NOMIS DI COSSILLA, Luigi
NOMIS DI COSSILLA, Luigi. – Nacque a Genova il 17 novembre 1793, unico figlio maschio del conte Agostino (1748-1815), ambasciatore sabaudo nella capitale ligure dal 1781 al 1797, e di Palmyre Laurent de Sainte-Agnès (1768-1825), sposatisi il 9 dicembre 1791.
Secondo Moncallero (1965, p. 212, n. 19), i Cossilla fecero ritorno in Piemonte nel 1797, al termine della missione diplomatica; per Laurent (1969, p. 268), invece, si trattennero a Genova ancora un decennio, sino al 1808. Agostino, comunque, tenne il figlio lontano dal mondo napoleonico, riuscendo anche a evitare che prestasse servizio militare. Lo avviò, invece, agli studi d’architettura, affinché possedesse un mestiere che gli consentisse di mantenersi senza entrare al servizio degli occupanti. L’adesione al partito dei ‘realisti’ è confermata dal fatto che come sposa di Luigi scelse Marianna Galeani Napione di Cocconato (1796-1822), figlia del conte Gian Francesco, uno dei principali intellettuali-funzionari dello Stato sabaudo di Vittorio Amedeo III, restato fedele alla dinastia anche durante l’occupazione. Le nozze avvennero a Torino nella chiesa dei Santi Martiri, il 25 ottobre 1813.
Il ritorno in patria di Vittorio Emanuele I nel maggio 1814 permise ad Agostino di fare entrare il figlio nell’amministrazione sabauda. Grazie al suocero, nominato sovrintendente dei Regi archivi, il 30 maggio 1814 Nomis fu accettato come impiegato volontario presso gli stessi. Il 2 ottobre 1815 nacque il suo primo figlio, Augusto, ma il 1° dicembre perse il padre. Si laureò in legge a Genova, come l’amico Carlo Ilarione Petitti di Roreto, nel luglio 1816. Il 17 settembre 1816 poté così esser assunto ai Regi archivi come bibliotecario. Lo stesso anno fu chiamato a far parte del consiglio comunale di Torino, come decurione di prima classe. Nel 1818, inoltre, fu nominato referendario sovrannumerario presso il consiglio di Stato e dei memoriali.
In quegli anni Nomis espresse più volte opinioni politiche chiaramente liberali, con punte repubblicane. Tali espressioni, che non esitò a sostenere pubblicamente, gli valsero i rimproveri di Petitti e la disapprovazione del potente suocero, che probabilmente, proprio per questa ragione, non lo aiutò più nella carriera. In effetti, le posizioni politiche del giovane erano difficilmente compatibili sia con l’entourage famigliare di cui era entrato a fare parte – e al quale apparteneva anche Joseph de Maistre – sia, soprattutto, con gli ambienti della corte di Vittorio Emanuele I.
Nel 1821, nonostante le sue simpatie per le idee liberali, non si compromise coi moti di marzo. Nel suo diario espresse un giudizio molto duro verso i congiurati e verso Carlo Alberto, definendolo «vile e traditore» (Moncallero, 1965, p. 237). Per guadagnarsi la fiducia di Carlo Felice e del nuovo governo entrò nella compagnia di S. Paolo, che era profondamente legata ai gesuiti e fra i principali sostegni alla politica della Restaurazione. Fu subito ammesso nel consiglio della compagnia, dove rientrò ancora nel biennio 1824-25 e nel 1828. Nel frattempo, proseguì la carriera in Comune, divenendo sindaco di Torino per tutto il 1829. Gli ultimi mesi del regno di Carlo Felice lo videro impegnato nella redazione di un programma per la progettata costituzione di un nuovo Consiglio di Stato. La stesura si concluse quando Carlo Alberto era ormai divenuto il nuovo sovrano (27 marzo 1831).
