Nomofilachia dell'Adunanza Plenaria
La funzione nomofilattica che tradizionalmente è riconosciuta, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha visto, in tempi recenti, una ridefinizione del suo ruolo, soprattutto in ragione delle modifiche apportate dal codice del processo amministrativo. In questo quadro si situa la decisione n. 2/2018 dell’Adunanza Plenaria, che pone in rilievo rilevanti risvolti applicativi nel rapporto tra la stessa Plenaria e la Sezione remittente.
Con il termine nomofilachia si indica l’attività di esatta e uniforme interpretazione della legge volta a garantire l’unità del diritto oggettivo, il cui esercizio è affidato, essenzialmente, agli organi giurisdizionali di vertice degli ordinamenti giuridici di appartenenza. Invero, detto termine, nel suo significato più rigoroso, è da intendersi quale attività di difesa del diritto e di mantenimento dell’esistente giuridico. Tuttavia, esso ha conosciuto nel tempo un’estensione della sua portata semantica, così da includere non soltanto una funzione conservativa, ma anche una funzione propositiva (tradizionalmente riferita alla nomotesia), corrispondente all’attività di reductio ad unitatem dei diversi orientamenti giurisprudenziali1. I due profili, come è evidente, sono strettamente collegati tra loro, in una reciproca interazione che dipende, nel suo concreto atteggiarsi, dalla concezione dell’interpretazione a cui si fa riferimento: in questo senso, infatti, l’emersione e lo sviluppo del profilo propositivo si lega ad un’impostazione non formalistica dell’attività ermeneutica, un’impostazione per cui, cioè, non si riconduce all’enunciato normativo un unico significato corretto2.
La funzione nomofilattica, in tal modo individuata, si lega alla necessità di garantire al cittadino la certezza e prevedibilità del diritto e la sua uniforme applicazione: in quanto tale, deve essere quindi considerata espressione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.3 La sua concreta esplicazione dipende da vari fattori, i quali incidono sulla portata e sull’atteggiarsi della funzione stessa. Essa, infatti, è strettamente correlata al rapporto con il suo referente oggettivo, cioè le disposizioni normative, e alla loro maggiore o minore organicità, completezza e chiarezza; alle modalità e ai meccanismi con i quali l’ordinamento garantisce la possibilità, da parte della giurisdizione, di assicurare l’uniformità di interpretazione e applicazione del diritto; al modello a cui l’ordinamento stesso è improntato, se di unità o di pluralità di giurisdizioni, e ai rapporti tra gli (eventuali) differenti ordini giurisdizionali; alla relazione con gli ordinamenti sovrannazionali e le loro corti. Rispetto a tali profili, si deve soprassedere, in considerazione dell’oggetto del presente scritto, all’analisi del primo di essi, in merito al quale ci si limita a ricordare come sia stata oggetto di ampie riflessioni l’incertezza delle regole4 che caratterizza l’attuale contesto storico nel quale si muove la nomofilachia.
In relazione alla pluralità strutturale di ordini giurisdizionali che, pur nella loro unità funzionale, caratterizza il nostro ordinamento, viene tradizionalmente riconosciuta, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, una preminente funzione nomofilattica all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, cioè al massimo organo della giurisdizione amministrativa, nella sua composizione estesa a magistrati delle diverse sezioni giurisdizionali5. Sul punto è da ultimo intervenuto il codice del processo amministrativo6, che ha ripreso la vecchia normativa contenuta nel R.d. 17.8.1907, n. 642 e nell’art. 45 del R.d. 26.6.1924, n. 1054 (testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e, rispetto ad essa, ha provveduto a potenziare la funzione in esame, in parallelo a quanto avvenuto nel rapporto tra singole Sezioni e Sezioni Unite della Corte di cassazione con le modifiche apportate all’art. 374 c.p.c. dal d.lgs. 2.12.2006, n. 40. L’art. 99 c.p.a. prevede infatti, similmente alle disposizioni previgenti, che la Sezione a cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, su richiesta delle parti o d’ufficio può rimettere il ricorso all’Adunanza Plenaria. Allo stesso modo può provvedere il presidente del Consiglio di Stato, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. Il ruolo dell’Adunanza Plenaria si svolge, quindi, secondo la funzione nomofilattica attribuitale dall’ordinamento, per districare il contrasto giurisprudenziale, potenziale o attuale, oltre che in merito a questioni di massima di particolare importanza7. A fianco delle modalità di rimessione appena riferite, se ne configura però ora un’altra, stabilita al co. 3, del medesimo art. 99, per cui la Sezione a cui è assegnato il ricorso, se ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, rimette a quest’ultima la decisione. Tale disposizione – che, come detto, ricalca la previsione di cui all’art. 374, co. 3, c.p.c. successivo alla ricordata modifica, nonché quella di cui all’art. 42 l. 18.6.2009, n. 69, per la Corte dei conti8 – ha l’effetto di dare una maggiore stabilità al principio di diritto stabilito da una decisione della Plenaria, così richiamandosi, in un certo modo, all’esperienza di quegli ordinamenti che al precedente riconoscono una portata vincolante. Invero, è discusso se in tal modo si sia creato un vero e proprio vincolo del precedente sul modello dello stare decisis proprio dei paesi anglosassoni. Si è sottolineato, infatti, come il giudice possa in realtà dissentire dal principio di diritto già espresso dalla Plenaria (o dalle Sezioni Unite), motivando in tal senso e rimettendo la questione perché il principio stesso sia modificato9; si è affermata, inoltre, la rilevanza della mancanza di una sanzione per l’ipotesi in cui la singola Sezione, non attenendosi al principio, decida autonomamente10; si è evidenziato, infine, come proprio questi elementi permetterebbero di evitare il contrasto con l’art. 101, co. 2, Cost., in forza del quale il giudice è soggetto soltanto alla legge11. Ad ogni modo, in disparte la pur rilevante questione circa l’effettiva portata del vincolo e dei suoi limiti, è evidente, per quanto ci interessa, l’irrigidimento del sistema che la norma in esame crea12, determinando, in questo senso, un potenziamento della funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria. Potenziamento, quello appena descritto, che si è verificato anche attraverso il riconoscimento della possibilità, per la Plenaria, di enunciare il principio di diritto qualora il ricorso sia irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero il giudizio debba essere dichiarato estinto, laddove la relativa questione si presenti di particolare importanza (art. 99, co. 5, c.p.a., similare all’art. 363 c.p.c. nel testo successivo alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40/2006). In questa ipotesi, il ruolo della Plenaria prescinde da quello della decisione della lite nel caso concreto, a cui istituzionalmente è demandata la giurisdizione, per assumere, in relazione alla questione occasionata dalla controversia venuta al suo esame, una funzione di pura nomofilachia.
