NOMINALISMO
. Termine filosofico, designante in senso stretto una corrente speculativa medievale e in senso lato ogni concezione, tanto precedente quanto susseguente, che a proposito del problema della realtà degli universali assuma una posizione sostanzialmente analoga a quella difesa da tale corrente. Nel primo senso il nominalismo, tanto come nome quanto come fatto, appare per la prima volta sugl'inizî del sec. XI, in relazione con le dispute che allora si accendono a proposito della logica classica e delle sue concezioni fondamentali. Punto di partenza di queste controversie è il passo dell'Isagoge (o Introduzione) di Porfirio alle Categorie di Aristotele, in cui il commentatore neoplatonico rinuncia a trattare, considerandola troppo difficile dato il carattere introduttivo del suo scritto, la questione se i genera e le species (cioè i concetti universali, in quegli aspetti di γένη e di εἴσδη che essi ancora serbavano per la sopravvivenza della terminologia platonica nella logica aristotelica) abbiano esistenza indipendente o siano solo oggetti della mente: sive subsistunt sive in solis nudisque intellectibus posita sunt. Il dubbio lasciato da Porfirio appare d'altronde risolto da Boezio, che nel suo commento alle Categorie di Aristotele osserva come praedicamentorum tractatus non de rebus, sed de vocibus est. S'intende quindi come dalla combinazione di questi passi si sia generata la tesi che non soltanto le categorie, ma in genere tutti i concetti universali non siano res, cioè realtà davvero esistenti, ma solo voces o nomina, cioè segni verbali riassumenti in unità i caratteri comuni a molte realtà singole, dotate esse sole di effettiva esistenza. Di qui l'antitesi dei reales, cioè dei sostenitori della realtà oggettiva degli universali, ai nominales, cioè ai sostenitori della loro mera verbalità. Realismo e nominalismo costituiscono perciò, in questo senso, le due estreme posizioni che vengono a fronte nella disputa degli universali, mentre il "concettualismo" di Abelardo (scolaro di entrambi i principali rappresentanti di quelle due opposte tendenze, il realista Guglielmo di Champeaux e il nominalista Roscellino), che nega nominalisticamente la realtà esterna degli universali ma non li riduce per ciò a voci considerandoli invece come entità mentali, occupa una posizione intermedia.
Considerato in questo senso più specifico, d'altronde, il nominalismo viene a restringersi anche storicamente in termini assai angusti: tanto è vero che si è potuto, da tale punto di vista, mettere addirittura in dubbio l'esistenza di quello stesso nominalismo medievale, che d'altra parte è l'unico a spiegare la genesi storica del termine. Se si prescinde, infatti, da qualche predecessore assai poco noto (come, p. es., lo Johannes che, secondo l'Historia francica, eandem artem sophisticam vocalem esse disseruit, e che sarebbe stato maestro di Roscellino), il nominalismo vero e proprio appare difeso solo da Roscellino, il quale d'altronde, essendo andate perdute tutte le sue opere a eccezione di una lettera allo scolaro Abelardo, ci è noto solo indirettamente, attraverso le interpretazioni e rielaborazioni di quest'ultimo e le polemiche di Anselmo d'Aosta. E la stessa grande rinascita del nominalismo che può scorgersi nel terminismo occamistico del secolo XIV, e che con ciò determina la crisi di tutta la filosofia medievale, deve, se si tien fermo al più rigoroso e ristretto senso del termine "nominalismo" dirsi piuttosto una rinascita del concettualismo: ché i termini di Occam, rispondenti agli ὅροι aristotelici e cioè alle determinazioni concettuali che fungevano da elementi del sillogismo, sono più vicini ai conceptus mentis di Abelardo che ai puri flatus vocis di Roscellino. Ma d'altra parte, così considerato, il nominalismo rischia di riuscir cancellato non solo dalla storia della filosofia medievale ma da quella di tutta la filosofia, perché anche, p. es., coloro che possono essere giudicati i più tipici rappresentanti rispettivamente del nominalismo inglese e di quello francese, cioè il Hobbes e il Condillac, pur orientando tutta la loro logica verso l'ideale di una retta espressione verbale non risolvono tuttavia senz'altro in essa il concetto empirico astratto dalle sensazioni, ma considerano questo come significato, e perciò distinto, da quella.
