collettivi, nomi
Un nome collettivo è un nome (➔ nomi) che al singolare denota un insieme di entità o individui, rappresenta cioè un’idea di collettività (folla, gente, famiglia, squadra, sciame). A differenza dei nomi che denotano un’entità o un individuo singolo al singolare (e quindi una pluralità in forma plurale), il nome collettivo denota al plurale una pluralità di insiemi di entità o individui (molte folle, varie genti, due famiglie, le squadre, degli sciami).
Dato che la forma singolare denota un insieme di individui, sia in italiano che in altre lingue l’➔accordo del collettivo singolare col pronome personale e con il verbo può variare: può essere o al singolare o al plurale. Se il referente del nome collettivo è percepito come un insieme unitario, come in (1) a., l’accordo è singolare; se è percepito come una pluralità, come in (1) b., l’accordo è al plurale:
(1) a. Era povera gente che lavorava e voleva portare il pane a casa («La Repubblica» 19 agosto 2006)
b. Erano povera gente. Lavoravano per portare a casa il pane.
In italiano, e in altre lingue, la forma singolare del nome collettivo di solito si accorda al singolare con l’aggettivo, come in
(2) a. (ma si veda anche 3 a.), e il verbo, come in (2) b. (si veda 1 a.):
(2) a. C’è una famiglia alessandrina che ancora adesso sta facendo i conti con i danni causati dall’alluvione dello scorso aprile. La loro impresa agricola situata nelle campagne di Astuti è stata completamente allagata, e con essa i trattori e tutti gli altri attrezzi che rappresentavano i mezzi di sussistenza per la famiglia Fogagnolo (www.giornale.it, 2 febbraio 2010)
b. Anche perché, ieri, il personale del 118 di Bari si è spinto fino a depositare una denuncia in procura per segnalare l’esiguità d’organico del servizio di pronto intervento («La Repubblica» 4 giugno 2009).
Con il pronome personale, invece, prevale l’accordo al plurale:
(3) a. Nelle intercettazioni l’ombra della mafia. «Da quella gente meglio stare lontani se si sgarra con loro è la fine» («La Repubblica» 12 febbraio 2010)
b. Niente sapevano del privato della famiglia [...]. È rimasto tutto celato, dentro le mura della loro casa («La Repubblica» 30 maggio 2010).
L’accordo al plurale del nome collettivo dipende da fattori semantici e sintattici, e in generale si può dire che è possibile a condizione che siano realizzati una o più condizioni per l’accordo al plurale del nome collettivo singolare:
(a) il referente del nome è animato (preferibilmente umano); (b) il nome ha la funzione di agente; (c) il nome ha un complemento retto da di; (d) il verbo da accordare precede il nome; (e) la distanza sintattica tra il nome e il suo referente è elevata; (f) il nome viene usato nel parlato informale.
Le condizioni sopraelencate sono disposte in ordine di importanza, ma visto che si tratta sia di aspetti linguistici interni – semantici (a, b), sintattici (c, d) e testuali (e) – sia extralinguistici (f), bisogna anche supporre che interagiscano.
Solo le prime due condizioni sono da intendere come obbligatorie: l’accordo al plurale con il collettivo singolare in italiano si accetta raramente quando il referente non è animato. Inoltre, la condizione (b) è in stretto rapporto con (a), perché il fatto che l’accordo al plurale si trovi quasi solo con nomi animati (dal referente umano) si può spiegare con le caratteristiche tipiche dell’agente: volontà e mobilità: è vero che una persona non può scegliere di nascere in un dato paese (nome collettivo) o razza (nome collettivo), ma una volta nata, può scegliere di agire individualmente.
Circa la condizione (c), l’accordo al plurale è accettabile qualora il nome collettivo abbia un complemento preposizionale che specifichi a quali individui si riferisce, mentre non è sempre accettabile se il nome collettivo è privo di un tale complemento:
(4) a. Un collettivo di musicisti impegnati da anni (è del ’98 l’esordio discografico) a percorrere una strada sulla quale incontrare la canzone d’autore italiana e il rock indipendente («La Repubblica» 5 maggio 2007)
b. * Un collettivo impegnati da anni a percorrere una strada sulla quale incontrare la canzone d’autore italiana e il rock indipendente
Inoltre (d), in italiano, l’accordo al plurale del collettivo singolare è più comune quando il verbo precede il nome (5) a. e (6) che quando lo segue (5) b.:
(5) a. Sono tutti brava gente
b. È vero, ma quanta brava gente è andata
(6) io te la do buona però giustamente sono convinto che mi arriveranno gente che s’arrabbieranno (LIP, Lessico di frequenza dell’italiano parlato: FB14, 814, A).
