nomadismo
Tipica forma di esistenza sociale che implica spostamenti periodici per la sopravvivenza e la riproduzione del gruppo. La raccolta di vegetali selvatici, prima, e la caccia di erbivori gregari migratori, poi, sono le attività che, a partire dal Pleistocene, orientano in senso nomadico la vita della nostra specie. Nella storia del moderno Homo sapiens il n. di caccia e raccolta ha costituito, in quanto specifico stile di vita, il tratto più durevole sino al compimento della rivoluzione neolitica (10° millennio a.C.). Questa forma di n. correlato alla ricerca del cibo, che a quell’epoca costituiva ancora il modo di vita caratteristico della totalità delle comunità umane, venne infatti scalzata gradualmente, ma in maniera sempre più rapida, dai nuovi stili di vita legati all’emergere dell’agricoltura e dell’allevamento come principali attività di sussistenza. Secondo i calcoli compiuti dagli specialisti, la percentuale dei cacciatori-raccoglitori, pari al 100% della popolazione mondiale (10 milioni) nel 10.000 a.C. – ossia alla vigilia della rivoluzione neolitica –, si sarebbe ridotta all’1% del totale (350 milioni) nel 1500 d.C., per scendere infine, come dato assolutamente residuale, allo 0,001% del totale (3 miliardi) agli inizi degli anni Settanta del 20° secolo. La variabilità degli spostamenti dei gruppi di raccoglitori e cacciatori in relazione alla distribuzione delle fonti di cibo, soprattutto animale, è un dato che fa parte dello stesso processo che determinò, nel Vicino Oriente del 10° millennio a.C., il passaggio da questa forma di sfruttamento delle risorse all’agricoltura. Si suppone che uno degli elementi determinanti il passaggio dalla caccia-raccolta al domesticamento dei cereali selvatici sia stato l’assottigliarsi della selvaggina nei bassipiani di questa regione. Tale diminuzione del numero degli animali fu, a quanto sembra, la conseguenza di due fattori combinati: l’eccessivo sfruttamento dei branchi di selvaggina per opera dei gruppi umani, da un lato, e l’inaridimento progressivo del clima della regione dall’altro. In seguito alla rivoluzione agricola cominciò a prevalere il n. pastorale. Le comunità umane conobbero infatti una forte espansione sul piano demografico. Ciò spinse i gruppi che si erano convertiti alla coltivazione dei cereali addomesticati a mettere a frutto sempre nuove terre. Tale espansione dovette tuttavia trovare un limite nello sviluppo delle forze produttive e delle tecniche agricole. L’impossibilità, in queste condizioni, di sostenere una popolazione in crescita sul piano demografico determinò probabilmente una serie di tentativi miranti a sostituire, almeno parzialmente, le fonti di sussistenza. Le fasce marginali delle aree agricole non potevano offrire altra possibilità che l’allevamento di qualche caprino o ovino addomesticato, animali in grado di nutrirsi dei vegetali selvatici tipici degli ambienti aridi di quelle regioni. Nelle comunità agricolo-pastorali, in cui il prodotto agricolo era integrato da quello di derivazione animale grazie agli allevamenti di bovini, ovini ed equini, con la scoperta del cavallo come montatura, alla fine del 2° millennio a.C., la transumanza divenne a raggio sempre più ampio assumendo carattere di costume di vita. Habitat ideale per questo lungo processo di trasformazione furono le oasi e in particolare le oasi fluviali centrasiatiche con comunità stanziali su un territorio fertile e ricco di acque a ridosso di una regione steppica che si estende dalla Manciuria alla piana ungherese.
L’Asia centrale, con le sue grandi aree di oasi fluviali (regione dell’Amu-darya e del Syr-darya, Zungaria, Xinjiang) limitrofe alla sterminata fascia di steppe che dalla Manciuria si estende pressoché ininterrotta fino alla piana ungherese, costituisce l’ideale punto d’origine del nomadismo equestre: società sedentarie agricolo-pastorali molto ricche che, a causa di un forte incremento demografico sia umano sia animale, avrebbero prodotto il distacco dei gruppi adibiti all’allevamento su vasta scala. Questo processo di trasformazione economica e sociale non poté avvenire che dopo l’acquisizione di una tecnica fondamentale, quella dell’impiego del cavallo come montatura, acquisizione completata prima del 1000 a.C. come testimoniano rilievi assiri con immagini di truppe montate; lo scavo archeologico ha dimostrato che all’inizio dell’Età del ferro un popolo di cavalieri (cimmeri?) era stanziato nella piana ungherese. I primi nomadi di cui abbiamo notizie da fonti letterarie e riscontri archeologici sono gli sciti, che compaiono nei documenti assiri dell’epoca di Esarhaddon (680-669), attivi nella regione del Lago Urmia alternativamente alleati di assiri e medi; il loro centro di gravità dové poi spostarsi a nord-ovest del Caucaso, nella regione tra Dnepr e Don, dove alla fine del 7° sec. vennero in contatto con le colonie greche sulla sponda settentrionale del Mar Nero. Le steppe dal Mar Nero ai confini orientali del Kazakistan erano popolate da tribù e confederazioni nomadi (sciti, sauromati, massageti, issedoni, saka), probabilmente di area linguistica iranica: non appena medi e persiani iniziarono a emergere come potenze politiche, si delineò l’antagonismo tra Iran sedentario «interno» e nomade «esterno», che si protrasse fino alla conquista araba e che ebbe conseguenze non solo sul piano storico ma soprattutto dal punto di vista culturale con i nomadi che costituirono il tessuto connettivo tra Oriente e Occidente. I nomadi iranici dell’Asia centrale occidentale, attivi fino al 3° sec., non ebbero però mai la capacità di organizzarsi in formazioni politiche, abilità che mostrarono invece subito i cavalieri nomadi più orientali il cui centro di gravità era la Mongolia: la tribù emergente attestava la sua supremazia sulle altre confederandole sotto di sé e costituendo una compagine politica unica; chi, sconfitto, non accettava la dipendenza era costretto alla migrazione provocando quegli spostamenti a catena i cui effetti coinvolsero tutto l’Occidente. La prima popolazione sicuramente nomade di cui troviamo testimonianza nelle fonti cinesi è quella degli hsiung-nu (dalla metà del 4° sec.): tra la fine del 3° e la metà del 1° sec. riuscirono a costituire il primo impero delle steppe e a controllare un territorio che si estendeva dalla Manciuria all’Issyq kul, divenendo i principali antagonisti dell’impero cinese, costretto per lunghi periodi a riconoscerne la superiorità. Dopo di loro, grosso modo sugli stessi territori e con caratteristiche comuni, si succedettero gli imperi nomadi dei juan-juan (5°-6° sec. d.C.), dei turchi (6°-8° sec.), degli uighur (8°-9° sec.), dei kitan (11°-12° sec.), dei mongoli di Genghiz Khan e dei suoi successori.