lettere, nomi delle [prontuario]
Ogni lettera dell’➔alfabeto ha un nome, non sempre coincidente con il suono che essa rappresenta. Per giunta, il nome delle lettere può cambiare nel tempo o risentire dell’influsso di altre lingue. Per illustrare il primo fenomeno, basti, per es., pensare all’abbecedario che si usava un tempo nelle scuole elementari (dal quale si imparava l’abbiccì), che mostra col suo stesso nome che in italiano le stesse lettere dell’alfabeto abbiano avuto nel tempo nomi diversi: nella prima parola, infatti, ‹b› e ‹c› si chiamano be e ce, nella seconda, bi e ci.
L’insieme del nomi delle lettere dell’alfabeto italiano è eterogeneo (anche per quanto riguarda il genere, che è prevalentemente femminile, ma per alcuni casi anche maschile: la x ma il k). Di costante c’è solo il fatto che tutti i nomi delle lettere sono invariabili al plurale (la acca ~ le acca).
Le vocali ‹a, e, i, o, u› hanno per nome il suono che rappresentano.
Le consonanti invece si distinguono in diversi gruppi; i più consistenti, di sei ciascuna, sono formati sullo schema suono della consonante + i: bi, ci, di, gi, pi, ti, oppure sul modello e + consonante doppia + e: effe, elle, emme, enne, erre, esse. A parte, oltre le lettere di origine straniera (vedi sotto), troviamo anzitutto il nome acca per ‹h›, che si distingue dal secondo schema menzionato sopra per differente vocale, la a, e zeta [ˈʣɛta] per ‹z›, nome di origine greca (in tutti e due i casi, il nome resta invariabile al plurale, certo per analogia con le altre lettere).
Quanto a ‹q› e ‹v› i loro nomi, qu [kːu] e vu [vu], risentono della contiguità con la vocale ‹u›: nel primo caso per il nesso consonantico che si costituisce (quadro, qualità); nel secondo per trafila etimologica (in latino erano lettere indistinte sia sul piano fonetico sia su quello grafico e la indistinzione grafica si è protratta a lungo anche in italiano). Nel caso di vu, però, l’alternativa vi [vi] è frequente, per lo più in area settentrionale. Questa denominazione si fa sentire in alcune sigle che si sono lessicalizzate: se tiv(v)ù ha prevalso su tivì, i dvd vengono pronunciati sia [divuˈdi] sia [diviˈdi] e nel caso di Oviesse (sciolta, la sigla sta per «organizzazione vendite speciali»), la ‹v› è stata resa nella grafia non come vu ma come vi.
Qualche incertezza esiste per i nomi e le trascrizioni di lettere estranee alla tradizione alfabetica italiana; scorrendo secondo l’ordine alfabetico quelle acclimatate troviamo difatti che:
(a) ‹j› si chiama di solito i lunga, la lettera stessa è retaggio desueto (fanno eccezione termini cristallizzati come Juventus o pertinenti ai settori dell’onomastica: Jacovitti, Jesolo, Jacopo, ecc.). Oggi, per influsso inglese, la ‹j› è indicata prevalentemente come [ˈʤɛi], e si trova quasi solo in parole straniere, dove corrisponde peraltro a suoni diversi: in quelle inglesi è pronunciata come una [ʤ] (jeans), in quelle francesi la pronuncia sarebbe fricativa [ʒ] (abat-jour), ecc.;
(b) ‹k› si chiama kappa (il suo nome si scrive per lo più con ‹k› iniziale, ma si incontra anche la forma cappa); è oggi in uso sia in parole inglesi di alta diffusione (ok, kit, ecc.), sia negli sms col valore del digramma ‹ch› davanti a ‹e› e a ‹i› (vuoi ke ti kiami?; ➔ posta elettronica, lingua della). Nella grafia suscita dubbi non solo per la grafia estesa (che è per lo più kappa, proprio per influsso del grafema), ma anche per quanto riguarda il genere, femminile (la kappa, che evoca però il cappotto) o maschile (il kappa);
(c) ‹w› è chiamata universalmente doppia vu (o vu doppia), con richiamo all’aspetto del segno che è sentito come risultante dalla parziale sovrapposizione di due ‹v›. Questo segno è stato a lungo confinato a indicare (in forma maiuscola) l’esclamazione «evviva!»: W l’Italia! Ormai desueto è l’uso di indicare «abbasso» con una ‹ʍ› rovesciata; ‹w› poi ha avuto un primo revival con la diffusione di parole inglesi e di ➔ anglicismi: what, why, whisky, ecc., dove ha il valore della semiconsonante [w]; ‹w› è però presente anche in ➔ germanismi come würstel, dove corrisponde al suono [v]. Più di recente, il gergo telematico ha diffuso la formula ‹www›, pronunciata [vuvuˈvu], dove si ha vu e non doppia vu;
(d) ‹x› si chiama ics, e si trova solo in parole di origine greca o latina o comunque in forestierismi, sigle come xl per «extralarge» (ma si sente pronunciare spesso per indicare il pareggio sulla schedina);
(e) ‹y› (che corrisponde a [i] o a [j] secondo i contesti e compare in parole di origine greca, in prestiti o in nomi propri: yogurt, ecstasy, Tony), tradizionalmente chiamata ipsilon (dal greco i psilon «i lunga»; al Sud e in Sicilia ancora pronunciato [ju]psilon, più vicina alla pronuncia originale), è in alternativa chiamata i greca o anche, più recentemente, con pronuncia quasi inglese, [ˈwai].
I nomi delle lettere appaiono in una varietà di espressioni e di frasi fatte: non capire un’acca, mettere i puntini sugli i (o sulle i), non sapere l’abbiccì, non dire né a né ba, dalla a alla zeta, inversione a U, ecc.