strumento, nomi di
La locuzione nomi di strumento designa una sottoclasse di ➔ nomi che hanno le seguenti caratteristiche:
(a) sono parole complesse, derivate da nomi o verbi (➔ denominali, nomi; ➔ deverbali, nomi), che designano apparecchi e dispositivi di varia natura e complessità, la cui funzione è più o meno chiaramente individuabile a partire dal nome o dal verbo di base;
(b) il funzionamento di questi strumenti è abituale, non accidentale, automatico (grazie a energia esterna quale l’elettricità o il calore) o manuale (grazie all’apporto della manipolazione umana), mai del tutto autonomo e intenzionale.
È proprio la mancanza di autonomia e intenzionalità che consente di distinguere abbastanza chiaramente la categoria dello strumento da quella dell’agente, cui pure è concettualmente collegato, tanto è vero che i procedimenti derivativi sono spesso gli stessi in molte lingue (Dressler 1986; ➔ agente, nome di).
Si fanno rientrare inoltre tra i nomi di strumento, in un’accezione larga della categoria, accanto a quelli designanti i grandi strumenti, anche quelli che indicano i piccoli e piccolissimi attrezzi del lavoro e della casa o loro parti, le sostanze, i contenitori, alcuni oggetti del vestiario e dell’abbigliamento «intesi, anch’essi, come strumenti ideati e usati allo scopo di coprire, proteggere, adornare parti del corpo» (Lo Duca 2004: 228).
Per formare nomi di strumento l’italiano ha una serie di opzioni morfologiche che possono essere descritte a partire dalla base selezionata (➔ morfologia). Molti procedimenti sono comuni ai nomi di agente (➔ agente, nomi di), ma con una interessante particolarità che riguarda alcuni dei casi più produttivi: il genere manifesta delle preferenze ricorrenti, sicché può accadere che mentre l’uscita maschile di un procedimento formi preferibilmente nomi di agente, l’uscita femminile formi preferibilmente nomi di strumento. È, per es., il caso delle formazioni in -iere/-iera tra i denominali, e in -tore/-trice tra i deverbali.
Dal capostipite latino -arius sono derivati, oltre ai molti suffissi utili a formare nomi di agente, anche parecchi suffissi per i nomi di strumento.
Il più produttivo è -iera che, attaccandosi a basi nominali, ha dato origine a una lunga serie di nomi di strumento: dai nomi designanti grandi e piccoli attrezzi del lavoro e della casa (sabbiera, bistecchiera), a quelli di navi adibite a funzioni rivelate abbastanza chiaramente dal nome di base (cannoniera, petroliera), a quelli di supporti e oggetti di abbigliamento (dentiera, panciera) e di contenitori (acquasantiera, zuppiera). Per questi ultimi va sottolineata la forte componente locativa (già Grossman 1998 l’aveva notata ragionando su analoghe formazioni del catalano), che diventa evidentissima in formazioni che hanno un doppio esito, strumentale e locativo, come bagagliera o pilloliera: quest’ultima designa infatti sia la macchina che divide in pillole l’impasto medicinale sia la scatolina in cui si conservano le pillole.
I nomi di strumento in -iere sono invece piuttosto rari e spesso hanno anche altri significati, come bombardiere (strumento e agente) e braciere (strumento e luogo). Altri esiti di -arius che possono formare nomi di strumento, preferibilmente nella variante femminile, sono -aia (cilindraia, rotaia), -ara (lupara, totanara) e -aiola/-arola (gattaiola, schiumarola).
Un altro interessante sottogruppo di nomi di strumento deriva da procedimenti di ➔ alterazione (indagati in modo sistematico da Kremer 1996). Si tratta di formazioni che hanno perso, in tutto o in parte, il significato valutativo: tra gli altri, hanno dato origine a nomi di strumento i procedimenti in -accio/-accia (catenaccio, ferraccia), in -ello/-ella (fornello, timonella), in -etto/-etta (cavalletto, mitraglietta), in -ino/-ina (frustino, lampadina), in -olo/-ola (acciaiolo, pianola), in -one (moschettone, muraglione, rare le formazioni in -ona), in -otto/-otta (bussolotto, galeotta). Addirittura non è raro il caso in cui, a partire dalla stessa base, e grazie alla doppia possibilità del cumulo di suffissi valutativi e del cambio di genere, si siano originate lunghe serie di nomi derivati che designano strumenti addetti a funzioni diverse: per es., forcino, forcina, forcella, forchino, forcellino, forcola, forchetto, forchetta, forcaccio, forcone, forchettone, tutte formazioni in cui non è difficile riconoscere la medesima parola di base, forca.