Nel parere sul Consiglio di Stato, Nomis rivelava tutti i suoi legami con la cultura amministrativa settecentesca. Un punto centrale era, infatti, la preminenza del sistema delle ‘giunte’ (le commissioni deputate ad affrontare singole questioni e problemi, istituite nel corso del XVIII secolo dai sovrani riunendo in esse giuristi, funzionari amministrativi ed esponenti delle segreterie di Stato). La polemica era contro la preminenza dei funzionari ministeriali, necessariamente prigionieri dell’interesse particolare del loro dicastero. Il Consiglio avrebbe dovuto esser composto di funzionari ormai a fine carriera e, quindi, senza interessi personali, ma con competenze di alto profilo. Particolare di grande interesse, per Nomis questi funzionari avrebbero dovuto esser scelti da tutte le province dello Stato, così che ogni parte di questo fosse rappresentato e il Consiglio si configurasse anche come una sorta di organo rappresentativo. Secondo Borsarelli (1936, p. 1374) se questa proposta fosse stata approvata, il Consiglio di Stato sarebbe stato «un vero parlamento in miniatura»: in realtà, si trattava di un segno di continuità col passato, giacché la scelta, per esempio, di funzionari e cortigiani provenienti da tutte le province dello Stato era una costante nella cultura politica dello Stato sabaudo del Settecento.
Carlo Alberto mostrò di apprezzare il lavoro di Nomis, che il 30 aprile 1831 nominò membro del Consiglio di Stato e dei memoriali e il 7 giugno della commissione per la riforma dei codici. La scelta, tuttavia, incontrò forti opposizioni. Quando, nell’agosto 1831, il sovrano abolì l’antico Consiglio di Stato e dei memoriali per sostituirlo col nuovo Consiglio di Stato, Nomis non vi fu compreso. Per di più, il 25 gennaio 1832 il re assegnò la carica di sovrintendente capo dei Regi Archivi, vacante dopo la morte di Galeani Napione nel 1830, al senatore Gaspare Michele Gloria, giubilato dopo una lunga e fortunata carriera nelle magistrature dello Stato. La carica di sovrintendente degli Archivi era considerata, infatti, una carica di giubilazione (assegnata cioè a un ex ministro o presidente di alta magistratura quando lo si intendeva rimuovere in modo onorevole dal suo incarico): per affidarla a Nomis si sarebbe dovuta variare una pratica secolare e non era questo certo lo spirito del regno di Carlo Alberto. A parziale risarcimento, il 5 aprile 1832 il re gli conferì il titolo di ‘consigliere di Sua Maestà’.
Nonostante le sue dichiarate prove di lealismo, la polizia continuava, poi, a tenerlo sotto controllo, tanto che nel 1833, come lo stesso Nomis racconta nel suo diario, circolavano a corte battute sul suo coinvolgimento in società segrete. In ogni caso, continuò la sua carriera in Comune e nella compagnia di S. Paolo. Proprio nel 1833 entrò stabilmente nel consiglio della compagnia, della quale fu anche nominato vicerettore nel 1839. Dall’agosto 1834 all’agosto 1835 fu maestro di ragione del Comune. Nell’ottobre 1836 fu cooptato fra i membri della giunta di statistica per la provincia di Torino, allora istituita, dove restò sino al 1848. Fu, inoltre, consigliere della Società reale d’assicurazione generale e mutua (l’attuale Reale Mutua), istituita nel 1829, sedendo nel suo consiglio d’amministrazione e assumendone la carica di vicepresidente dal 1838 al 1840.
