noia
Condizione, transitoria o duratura, di insoddisfazione frustrante, di indifferenza inquieta e disaffezione dolorosa verso una realtà esperita come priva di significato. Come stato di passività, di pigrizia e di inerzia morale (acedia), contrapposta all’amore creatore nel senso cristiano, la n. fu condannata da Tommaso d’Aquino, che la definì una «species tristitiae», «tristitia spiritualis boni» e, successivamente, «tristitia saeculi». Una connotazione spiccatamente esistenziale assume il concetto di n. nella riflessione di Pascal. «La nostra natura», osserva Pascal, «è nel movimento. Il riposo totale è la morte»; infatti, «nulla è insopportabile all’uomo quanto essere in un completo riposo, senza passioni, senza faccende, senza divertimento, senza un’occupazione. Avverte allora il proprio nulla, il proprio abbandono, la propria insufficienza, la propria dipendenza, il proprio vuoto» (Pensieri, 1670, 129). In questa condizione, dal profondo dell’animo umano insorgeranno la n. e la disperazione. Analogamente, per Schopenhauer la n. scaturisce nel punto centrale dei poli tra i quali oscilla l’esistenza umana, il riposo e l’agitazione. Se si consegue quello che si desidera, il desiderio si placa, si raggiunge un punto di quiete e questa diviene sazietà, insopportabile a causa della n. che produce. Desiderio e sazietà costituirebbero un movimento ciclico di dolore costantemente rinnovato e di tedio disperato per uscire dal quale Schopenhauer consiglia all’uomo di cercare un oggetto di desiderio che non lo soddisfi completamente, ma che neppure gli conceda libertà. Concetti analoghi tornano in Kierkegaard, per il quale la n. è un sentimento che appartiene allo stadio estetico dell’esistenza, è il lato notturno che si oppone diametralmente al lato diurno del piacere. Forma esistenziale della disperazione, la n. ne costituisce il ‘lato negativo’. Infatti, chi non sceglie e si dedica solo al piacere cade ben presto nella n., cioè nell’indifferenza nei confronti di tutto, perché, non impegnandosi mai, non vuole profondamente e sentitamente nulla. Sviluppato in chiave esistenzialista, il concetto di n. intesa come esperienza dell’indifferenza delle cose nella loro totalità assume nell’analisi di Heidegger connotazioni metafisiche. Annoiarsi significa «essere lasciati vuoti», «essere consegnati all’ente nella sua totalità». Come stato psicologico, la n. non è che una caduta di interesse per qualcosa (un libro, un divertimento, ecc.); ma la vera, autentica n. è quella che ci invade quando «ci si annoia» (in ted. «es ist einem langweilig»). In questo passaggio all’impersonale, la n. perde il suo significato puramente psicologico per assumere una valenza metafisica, diventando «la n. profonda che, come nebbia silenziosa, si raccoglie negli abissi del nostro esserci, accomuna uomini e cose, noi stessi con tutto ciò che è intorno a noi in una singolare indifferenza. È questa la n. che rivela l’esistente nella sua totalità» (Che cos’è metafisica?, 1929).