nodo
Il sostantivo ha un buon numero di occorrenze, esclusive però della Commedia, tranne un solo esempio in Rime LXXV 1 e uno nella prosa del Convivio (III VIII 3). Vari gli usi del termine, sempre traslati, e sempre con valore pregnante, molto espressivo; in alcune occasioni compare in contesti metaforici.
Non è infatti proprio l'uso di If XVII 15 dove si descrive l'aspetto di Gerione: lo dosso e 'l petto e ambedue le coste / dipinti avea di nodi e di rotelle: i nodi (come del resto le rotelle) non sono " legami ", " intrecci ", ma " disegni ‛ in forma ' di nodi ", " striature " (Sapegno), " segni complicati " (Fallani), che appaiono all'osservatore come un groviglio inestricabile di arabeschi e di spirali: come nei drappi dei Tartari e dei Turchi, o nelle tele per Aragne imposte (vv. 16-17).
Il Lombardi, come molti altri, si sofferma sul valore allegorico di questi nodi: " altissimi simboli di frode son questi. Il nodo, cioè l'inviluppamento di fune o d'altra flessibile materia, indica l'inviluppo di parole che usa il fraudolente, e la mira che ha sempre d'inviluppare ed illaqueare altrui ". Al Pietrobono questi n. richiamano le macchie della lonza: " le macchie di cui la lonza ha dipinto il manto qui cominciano a far trasparire chiaramente quel che nascondono: lacciuoli e raggiri ". Anche in If XXX 28 si registra un uso traslato, pur se il nodo / del collo è sempre immagine concreta, realistica, e del resto usitata sia in latino che nella lingua dell'epoca. Non ha più ragion d'essere il dubbio, che permane dagli antichi commenti fino all'Ottocento, se l'espressione indichi la " gola " o la " nuca ". È chiaro che si tratta del " punto di congiunzione tra cervello e midollo spinale, il punto già scelto da un serpente per mordere un ladro in Inf. XXIV, 99, e quello stesso, pare, dove il conte Ugolino roderà il suo avversario in Inf. XXXII, 129: il punto... in cui il cervello esplica la sua funzione di organo direttivo dell'organismo. Rotto quel punto, l'organismo cade in paralisi " (Mattalia).
Dal senso di " groviglio ", " intreccio ", Si passa al significato di " intimo intreccio di persone " (ma anche di cose, o di persone e cose insieme), trapasso semantico già riscontrabile nel latino nodus, per es., in Virgilio (Aen. X 428, nel senso però di " drappello ", " schiera che fa gruppo "). Di conseguenza il pertrattato nodo di Pg XXIX 133 (e non il modo, come leggono alcuni fra i più antichi commenti: cfr. Petrocchi, Introduzione 153) è " tutto il complesso degli elementi della mistica processione... che fanno nodo in quanto sono coordinati fra loro a formare un tutto avente al centro il grifone e la biga " (Mattalia), e non soltanto " l'intreccio di queste danzatrici " (Venturi) o " delle virtù raccolte a destra e alla sinistra del carro " (Pietrobono), ovvero " il carro, tirato dal grifone, contenuto in mezzo a quattro animali " (Vellutello).
Molto più complessa l'interpretazione del passo di Pd XXXIII 91 (la forma universal di questo nodo / credo ch'i' vidi) in cui, a parte i diversi dubbi di carattere teorico-scolastico, c'è un'alternanza fra l'interpretazione, che identifica la forma con " l'universo " e il nodo con " Dio " (cfr. per es. il Buti) e quella, opposta, secondo la quale la forma sarebbe Dio e il nodo l'universo (cfr., fra i moderni, il Sapegno). Quest'ultima interpretazione è forse preferibile, in quanto meglio all'universo che non a Do si attribuisce il sostantivo n. il quale, come si vede, vale di nuovo " intima unione " di cose (e persone); è anche vero però che le tre persone della Trinità sono unite strettissimamente fra di loro, e Dio è " nodo fermo che tiene ogni cosa nel suo essere " (Buti). Il contrasto è, per il Fallani, più apparente che reale; nodo può essere Dio, ed è anche l'universo che " riflette l'idea divina "; più complessa è la nota del Mattalia, col quale comunque si trova d'accordo il Momigliano nell'osservare che " il v. 91 riprende con nodo la gagliarda sintesi ideale di conflati e ripresenta in forma insieme filosofica e grandiosamente poetica il motivo dei vv. 85-87 ".
In Pg XXIV 55 il nodo che ritenne Bonagiunta da Lucca e gli altri poeti di qua dal dolce stil novo è l'" impedimento ", l'" ostacolo " che non permise ai rimatori toscani della generazione precedente di giungere al modo nuovo di poesia instaurato da D. e dai suoi amici detti, appunto per questo passo, ‛ stilnovisti '.