La distanza sintattica tra il nome e il suo referente (e) può dar luogo al cosiddetto accordo a senso (➔ accordo). Ciò riguarda anche il nome collettivo: quando il referente del nome è distante dal controllore, l’accordo si stabilisce secondo il significato, cioè il parlante si riferisce agli individui piuttosto che al gruppo:
(7) a. È lui la voce narrante di un gruppo di esuli variopinti e nostalgici che si ritrovano quasi ogni sera a casa di un’anziana nobile, armena, Kashaniya Khartoum («La Repubblica» 15 settembre 2007)
b. è l’obiettivo di un gruppo di esperti che fanno parte del Comitato strategico per lo sviluppo della piazza finanziaria italiana («La Repubblica» 1 febbraio1999)
c. Gente rozza, loro o noi? («Il Catenaccio» 22 luglio 2009)
In (7) b. la subordinata relativa crea tra il nome ed il verbo una distanza sintattica maggiore rispetto, per es., al caso in (1) b. erano gente, dove il verbo ed il nome sono nello stesso sintagma. In (7) c., l’aggettivo rozza fa parte dello stesso sintagma del nome collettivo, mentre il pronome fa parte del sintagma verbale (il verbo è omesso).
Infine (è la condizione f), alcuni nomi collettivi sembrano occorrere più spesso con il verbo o il pronome accordato al plurale nel parlato informale:
(8) a. io te la do buona però giustamente sono convinto che mi arriveranno gente che s’arrabbieranno (LIP: FB14, 814, A)
b. ma non ma vedete eh Michelangelo questi killer maggiormente venivano accontentati con la centomila lire venivano mandati allo sbaraglio erano gente che stasera ti portavano a casa tutto il registro domani erano morti figuratevi che un giorno si raggiunse tra me e Cutolo quest’intesa fin quando abbiamo cinque morti al giorno vuol dire che l’organizzazione va avanti se superano i cinque morti vuol dire che siamo in fase di perdita (LIP: NC12, 40, A)
Anche se è proprietà del nome collettivo che la sua forma singolare abbia un referente plurale e che quindi l’accordo si realizzi sia al singolare che al plurale, ciò non significa che tutti i nomi della categoria possano avere entrambi gli accordi. Piuttosto, è probabile che alcuni nomi collettivi siano accordati più spesso al singolare che al plurale; ciò dipende dalle condizioni enunciate in (a) e (f).
Quando le espressioni di quantità (➔ quantificatori) sono usate come nomi (una trentina, una marea, la maggioranza, la maggior parte), si possono considerare nomi collettivi, sia perché si riferiscono a un gruppo di individui, sia perché hanno la caratteristica oscillazione (accennata sopra) tra accordo al singolare e al plurale. In (9) la vediamo nel parlato e in (10) nello scritto:
(9) a. come uomini # diciamo dai # fino ai trentott’anni quaranta anche sono molto molto ma molto celibi la maggioranza (LIP: FE 19, L).
b. la maggioranza direi celibe # i separati i divorziati sono minoranza (LIP: FE 15, 224, E)
(10) a. Niente da fare: lo stop non passa, la maggioranza va sotto per dieci voti. Mancano 20 pdl e 4 leghisti («La Repubblica» 21 ottobre 2009)
b. La maggior parte di questa gente erano persone innocenti, le migliori della Cecenia («La Repubblica» 10 ottobre 2006)
Con le espressioni numerali in funzione di nome collettivo, troviamo l’accordo al plurale anche con referenti non animati:
(11) Fino allo scorso luglio si poteva parcheggiare attorno alla rotonda: invece, a lavori finiti, dei 140 posti che contornavano la piazza ne sopravviveranno una trentina («La Repubblica» 5 settembre 2008).
