astratti, nomi
In linguistica, la categoria di nome astratto non è universalmente accettata. I nomi astratti non sarebbero infatti di facile definizione dal punto di vista semantico: non a caso l’‘astrattezza’ non rientra tra i parametri semantici (quali l’essere o no umano, l’essere o no animato, il numero, il sesso / genere, la forma, la consistenza, la posizione nello spazio, ecc.) universalmente considerati per attribuire a un nome una specifica classe (Aikhenvald 20062). Anche intuitivamente, «sarebbe difficile collocare tra i nomi concreti o tra quelli astratti parole come sonno, malessere, corsa, salto, caduta, arrivo, che indicano fatti percepibili dai sensi, ma privi di consistenza materiale» (Dardano & Trifone 1997). Non è raro, inoltre, che alcuni nomi possano appartenere ora alla categoria di nome astratto ora a quella dei nomi concreti (➔ concreti, nomi), secondo il contesto e l’uso: si pensi all’es. di servitù, o a quello di celebrità, astratto quando adoperato nel senso di fama, concreto quando indica una persona celebre («via, non fo per dire, / ma oggi sono una celebrità», Giosuè Carducci, “Davanti San Guido” in Rime nuove, vv. 23-24).
La terminologia utilizzata è di conseguenza piuttosto eterogenea, quando non divergente (Schmid 2000: 10-63). D’altronde, la categoria di astratto avrebbe fatto la sua comparsa nelle grammatiche descrittive soltanto nella prima metà dell’Ottocento e, limitandosi all’area italiana, solo a partire dalla Grammatica ragionata della lingua italiana di Vanzon (18342: 58-59: «I nomi comuni si dividono in: 1 – Sostantivi propriamente detti [...]; 2 – Astratti, o siano nomi d’obbietti immaginari solo esistenti nella nostra mente, per cui vuolsi esprimere la qualità astratta»), e tuttora sarebbe, per i grammatici che vi fanno ricorso (ma si vedano le obiezioni in Goidanich 19674: XVIII-XIX), «da non intendere in senso troppo rigido» (Serianni 1988: 88).
Nella vulgata – data dalle grammatiche scolastiche (➔ analisi grammaticale) e dalle definizioni dei dizionari dell’uso (ad es. GRADIT, s.v. astratto; Sabatini & Coletti 2008, s.v. astratto) – i nomi cosiddetti astratti fanno parte dei nomi comuni e denoterebbero entità non percepibili fisicamente, quindi difficilmente misurabili e delimitabili. Detto altrimenti, e prendendo in considerazione non tanto il nome quanto la natura di ciò che designa, i nomi astratti sarebbero quelli che designano entità che non fanno parte del mondo concreto, fisico, e di cui non si può avere esperienza attraverso i sensi (Schmid 2000: 63).
Pur accettati in quanto categoria a sé, i nomi astratti andrebbero studiati – data la difficoltà di trattarli da un punto di vista semantico – anzitutto per il comportamento grammaticale, secondo il quale si dividerebbero in due tipi: quelli che condividono il comportamento dei nomi comuni di massa (➔ nomi), e quelli che seguono le regole proprie dei nomi comuni numerabili (Renzi 1988: 326).
