MONTEFELTRO, Nolfo di
MONTEFELTRO, Nolfo di. – Figlio di Federico, nacque nel 1295 ed ebbe in moglie una certa Giovanna, da cui nacque Federico (detto Federico Novello). Stando a Pompeo Litta, la moglie sarebbe appartenuta alla famiglia Gabrielli di Gubbio, ma molto probabilmente vi è un errore di generazione: Margherita di Cante Gabrielli sposò infatti nel 1377 un nipote di Nolfo, omonimo.
Nel 1322 scampò al massacro nel quale persero la vita il padre e un fratello, forse fuggendo a San Marino insieme con il cugino in secondo grado Speranza (il cui avo comune era Montefeltrano di Montefeltro). Con il cugino, con alcuni altri congiunti e i Tarlati di Pietramala, dopo un primo tentativo infruttuoso, nell’aprile del 1324 recuperò la città e il contado di Urbino al dominio della sua casata. Da allora, rappresentò gli interessi del vasto gruppo parentale cui apparteneva, agendo prima congiuntamente con Speranza e con il fratello Galasso (che nelle fonti viene sempre ricordato per primo tra i fratelli e che morì nel 1350), e poi con gli altri fratelli Enrico e Feltrano.
Nell’agosto dello stesso 1324, al comando di 800 cavalieri e 4000 fanti, intorno a Castel Cavallino presso Urbino combatté una cruenta battaglia che si concluse con la strage di coloro che avevano partecipato all’insurrezione urbinate e che si erano resi responsabili della morte del padre e del fratello.
Nel 1326-1327 fu podestà di Fabriano, città allora nemica della Chiesa, che difese dall’assalto malatestiano. Al principio del 1327 tutte le città della Marca, tranne Ancona, erano nuovamente ribelli al pontefice e aderivano alla lega capitanata dai Montefeltro. Nolfo sostenne l’imperatore Ludovico di Baviera durante la sua discesa in Italia e il 27 marzo 1328 ricevette insieme con Galasso un diploma di conferma del dominio di numerosi castelli e villae situati nel Montefeltro. Due giorni dopo l’imperatore concesse loro la facoltà di creare giudici e notai e di legittimare bastardi e con un secondo privilegio divise, tra Speranza da una parte e Nolfo con i suoi fratelli dall’altra, i possedimenti e i diritti di origine imperiale che già erano stati del loro congiunto Galasso, morto senza figli nel 1300. Ma con un ulteriore privilegio emanato il 27 marzo l’imperatore confermò alla città di Urbino il pieno possesso del suo antico comitatus, non riconoscendo dunque i Montefeltro come conti di Urbino.
Dopo la morte di Castruccio Castracani degli Antelminelli (3 settembre 1328), l’imperatore nominò Nolfo vicario di Pistoia, sperando in tal modo di contenere la potenza fiorentina. Appena Ludovico il Bavaro ebbe lasciato l’Italia nell’aprile 1329, le città marchigiane si riunirono per concordare il modo di ritornare all’obbedienza della Chiesa. Anche a causa del netto declino in cui ormai versava la già potente casa ghibellina dei Tarlati di Pietramala di Arezzo, con la quale erano tradizionalmente collegati, i Montefeltro iniziarono un’opera di riavvicinamento alla Curia. Mentre ancora nel settembre del 1330 i beni dei conti di Montefeltro apparivano confiscati dalla Camera apostolica, in quello stesso anno Nolfo giurò fedeltà al re Giovanni di Boemia figlio di Enrico VII, sceso anch’egli in Italia, del quale poi fu nominato familiare e consigliere il 9 aprile 1333. Poiché il re aveva stretto alleanza con il legato Bertrand du Poujet (determinando in tal modo una spaccatura in seno al partito imperiale), Nolfo poté riconciliarsi con il papa, portando con sé anche diverse città marchigiane che, con Urbino, furono assolte dalle censure ecclesiastiche (agosto 1333). Ciò accadeva peraltro in un periodo nel quale i Malatesta erano passati in assoluta maggioranza dalla parte avversa al Papato e in un periodo in cui il legato, sconfitto presso Ferrara insieme con il re di Boemia, perdeva potere di giorno in giorno.
Il 21 settembre 1334 Giovanni XXII ordinò la revisione del processo per eresia intentato contro il padre di Nolfo, Federico, il quale sarebbe stato definitivamente riabilitato circa due anni dopo, e con altre due lettere concesse a Nolfo, a Galasso e alle loro mogli Giovanna e Allegrezza di poter ricevere l’indulgenza plenaria in punto di morte. Il rovesciamento dell’alleanza, da ghibellina a guelfa, dovette lacerare la coesione familiare (come accadde anche in altre famiglie e soprattutto presso i Malatesta): nel 1334 Nolfo e Galasso cacciarono Speranza, il quale sembra volesse impadronirsi di Urbino con l’aiuto dei Tarlati e di Malatesta Malatesta, detto Guastafamiglia. Speranza ritentò l’impresa nel 1340, ma di nuovo senza riuscirvi.
Alleati con Firenze e Perugia (1335) contro i Tarlati e i Malatesta, i Montefeltro indebolirono gli avversari e riuscirono nuovamente a ottenere il controllo di Cagli, città perduta alla morte del padre Federico, fatto che permise di controllare più saldamente le vie di transito verso l’Umbria. Il 12 gennaio 1338 recuperarono altresì la fortezza di San Leo, che fu conquistata da Nicolò, fratello naturale di Nolfo, scalando nottetempo la rupe con 300 uomini. L’immediatamente successivo appropriarsi del castello di San Marino consentì ai conti di avere di nuovo in pugno la Valmarecchia e l’area subito a monte della pianura romagnola. Nel 1342 una pace contratta dai gruppi parentali Montefeltro e Malatesta permise il mantenimento dello status quo per alcuni anni.