La forma plurale del nome collettivo ha tra l’altro la funzione di specificare che la quantità dei referenti è superiore ad uno, come il plurale di un nome che denota un individuo al singolare. A volte la forma plurale del collettivo non cambia il numero del nome collettivo rispetto al singolare, come si vede paragonando la folla (12 a.) con le folle (12 b.):
(12) a. Terrore a Istanbul: due bombe tra la folla, è strage («La Repubblica» 28 luglio 2008)
b. Quello che gli interessava era arrivare alle persone, toccarle nel profondo. Il suo pontificato si è svolto in un periodo di gravissima crisi, e lui capì che bisognava calarsi nel mondo, impressionare le folle («La Repubblica» 31 marzo 2006)
Un’altra funzione del plurale, come nel caso del nome gente, può essere quella di specificare di che tipo di insiemi di individui si tratti:
(13) a. L’esposizione, voluta dalla Regione Basilicata e dalla Soprintendenza archeologica della Basilicata in accordo con il Comune di Roma, affronta da un’angolazione particolare, ma privilegiata, l’evoluzione culturale delle genti insediate nella regione tra il secondo millennio e il III secolo a.C. («La Repubblica» 9 luglio 2001)
b. Tante genti sono passate su queste terre, che qualcosa si trova davvero, e dappertutto, scavando con l’aratro (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1990, p. 128)
In italiano, per un gruppo ristretto di nomi individuali al singolare corrispondono una forma di plurale e una di collettivo:
(14) prete-preti / pretume
parente-parenti / parentame
nipote-nipoti / nepotame
In alcuni casi la forma collettiva di questi nomi assume una connotazione di disprezzo:
(15) a. Ma alla festa ti tocca invitare tutto il parentame? (Poletto & Penello 2005: 3)
b. Domenica ho dovuto fare da babysitter al nepotame (Poletto & Penello 2005: 3)
In italiano alcuni suffissi si associano tipicamente ai nomi collettivi: tali sono -ame, -ime e -ume, che già in epoca latina (-amen, -ĭmen, -umen) si staccarono dal verbo per legarsi al nome, in modo da esprimere un’idea collettiva, e -ile. Tali suffissi si trovano soprattutto con nomi della terminologia casalinga, agraria, nella fauna e nel regno animale.
-ame. Come nota Rohlfs (1966-1969: 407, § 1087), già in latino il suffisso -amen, che in origine era possibile solo con basi verbali in -are, si staccò dal verbo per formare nomi verbali, come spectamen «vista». Aggiungendosi ai nomi, il suffisso non esprimeva una nozione astratta ma un’idea collettiva: calceramen «calzatura», lateramen «tutto ciò che è fatto di mattoni». Rohlfs nota come quest’ultimo significato sia prevalso per il suffisso -ame, citando i seguenti es. (di frequenza diversa) da sfere semantiche diverse: bestiame, ferrame, funame, pollame, fogliame, fruttame, cascame, ossame. Rohlfs osserva anche che in Italia meridionale l’antico neutro ha dato il genere femminile. Esempi di nomi in alcuni dialetti meridionali sono:
(16) a. sicil.: la bistiami, la dintami, la murami «muratura»
b. calabrese: a ligami, a litami
c. napol.: ossamme, lutamme «letame»
d. lucano e pugliese: la salame
Nei dialetti si trovano anche dei nomi collettivi con la forma -amine (derivato da un accusativo analogico):
(17) a. umbro: ssámeno «sciame»
b. sardo: bestiámene, ferrámene
-ime. Alcuni nomi collettivi hanno il suffisso -ime, che in latino era originariamente verbale, legato ai verbi in -ire (munimen, fulcimen). Come nel caso del suffisso -amen (si veda sopra), -ĭmen dal momento in cui si è legato al nome esprime un’idea collettiva piuttosto che un concetto astratto; -ime si riscontra soprattutto nella terminologia agricola, massimamente in Toscana (nei dialetti meridionali, -ime dà luogo a nomi femminili):
(18) tosc.: concime, mangime, lettime «strame», guaime «fieno di secondo taglio», coprime «materiale da copertura»
-ume. Rohlfs nota che già in latino il suffisso -ume ha preso il significato collettivo (legumen, acumen, albumen): sudiciume, salume, pagliume, frittume, nerume.
-ile. Nell’Italia settentrionale è usato con lo stesso valore di -eto (Rohlfs 1966-1969: 401, § 1080), come in frutteto:
(19) a. piem.: canavril «canapaia»
b. milan.: castanil «castagneto»
c. bergamasco ant.: albaril «querceto».
Acquaviva, Paolo (2002), Il plurale in -a come derivazione lessicale, «Lingue e linguaggio» 2, pp. 295-326.
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Chini, Marina (1995), Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano, Franco Angeli.
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Jackendoff, Ray (1991), Parts and boundaries, «Cognition» 41, pp. 9-45.
Levin, Magnus (2001), Agreement with collective nouns in English, Lund, Lund University.
Poletto, Cecilia & Penello, Nicoletta (2006), Propagazione di suffissi derivazionali nel linguaggio giovanile, in Giovani, lingue e dialetti. Atti del Convegno (Sappada - Plodn, 29 giugno - 3 luglio 2005), a cura di G. Marcato, Padova, Unipress.
Rohlfs, Gerhard (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, vol. 3º, Syntax und Wortbildung).