Nel primo tipo si collocano nomi come amore, dolcezza, amarezza, diffidenza, gioia, bontà, verità, bellezza, coraggio, pazienza, ecc., che hanno requisiti propri dei nomi massa concreti, come quelli di rifiutare l’uso del plurale
(1) e di richiedere – in sintagmi nominali dal senso indeterminato (specifico o non) – l’articolo partitivo dello invece di quello indeterminativo uno (2):
(1) l’amore / la diffidenza / la verità
(2) * gli amori / * le diffidenze / * le verità
(3) * ha un coraggio
(4) ha del coraggio
In realtà, con alcuni di questi nomi (come per i nomi di massa concreti) l’uso del plurale e dell’articolo uno è possibile, ma soltanto in presenza di un modificatore del nome (5; 7; 9-10), che causa un conseguente slittamento di significato:
(5) le sue amarezze
(6) * ho sentito una diffidenza
(7) ho sentito una certa diffidenza
(8) * ha avuto un coraggio
(9) ha avuto un coraggio da leone
(10) ha un coraggio da leone
È da notare, tuttavia, che l’uso di uno è plausibile se c’è un’intonazione marcata: ha avuto un coraggio!; che può permettere l’ellissi del modificatore: ha avuto un coraggio (che non ti dico)!; pur potendo prendere il plurale – fattore che farebbe pensare a una riclassificazione del nome come numerabile – i nomi astratti non possono occorrere, di fatto, con veri e propri quantificatori numerali:
(11) * cinque dolcezze
(12) * tre diffidenze
Da qui si potrebbe supporre che sintagmi come le dolcezze, le amarezze, le gioie siano marcati formalmente ma non semanticamente: si tratterebbe cioè di plurali simili a ossa, mura, urla, che possono avere due plurali differenziati morfologicamente, ossi / ossa; muri / mura; urli / urla, dove il secondo, in -a, rappresenta la forma collettiva, non più numerabile, che semanticamente li rende simili ai nomi massa.
Con altri nomi astratti massa, l’uso dell’articolo uno è possibile solo se è presente un modificatore del nome (un aggettivo, un avverbio, una frase relativa, ecc.), e indica soltanto l’indeterminatezza del nome:
(13) * era di una pazienza
(14) era di una pazienza unica
Tuttavia, anche in questo caso in presenza di un’intonazione marcata l’uso dell’articolo uno è certamente plausibile (era di una pazienza!).
I nomi astratti del secondo tipo – ovvero, quelli assimilabili ai nomi comuni numerabili (qualità, parere, condizione, sventura, difficoltà, aspetto, ecc.) – possono: prendere l’articolo indeterminativo uno e i quantificatori numerali (15); accettare la forma plurale in presenza di un modificatore (16); essere modificati da quantificatori come poco, abbastanza, molto, ecc. (ma solo se questi sono al plurale) (17); co-occorrere con il partitivo (ma solo se questo è al plurale):
(15) un parere / quattro pareri
(16) le condizioni di sua sorella
(17) ha poche qualità
(18) ha delle qualità nascoste.
La categoria dei nomi astratti è aperta grazie alla possibilità di incorporare aggettivi sostantivati (buono: «c’è del buono in te»; marcio: «c’è del marcio in Danimarca»; torbido: «nel torbido di questa storia», ecc.) e alla produttività di alcuni suffissi, come il denominale -ìa (tiranno, tirannia); i deaggettivali -ezza (ricco, ricchezza), -izia (pigro, pigrizia), -eria (tirchio, tirchieria), -ìa (allegro, allegria), -ismo (pessimo, pessimismo; sociale, socialismo), -ità (attivo, attività), -ietà (empio, empietà), -tà (umile, umiltà; libero, libertà); -itudine (grato, gratitudine; negro, negritudine); i deverbali -anza, -enza (abbondare, abbondanza; conoscere, conoscenza); -ato, -ito, -uto (tenere, tenuta).
Aikhenvald, Alexandra Y. (20062), Classifiers and noun classes: semantics, in Encyclopaedia of language and linguistics, editor-in-chief K. Brown, Boston - Oxford, Elsevier, 14 voll., vol. 1°, pp. 463-471.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Goidanich, Pier Gabriele (19674), Grammatica italiana, con note aggiunte dell’autore e una introduzione di L. Heilmann, Bologna, Zanichelli (1ª ed. Grammatica italiana ad uso delle scuole. Con nozioni di metrica, esercizi e suggerimenti didattici, 1918).
Renzi, Lorenzo (1988), Il sintagma nominale, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale).
Schmid, Hans-Jorg (2000), English abstract nouns as conceptual shells. From corpus to cognition, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Vanzon, Carlo Antonio (18342), Grammatica ragionata della lingua italiana, Livorno, Luigi Angeloni (1a ed. Livorno, Tipografia e Litografia Sardi, 1828).