Nel frattempo, perseguiva una sua personale battaglia all’interno dei Regi Archivi. Nel 1833, infatti, Carlo Alberto aveva istituito la Deputazione di storia patria, che raccoglieva i principali storici subalpini, garantendo a loro il libero accesso alle carte dei Regi Archivi. Ciò, però, andava contro la tradizionale riservatezza degli stessi, per cui – come scriveva lo stesso Nomis (Giornale di quanto accade nei Regi Archivi di Corte, in Arch. di Stato di Torino, Corte, Archivio dell’archivio, t. II, p. 187, 10 luglio 1837) – la «missione» del capo dei Regi Archivi «è tutta conservatrice, tante cose vanno tenute segrete, tutte vanno conservate, ed anche al re che ve le chiedesse si può ragionando ricusarle, e se ne persuaderebbe il sovrano meglio informato». Per quindici anni Nomis, da una parte, e storici come Luigi Cibrario e Federico Sclopis, dall’altra, si scontrarono fra le sale dei Regi Archivi e quelle dei ministeri in una battaglia che non era solo di carattere storiografico. Gli uomini della Deputazione erano anche funzionari statali, su posizioni più o meno liberali, ma certo riformiste ed erano destinati ad assumere, soprattutto dopo il 1848, posti di rilievo nel governo e nelle magistrature. Il carattere politico del contrasto emerge bene dalle vicende dei manoscritti sull’assemblea degli Stati generali e della Vita di Pietro Giannone.
Gloria e Nomis, infatti, si scontrarono molto duramente con la Deputazione a proposito della pubblicazione degli Stati generali del Piemonte, assemblea mai più convocata dai tempi di Emanuele Filiberto, ma mai formalmente abolita. Gloria, dopo essersi rivolto alla fine del 1833 al segretario di Stato agli Interni per segnalare che tale opera avrebbe potuto avere conseguenze politiche pericolose, perché toccava direttamente il tema del potere del sovrano e dei suoi limiti, su consiglio di Nomis organizzò missioni di archivisti nelle principali città piemontesi perché trovassero e sottraessero ai membri della Deputazione le carte su tale tema.
Nomis svolse, tuttavia, un ruolo di tutela del patrimonio: se infatti era contrario alla pubblicazione di carte che vedeva in primis come strumenti politici, dall’altro si opponeva alla loro distruzione, voluta invece da Carlo Alberto e Gloria. Quando quest’ultimo cominciò a bruciare veramente le carte, Nomis iniziò a copiare quelle più a rischio. Esemplare il caso della Vita di Giannone, che trascrisse segretamente fra 1839 e 1840. Lo stesso fece con alcune carte su Casa Carignano che dovette distruggere per ordine di Carlo Alberto, ma che copiò parola per parola nelle stesse relazioni presentate al re intorno alla loro avvenuta eliminazione. Il pensiero di Nomis si comprende da quanto scrive nel suo Giornale d’archivio (II, p. 100, 17 ottobre 1834): «quanto … all’abbrucciar le carte che potessero palesare qualche segreto o di politico o di costume, che per la Real Famiglia non fosse del tutto onorevole, io non sarei di quell’opinione: la storia dee sapersi, e sapersi genuina. Se tutti avessero fatto così non vi sarebbe storia; pubblicarla come far vorrebbero i dotti, no; tenerla in serbo sì. Tempo verrà che usciranno alla luce e che si sapranno le cose nel loro vero essere» .
Fra i lavori più importanti svolti in quel periodo va ricordata la collaborazione con Pompeo Litta per la redazione della voce Savoia nelle Famiglie celebri italiane: non una semplice trasmissione di dati, ma quasi una co-redazione, svolta sotto la supervisione del re.
Nel 1839, alla morte di Gloria, Carlo Alberto affidò a Nomis l’interim di sovrintendente ai Regi Archivi. Cinque anni dopo, il 29 agosto 1844, conferì la carica al conte Stefano Gallina (1790-1867), già segretario di Stato agli Esteri e alle Finanze, che, dispensato dall’esercizio delle sue funzioni, non si presentò nemmeno ai Regi Archivi e informò Nomis di continuare a fare come prima. Ciò amareggiò non poco Nomis, ancora una volta messo da parte a favore di un grand commis in pensione, pagato per non fare nulla. A parziale risarcimento, Carlo Alberto lo nominò, il 12 novembre 1844, presidente degli Archivi, istituendo appositamente la carica.