Infine, altre possibilità sono costituite dai denominali in -ale (ditale, schienale), mentre poco numerosi risultano i derivati in -ile (sedile), in -ana (battana), in -aglio (boccaglio).
Per formare nomi di strumento l’italiano ha a disposizione una seconda serie di suffissi che, a partire da basi verbali, formano nomi dalla semantica abbastanza regolare, che si potrebbe parafrasare con ‘oggetto che V’, cioè «oggetto che svolge la funzione suggerita dal verbo di base» (Lo Duca 2004: 364).
I tipi più produttivi sono i suffissi -tore/-sore (frullatore, lampeggiatore, dispersore) e -trice (lavatrice, obliteratrice), che hanno dato origine a lunghe serie di nomi di strumento, oltre che di agente. Dei due, però, il primo predilige l’uscita agentiva, con un rapporto di circa 1 a 5, nel senso che per ogni nome di strumento si contano pressappoco 5 nomi di agente. Il secondo, che originariamente formava nomi di agente al femminile (levatrice, direttrice), ha nel corso dei secoli cambiato abbastanza nettamente le sue preferenze. Se guardiamo infatti alle date di prima attestazione delle parole (come permette di fare, per es., il Sabatini & Coletti 2008), scopriamo che i deverbali in -trice con significato strumentale passano da poche unità (nella prima metà dell’Ottocento) a qualche centinaio nella seconda metà del secolo scorso, e la tendenza non accenna a mutare, come attestano tutti i dizionari di parole nuove. Proprio perché in gran parte recenti, si tratta di formazioni generalmente molto trasparenti, con una base facilmente riconoscibile rappresentata dal tema del presente del verbo (radice + vocale tematica; ➔ coniugazione verbale), e il cui significato è facile da ricostruire, ovviamente ove si conosca il significato del verbo di base: così, pur non avendo mai visto una seminatrice, una impaginatrice o una impacchettatrice, tutti noi potremmo facilmente risalire alla funzione svolta da questi strumenti, e dunque al significato di queste parole.
Come per i nomi di agente, anche per i nomi di strumento il ➔ participio presente del paradigma verbale svolge una importante funzione: i deverbali in -nte possono infatti designare apparecchi e dispositivi di varia complessità (pulsante, abbagliante, teletrasmittente), mentre l’esito di gran lunga più produttivo nell’italiano contemporaneo è quello esemplificato da formazioni quali abbronzante, purgante, conservante, spesso nomi e anche aggettivi (Ricca 2004: 430-435), che designano «sostanze, prodotti chimici, cosmetici e farmaceutici, nei quali la base verbale indica senza ambiguità di sorta il tipo di effetto o di reazione che il prodotto così designato provoca o dovrebbe provocare» (Lo Duca 2004: 372). La semantica di queste formazioni spiega la preferenza di questo procedimento per verbi causativi, quindi ➔ parasintetici (ammorbidente, diserbante) e verbi in -ific- (dolcificante, fluidificante) e -izz- (aromatizzante, fertilizzante).
Altri suffissi meno produttivi sono: -ino/-ina (cancellino, candeggina), -aiolo/-aiola e -arolo/-arola (potaiolo, bagnarola), -iere (tagliere), -toio/-toia/-torio (scolatoio, appianatoia, inginocchiatoio) ereditati dal latino -torius, e di cui i primi due costituiscono la forma romanza del suffisso, il terzo la forma latineggiante (Tekavčić 1980: 53-55). Quest’ultimo ha mantenuto stabilmente, nel corso della sua lunga storia, una doppia uscita, strumentale e locativa (abbeveratoio, dormitorio), con molte formazioni che designano sia lo strumento con cui si effettuano le operazioni suggerite dal verbo di base sia il locale in cui tali operazioni vengono effettuate (filatoio, accoppiatoio).
Sabatini, Francesco & Coletti, Vittorio (2008), Il Sabatini Coletti. Dizionario della lingua italiana, Milano, Rizzoli-Larousse.
Dressler, Wolfgang U. (1986), Explanation in natural morphology, illustrated with comparative and agent-noun formation, «Linguistics» 24, pp. 519-548.
Grossmann, Maria (1998), Formazione dei nomi di agente, strumento e luogo in catalano, in Morfologia e sintassi delle lingue romanze, a cura di G. Ruffino, Tübingen, Niemeyer, vol. 2° (Morfologia e sintassi delle lingue romanze), pp. 383-392.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Kremer, Robert (1996), Die Werkzeugbezeichnungen im Italienischen, Bonn, Romanistischer Verlag.
Lo Duca, Maria G. (2004), Nomi di strumento, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 227-234, 364-376.
Ricca, Davide (2004), Aggettivi deverbali, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 419-444.
Tekavčić, Pavao (1980), Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3° (Lessico).