Noi vivi ‒ Addio Kira
(Italia 1942, bianco e nero, Noi vivi 94m, Addio Kira 96m); regia: Goffredo Alessandrini; produzione: Franco Magli per Scalera/Era; soggetto: dal romanzo We the Living di Ayn Rand; sceneggiatura: Corrado Alvaro, Orio Vergani, Anton Giulio Majano; fotografia: Giuseppe Caracciolo; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: Andrea Beloborodoff, Giorgio Abkhasi, Amleto Bonetti; costumi: Rosi Gori; musica: Renzo Rossellini.
Tornata a Pietrogrado dalla Crimea, dove la sua famiglia borghese s'era rifugiata allo scoppio della rivoluzione, la giovane Kira Argounova riprende gli studi e affronta le difficoltà quotidiane della realtà russa dei primi anni Venti, tra i contraccolpi delle statalizzazioni forzate e il ricorso alla 'nuova politica economica'. Incontra per strada un giovane di origini aristocratiche, Leo Kovalenski, sorvegliato dalla polizia politica, e se ne innamora. Tratta in arresto per sospetta attività antisovietica, Kira viene rilasciata dal commissario Andrei Taganov, colpito dalla sua bellezza e dal suo fiero carattere. Leo, malato, ha bisogno di essere ricoverato in sanatorio, e per assicurargli le cure Kira diventa l'amante di Andrei. Quando Leo, guarito, fa ritorno, Kira va a vivere con lui. Senza lavoro, Leo si lascia attirare in un giro di traffici illeciti per i quali viene arrestato dallo stesso Andrei, che nell'occasione scopre il vero legame di Kira con Leo. Già sconvolto dalla piega oppressiva presa dal regime politico nel quale aveva identificato i propri ideali, e ora deluso anche in amore, Andrei compie un ultimo gesto generoso; fa liberare Leo, poi, prima di essere fucilato per tradimento, si uccide. Leo rinfaccia a Kira di essere stata l'amante di Andrei e la lascia; la donna decide di fuggire clandestinamente dalla Russia, ma alla frontiera, su un campo innevato, viene sorpresa da una guardia che le spara e la uccide.
Nel cinema italiano degli anni Quaranta, che volentieri chiese in prestito idee alla narrativa di vario rango, era inevitabile che l'attenzione cadesse a un certo punto su un romanzo di successo come We the Living di Ayn Rand, una scrittrice americana di origine russa che in quelle pagine aveva raccontato la storia di una giovane donna tormentata dall'amore per due uomini sullo sfondo della Pietrogrado dei primi, convulsi anni di regime comunista. C'era nel libro materia non soltanto per un mélo sentimentale e tragico di facile presa, ma anche per un'operazione di contingente propaganda antisovietica (nel 1942, l'Italia era in guerra con l'URSS). L'occasione, insomma, era buona per impiantare uno spettacolo di grosso richiamo e, nei fatti, una volta presa la decisione di affidare la riduzione del libro a Corrado Alvaro e Orio Vergani e la regia a Goffredo Alessandrini, neppure privo di ambizioni. Lo sforzo produttivo, del resto, puntava su alcuni dei nomi più in vista nella Cinecittà di allora e su una ricostruzione d'epoca che, se necessariamente privilegiava gli interni, sfoggiava almeno arredi e suppellettili credibili, e striscioni, insegne e giornali meticolosamente in caratteri cirillici, nonché un campionario di autentiche facce russe fra le comparse, attinte alla colonia degli espatriati in Italia al tempo della rivoluzione o subito dopo. Segni distintivi del film sono il procedere lineare del racconto, che privilegia un ritmo lento e largo anche nelle svolte drammatiche della vicenda; la fotografia grigia e fredda, che immerge ambienti e personaggi in un'atmosfera distaccata, a tratti persino irreale, specie là dove s'ingegna a suggerire qualche esterno sfumato dalla nebbia o lambito da una luce glaciale; il copioso ricorso ai dialoghi e ai primi piani. A questo proposito non sorprende che, rivisto decenni dopo, il film sembri anticipare, nella struttura, tanti romanzi e sceneggiati televisivi (forse non è un caso trovare Anton Giulio Majano, che in televisione sarà poi un maestro del 'genere', tra i responsabili della sceneggiatura e collaboratore alla regia).