Nel 1848-49 non scelse di percorrere la carriera politica come diversi suoi amici, a partire da Petitti, e restò semplice spettatore degli eventi. Il nuovo assetto dello Stato, tuttavia, era molto diverso da quello in cui aveva operato per 35 anni. La nuova e più liberale politica di apertura degli Archivi, ancora più ampia di quella decisa a favore della Deputazione, lo indusse a dimettersi nel luglio 1850. Da due anni aveva dovuto lasciare anche il consiglio di Torino, in seguito all’abolizione del decurionato, e nel 1851 si chiuse inoltre la sua esperienza alla compagnia di S. Paolo (anch’essa sottoposta a una riforma, che ne cambiò interamente funzioni e ceto dirigente).
Deciso a non svolgere più alcun ruolo pubblico e a farsi dimenticare, morì a Torino il 4 ottobre 1859.
Lasciò la ricca collezione di autografi che aveva raccolto per tutta la vita, partendo da un nucleo donatogli dal suocero, al figlio Augusto da cui fu poi donata alla città di Torino. Fu autore di due importantissimi diari, sinora non valorizzati come meriterebbero. Il primo, il Giornale del tempo, di quanto fo e di quanto accadde di più rimarcabile, scritto dal 15 ottobre 1814 sino almeno al 31 dicembre 1849, era costituito da non meno di 14 registri, di cui parrebbero essersi conservati (presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Fondo Patetta, Scrittori, 1289, 1290, 1291, 1292) solo quattro, che riguardano alcuni degli anni più delicati della storia dello Stato sabaudo dell’Ottocento (1821-23, 1830-33,1848-49); ne sono state pubblicate solo alcune pagine sul 1821 a cura di G.L. Moncallero (1965). Il secondo è un ampio Giornale di quanto accade nei Regi Archivi di Corte degno di esser notato e dei principali lavori che in essi si fanno (oggi in Arch. di Stato di Torino, Corte, Archivio dell’archivio), composto di 4 volumi, in cui Nomis fornisce informazioni di grande rilievo sul rapporto fra politica e cultura nel Piemonte della Restaurazione.
Fonti e Bibl.:Nécrologie, in L’amateur d’autographes: revue historique et biographique, II (1863), 25 (1er janvier), pp. 13 s.; R.M. Borsarelli, Nuovi documenti intorno alla rinascita del Consiglio di Stato nel 1831, inRassegna storica del Risorgimento, XXII (1936), pp. 1369-1392; L. Berra, Lettere inedite di Carlo Ilarione Petitti di Roreto a L. N. di C., in Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 1961, pp. 74-103; B. Musso, Echi quarantotteschi nel diario di L. N. di C. archivista di Carlo Alberto, ibid., pp. 161-174; Lettere inedite di Pietro De Rossi di Santa Rosa al conte L. N. di C., ibid., pp. 175-200; G. Moncallero, La Rivoluzione piemontese del 1821 in un diario inedito del tempo, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LX (1965), pp. 203-254; H.M. Laurent, études sur Louis N. de C. (1793-1859), ibid., LXVII (1969), pp. 265-288; I. Soffietti, II Consiglio di Stato nel pensiero di un conservatore subalpino. Il progetto del conte L.N. di C., in Piemonte risorgimentale. Studi in onore di Carlo Pischedda nel suo settantesimo compleanno, Torino 1987, pp. 81-98; C.I. Petitti di Roreto, Lettere a L. N. di C. ed a Karl Mittermaier, a cura di P. Casana Testore, Torino 1989; G.P. Romagnani, Storiografia e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino 1985, passim; A. Merlotti, Negli Archivi del Re. La lettura negata delle opere di Pietro Giannone nel Piemonte sabaudo (1748-1848), in Rivista storica italiana, CVII (1995), pp. 332-386.