Più chiaramente " dubbio ", " problema ", vale il sostantivo quando è usato come sinonimo del groppo di If XI 96. Si tratta, come nota il Grabher a If X 95, di un passaggio dalla cosa all'effetto: il nodo / che qui ha 'nviluppata mia sentenza non è infatti il " dubbio " in quanto tale, ma piuttosto il senso di smarrimento, di disagio intellettuale e morale che ne consegue, e che ‛ inviluppa ', appunto, la mente. Si confronti questa espressione con l'error... soluto del v. 114. Similmente in Pd VII 53 la tua mente ristretta / ... dentro ad un nodo, / del qual con gran disio solver s'aspetta (Benvenuto: " difficile dubium "). Il sostantivo è, se vogliamo, sottinteso al v. 22 dello stesso canto: ti solverò... la mente equivale a " ti libererò la mente ‛ dal nodo ' del dubbio ". Icastica è l'espressione di Pd XXVIII 58 Se li tuoi diti non sono a tal nodo /sufficienti, non è maraviglia: / tanto, per non tentare, è fatto sodo. Un analogo significato ricorre in Cv III VIII 3 comincio, intendendo... alcuna cosa di tanto nodo dissodare, cioè " risolvere in parte la questione " (si noti l'insistenza ‛ n.-disnodare ' per indicare la difficoltà del problema).
Meno chiaro il passo della tenzone con Forese (Rime LXXV 1): Ben ti faranno il nodo Salamone, / Bicci novello, e petti de le starne.
" Dell'abitudine sintattica, normale in antico francese, di unire al termine specificato il complemento di specificazione, quando rappresenti una persona, senza preposizione, qualche vestigio resta ancora in italiano, nel toscanismo in casa i conti, nel francesismo la Dio mercé... la Commedia stessa ha il porco sant'Antonio, Par. XXIX 124 " (Contini).
L'espressione va collegata al passo del precedente sonetto di Forese - " i' trovai Alaghier tra le fosse, / legato a nodo ch'i' non saccio 'l nome, / se fu di Salamone o d'altro saggio ", LXXIV 8-10 -, che può alludere ai " legami o lacci del peccato ", a un " obbligo qualsiasi da soddisfare ", a un " rinfaccio d'usura " o a una " offesa invendicata ". Quanto a Salamone, potrebbe trattarsi di fra Salomone da Lucca, che " fungeva da inquisitore dell'eretica pravità in Firenze nel 1282-83 " (Barbi-Maggini, Rime 294 ss.); ma altre due testimonianze dell'espressione, reperite dal Barbi, gli fanno supporre che essa fosse " comune per indicare un nodo forte ", e allora non ci sarebbe bisogno di pensare a fra Salomone (p. 295 n. 3).
Nel sonetto di D. il contesto farebbe propendere per la prima interpretazione: si allude alla gola che manderà in rovina Forese, e quindi il nodo Salamone potrebbe indicare il peccato o, più genericamente, una situazione ingarbugliata, difficile a risolversi, in cui e petti de le starne faranno cadere il goloso.
Un successivo traslato (d'influsso scritturale: cfr. Is. 5, 18; Prov. 5, 22) fa passare n. dal senso di " dubbio ", " impedimento ", a quello di " impedimento alla salvezza ", o anche " annebbiamento dell'intelletto " per cui l'uomo esce di sé e pecca; più semplicemente, " peccato ", o " tormento ", " angoscia " di chi si trova in peccato. Infine può valere " debito del peccatore ", che gl'impedisce di redimersi, " ostacolo " alla salvezza, da rimuoversi con il pentimento e l'espiazione.
In Pg XVI 24 [gli spiriti] d'iracundia van solvendo il nodo, " vadunt solvendo et liberando se per poenitentiam ab iracundia, quae vere est fortis nodus ligans hominem, ita quod non habet libertatem sui " (Benvenuto); " l'ira, forse più d'ogni altra passione... ci lega le facoltà intellettuali " (Pietrobono). Analogo, ma non proprio uguale, l'uso di Pg XXIII 15 Ombre che vanno / forse di !or dover solvendo il nodo: n. non è più il peccato in sé, ma il debito di penitenza, quindi la " conseguenza del peccato ": " sono anime che forsi vanno facendo loro penitenzia, che è dovuta loro per lo peccato de la gola " (Buti); il n. insomma è " l'obligo... di quello di che restano debitori a Dio de la pena che per quello hanno a pagare " (Landino). Infine, in Pg IX 126 (la chiave d'argento è quella che 'l nodo digroppa) la scelta del vocabolo (e quindi del verbo ‛ digroppare ') è determinata dalla parola chiave che, come nota Benvenuto, " est potestas absolvendi et ligandi ". Si osservi comunque che, mentre i più antichi commentatori sono d'accordo nell'interpretare n. come " peccato ", dal Lombardi in poi si preferisce intendere il sostantivo come " la inviluppata coscienza del penitente "; finché i moderni concludono che il nome indica " la matassa della condotta del peccatore "; la chiave d'argento " dipana la matassa... in modo da veder chiaro quanto c'è in essa di bene e di male: l'ultimo verso è una delle dense e potenti metafore suggerite a Dante dalla rima " (Momigliano).