Lanciato dalle buone recensioni e dal Premio della Biennale che raccolse alla Mostra di Venezia, dove venne presentato nella sua durata complessiva di 3 ore e 50 minuti, e uscito nelle sale, dopo alcuni tagli e ritocchi, in due parti distinte intitolate rispettivamente Noi vivi e Addio Kira, il film ebbe un temporaneo, cospicuo successo: piacquero la sensualità aspra di Alida Valli, il profilo di Rossano Brazzi che bene dissimula il fondo banale ed egoistico del personaggio dietro la morbidezza del tratto, la cupa maschera integerrima di Fosco Giachetti; e piacquero i comprimari, soprattutto Giovanni Grasso, Emilio Cigoli, Guglielmo Sinaz. Per quel che riguarda il risvolto politico, scontata l'adesione di una fascia di pubblico allineato per convinzione alle linee governative antibolsceviche, altri spettatori furono invece portati a sovrapporre al ritratto che il film dà di un sistema totalitario minato da fazioni e corruttibilità certi aspetti della realtà italiana che essi stavano vivendo sotto il fascismo. Si vuole persino che questo aspetto 'controproducente' allarmasse a un certo punto il governo. Ma fu piuttosto il precipitare degli eventi bellici a interrompere la carriera del film. A risollevare la quale non varrà un tentativo di ripresentarlo nel dopoguerra, ché, anzi, la cosa provocò insofferenze e proteste. Curiosamente, buone accoglienze troverà negli Stati Uniti quando, restaurato e condensato in tre ore, a metà anni Ottanta sarà presentato in alcuni festival (Telluride, Miami, Boston) e nei circuiti di New York, Chicago, Los Angeles e altre grandi città, dove la critica loderà il suo respiro da kolossal, il suo taglio 'già televisivo' e le interpretazioni, in particolare quella della Valli. A insistere per vederlo in America era stata Ayn Rand, intenzionata a procedere per vie legali da quando aveva saputo che in Italia, durante la guerra, dal suo libro era stato tratto un film. Ma alla fine la scrittrice unì il suo apprezzamento a quello della stampa e sospese ogni azione.
Interpreti e personaggi: Alida Valli (Kira Argounova), Fosco Giachetti (Andrei Taganov), Rossano Brazzi (Leo Kovalenski), Giovanni Grasso (Tishenko), Emilio Cigoli (Pavel Sierov), Annibale Betrone (Vassili Dunaev), Bianca Doria (Irina Dunaev), Gioia Collei (Acia Dunaev), Mario Pisu (Victor Dunaev), Guglielmo Sinaz (Morozov), Sennuccio Benelli (Saska), Cesarina Gheraldi (Sonia), Silvia Manto (Mariska), Claudia Marti (Lidia Argounova), Evelina Paoli (Galina Petrovna Argounova), Lamberto Picasso (capo della GPU), Gina Sammarco (Tonia), Gero Zambuto (Alexei Argounov), Raf Vallone (marinaio).
A. Pietrangeli, La mostra veneziana, in "Bianco e nero", n. 9, settembre 1942.
F. Pasinetti, I film della mostra di Venezia, in "Cinema", n. 150, 5 settembre 1942.
R. Calzini, 7 giorni a Venezia, in "Film", n. 39, 26 settembre 1942.
D. Calcagno, Noi vivi, in "Film", n. 42, 17 ottobre 1942.
M. Gromo, Noi vivi - Addio Kira, in "La Stampa", 21 ottobre 1942, poi in Davanti allo schermo. Cinema italiano 1941-43, Torino 1992.
Vice, Noi vivi, in "Cinema", n. 152, 25 ottobre 1942.
S. Linfield, You Only Live Twice, in "American film", n. 4, January-February 1987.
G. Nowell-Smith, Noi vivi, in "Monthly film bulletin", n. 666, July 1989.
J.A. Gili, Entre le mélodrama et le film de propagande, in "Positif", n. 363, mai 1991.