S'intende quindi come, nell'uso più comune, il termine di nominalismo abbia ampliato il suo contenuto fino ad accogliere in sé anche quelli dei termini di concettualismo, terminismo e analoghi, tornando quindi a contrapporsi da solo al termine di realismo nella sua accezione medievale (e comprendente in sé, in generale, anche quella del termine semirealismo). Realistica è cioè, in questo senso, ogni considerazione dell'idea, dell'universale, del concetto come platonicamente ante rem o come aristotelicamente in re; nominalistica, per converso, ogni considerazione di tale entità come post rem, cioè come non esistente nel reale mondo delle cose individue e da esso astratta mercé un processo spirituale umano, comunque ripartito tra la facoltà della determinazione logica e quella della significazione linguistica. Ampliato in tal modo l'ambito del termine, secondo questa che è la più comune delle sue accezioni, si vede allora come alla storia del nominalismo appartenga, già prima del Medioevo, tutta la gnoseologia e la logica degl'immediati postaristotelici, stoici epicurei e scettici; nel Medioevo, l'intero movimento che, nascendo dal nominalismo stricto sensu e passando attraverso il concettualismo, conduce col terminismo occamistico alla crisi terminale della scolastica; nell'età moderna, la storia del sensismo, dell'empirismo, del positivismo in tutte le sue diverse fasi e manifestazioni (anche se l'attributo di nominalistico venga più di frequente ascritto da un lato all'empirismo inglese, da Bacone a Hobbes e da Locke a Hume e a Stuart Mill, dall'altro agl'ideologi francesi, principalmente rappresentati dal Condillac). E nominalistiche possono essere considerate, in questo senso, anche le più recenti concezioni pragmatistiche e praticistiche delle scienze naturali (tra le quali, per ciò che concerne l'Italia, può essere annoverata quella del Croce), in quanto considerano le leggi e le verità scientifiche non tanto come rispondenti alla reale essenza delle cose, quanto come simboli, segni, nomi, utili per inquadrarle e dominarle.
Che questa più ampia accezione del termine risponda del resto meglio alla natura stessa di ciò che esso vuol significare è provato dal fatto che il nominalismo ha efficacia dissolvente per tutta la costruzione filosofico-teologica della scolastica, ed è perciò da questa fieramente combattuto, non in quanto specificamente si distingue dal concettualismo o dal terminismo, ma in quanto in generale si oppone al realismo: giacché, platonizzante o neoplatonizzante o aristotelizzante che sia, quella costruzione deve sempre presupporre la reale esistenza dell'ideale nel reale, traducendo essa comunque in formule speculative il fondamentale rapporto religioso del divino col terreno o in ogni caso con ciò che ne discende, mentre il nominalismo, facendo dipendere ogni realtà ideale dall'attività pensante dell'uomo, distrugge l'oggettività di quel rapporto.
Come si vede, per esempio, a proposito del dogma trinitario, in cui il rapporto reciproco delle tre persone è dal realismo concepito o raffigurato, più o meno neoplatonicamente, sotto l'aspetto dell'implicazione-emanazione logica, mentre il nominalismo, già in Roscellino, deve considerare soltanto verbale il concetto unico sussumente sotto di sé le tre persone, e condurre quindi al triteismo. Questa sostanziale inconciliabilità del nominalismo col realismo della scolastica spiega d'altronde, infine, la genesi di quella terza accezione del termine, più vasta fra tutte, secondo la quale, agli occhi di chi consideri l'ulteriore sviluppo del pensiero dal punto di vista dell'ortodossia tomistica, l'intera filosofia moderna, in quanto da essa diverge, viene ad assumere l'universale aspetto eterodosso del nominalismo. Nominalisti, secondo questo uso terminologico, che è pure adottato da alcune trattazioni cattoliche di storia della filosofia, sono in generale tutti i pensatori moderni che fanno comunque dipendere dal pensiero umano, e non da una realtà oggettiva, ogni verità e valore costituente l'essenza ideale del mondo. Ma la stessa estrema vastità di quest'ultimo significato del termine "nominalismo", riuscendo direttamente proporzionale alla sua indeterminatezza, fa sì che esso rimanga confinato in quelle ristrette cerchie per cui tutto il pensiero moderno è oggetto di una sola e indeterminata negazione.
Bibl.: Manca, data anche la possibile varia accezione del termine, una vera e propria storia del nominalismo: si veda tuttavia, in generale, R. Eucken, Geschichte der philosophischen Terminologie, Lipsia 1879, e, per il nominalismo medievale, C. Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, II-IV, Lipsia 1861-70. In particolare v. le bibliografie date alle voci concernenti i singoli pensatori. Cfr. inoltre concettualismo; realismo; universali.