Nonostante l’enorme potenza dei Malatesta, la cui dominazione si spingeva fino ad Ascoli e Jesi e permetteva loro di controllare gran parte della fascia litoranea tra Romagna e Marche, i conti di Montefeltro erano riusciti a consolidare il dominio nell’area geografica che, tradizionalmente, era da un secolo e mezzo al centro dei loro interessi strategici, mantenendo altresì un prestigio che superava di molto i confini del territorio direttamente controllato, come attestano le numerose magistrature esercitate nelle città dell’Italia centrale.
L’azione di Nolfo, atta al recupero del territorio situato nelle attuali Marche settentrionali, non si spinse peraltro più lontano. Alcune lettere pontificie degli anni Trenta e Quaranta del secolo ci informano della sottrazione di alcuni castelli alle Chiese romana e ravennate, ma nel complesso fino al 1348 perdurò il buon rapporto dei conti di Montefeltro con il Papato, che aveva interessi convergenti soprattutto nel fronteggiare la dominazione malatestiana.
Nel 1341 Nolfo si trovò nuovamente dalla parte antifiorentina, aderendo alla lega di Luchino Visconti signore di Milano. Incaricato del comando dei foeditores pisani, il 12 ottobre sconfisse l’esercito di Firenze e il 17 giugno 1342 partecipò all’occupazione di Lucca. Riconosciuto abile uomo di guerra, nel 1344 comandò l’esercito veneziano contro il conte di Gorizia. Riuscito vincitore, il 19 settembre fu ascritto insieme con i fratelli alla cittadinanza veneziana.
Nel 1348, mentre il re Luigi d’Ungheria era in Italia per vendicare l’uccisione del fratello Andrea e per reclamare il trono di Sicilia, Nolfo entrò a far parte della vasta alleanza filoungherese (e per ciò antinapoletana e antipapale) che si era raccolta intorno a Giovanni Visconti arcivescovo di Milano, venendo posto a capo delle operazioni in Italia centrale. Assediò Cantiano, nel 1351 prese parte alla campagna militare che veniva combattuta in Toscana e durante l’inverno successivo si impadronì di tutta l’alta Valtiberina, fu sconfitto a Orvieto e riparò a Sansepolcro, donde si mosse per prendere Bettona nell’agosto del 1352. Esauritasi la spinta propulsiva della guerra viscontea, che non aveva portato risultati apprezzabili, il 1° aprile 1353 l’arcivescovo di Milano stipulò a Sarzana la pace con Firenze e il 23 maggio Nolfo e i suoi fratelli Enrico e Feltrano la ratificarono per sé, per i loro aderenti e per le città di Urbino, Cagli e San Leo.
Al tempo della discesa in Italia del cardinale Egidio Albornoz nel 1354, Nolfo e i suoi fratelli, pienamente investiti dalla campagna di recuperationes che il legato portava efficacemente avanti, furono tra i primi a scendere a patti. Dopo essere stati esortati a restituire le terre indebitamente occupate a danno della Chiesa e dopo avere tentato di ottenere una mediazione dall’imperatore Carlo IV, alla cui casata erano legati da decenni, Nolfo ed Enrico si recarono a Gubbio e il 20 giugno 1355 si dichiararono colpevoli, giurarono fedeltà al legato e chiesero di essere assolti facendo atto di sottomissione; l’8 luglio la città di Urbino fece altrettanto. Il 26 luglio Nolfo, Enrico e Feltrano e i rappresentanti dei Comuni di Cagli e Urbino sottoscrissero con il legato dei patti solenni. Fu ribadita la fedeltà dei conti e delle città alla Chiesa romana; furono stipulati accordi compromissori per la scelta dei podestà a Urbino e a Cagli; furono avviate le pratiche per riammettere alcuni fuoriusciti; i conti e le comunità furono assolti dalle censure ecclesiastiche e furono riportati nel loro Stato; ai conti fu infine restituita la custodia civitatis di Urbino, di Cagli e delle altre città e terre, con l’eccezione temporanea di San Marino, in attesa che anche i Malatesta si sottomettessero, mentre alla città di Urbino fu restituito il contado con la promessa di potervi eleggere liberamente il podestà e di esercitarvi il mero e misto imperio.
Nel 1358 Nolfo fu chiamato dai senesi a dirigere le operazioni militari contro i Perugini, ma non accettò l’incarico. Nel 1360 partecipò alla presa di Bologna agli ordini dell’Albornoz.
Gli ultimi anni della sua vita furono contrassegnati da una fase di minor peso politico della famiglia dei Montefeltro, che, frenata dalla presenza del legato, apparve meno in grado di mantenere salda la rete di clientele con le altre famiglie signorili della regione, sebbene un registro camerale di introitus et exitus di quegli anni, gli atti di un processo del podestà di Montefeltro e alcune lagnanze di altri funzionari pontifici locali mostrino come, in realtà, una gran parte del Montefeltro non pagasse la taglia al legato e come gli stessi conti continuassero a esercitarvi pienamente la giurisdizione.
Nolfo morì tra il 1361 e il 30 settembre 1363.
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Tommaso Di Carpegna Falconieri