioni dell'effettivo comportamento dell'integrale. Questo processo è del tutto analogo all'approssimazione con cui si ottiene la meccanica classica come caso limite dell'usuale integrale sui cammini di Feynman. Questa cosiddetta ‛approssimazione di fase stazionaria' suggerisce una straordinaria serie di congetture sul comportamento delle versioni dell'integrale definite in modo rigoroso, e queste congetture sono state in effetti verificate numericamente in molti casi particolari.
Una delle conseguenze interessanti della relazione tra la teoria quantistica dei campi e la topologia è che l'esistenza di modelli matematici rigorosi per gli invarianti ha fornito un terreno di verifica puramente matematico per l'integrale sui cammini di Feynman. C'è da augurarsi che ciò che ora è uno strumento di verifica finirà per condurre a effettive teorie matematiche per l'integrale funzionale e a una nuova fondazione della teoria quantistica dei campi.
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