La circostanza che il nostro ordinamento conosca una pluralità di ordini giurisdizionali, pur uniti sotto il profilo funzionale, comporta la necessità di valutare quale sia il rapporto tra la giurisdizione amministrativa e le altre giurisdizioni sotto il profilo della funzione nomofilattica. In proposito, il sindacato svolto dalla Corte di cassazione quale giudice della giurisdizione, ai sensi dell’art. 111, co. 8, Cost., fa sì che la Suprema Corte eserciti un ruolo di nomofilachia anche sulla giurisdizione amministrativa; nomofilachia esterna, e limitata ai profili a detto organo attribuiti dalla Costituzione.
È noto, tuttavia, come negli ultimi tempi si sia assistito, da parte della Cassazione, ad una (discutibile) interpretazione espansiva dell’ambito del suo sindacato sulle sentenze del giudice amministrativo, per cui è stata in esso ricompresa non solo la questione concernente l’attribuzione del potere giurisdizionale in relazione ad una particolare controversia, ma anche la violazione delle norme che stabiliscono le forme di tutela attraverso cui la giurisdizione si estrinseca (si pensi a quanto accaduto in merito alla cd. pregiudiziale amministrativa)13. Il fenomeno è da ricondurre al forte ampliamento che si è verificato, a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, in relazione alle materie devolute alla giurisdizione esclusiva e all’attribuzione al giudice amministrativo del contenzioso risarcitorio: ciò, infatti, ha determinato l’esigenza di un’uniformità di interpretazione nell’ambito di controversie tra loro similari, a cui la Suprema Corte ha cercato di sopperire nei modi anzidetti.
La «lunga marcia»14 della Cassazione è stata ad ogni modo arrestata, come noto, dalla Corte costituzionale, che ha ricondotto la questione di giurisdizione all’interno del suo tradizionale significato15. Cosicché, ora, è nell’ambito della distinzione organica tra giurisdizioni sancita dalla Costituzione che le esigenze di nomofilachia, trasversali alle stesse, devono essere perseguite16.
Il ruolo nomofilattico dell’Adunanza Plenaria subisce poi l’influenza della pluralità di ordinamenti che contraddistingue, in chiave sovrannazionale, il sistema giuridico attuale. Ciò accade quando a livello internazionale è stato istituito uno specifico organo giudiziale, a cui sia deputato il compito di assicurare l’uniforme applicazione della relativa normativa internazionale. È quanto si verifica, in particolare, con la Corte di giustizia dell’Unione europea e con la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’influenza del diritto UE e di quello CEDU, e le modalità che contraddistinguono i rapporti tra le corti, sono ben noti e non necessitano in questa sede di una, pur soltanto limitata, trattazione17. Merita invece di essere sottolineato come anche l’effettivo esplicarsi dei meccanismi di raccordo tra le corti possa andare ad incidere sul ruolo svolto dall’Adunanza Plenaria nell’esercizio della sua funzione nomofilattica. In particolare, la questione si è posta nella nota sentenza Puligienica, in relazione alla vexata quaestio dell’ordine di esame tra ricorso incidentale e ricorso principale reciprocamente escludenti. In quel caso, la singola sezione del Consiglio di Stato, nel sottoporre alla Corte di giustizia la questione circa la compatibilità dell’interpretazione fornita sul punto dall’Adunanza Plenaria con il diritto UE, ha chiesto alla Corte se, ai sensi dell’art. 267 TFUE sul rinvio pregiudiziale, essa fosse tenuta a rimettere all’Adunanza Plenaria la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 99, co. 3, c.p.a., ovvero se dovesse, in quanto giudice nazionale di ultima istanza, sollevare autonomamente e direttamente la questione pregiudiziale. La decisione dei giudici europei è stata nel secondo senso, giacché, si è affermato, l’effetto utile dell’art. 267 TFUE sarebbe attenuato se al giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dell’Unione in modo conforme alla giurisprudenza della Corte. In questo modo, il diritto UE e la sua applicazione giurisprudenziale, oltre ad influire sulla funzione nomofilattica del Consiglio di Stato sotto il profilo del diritto sostanziale in ragione della supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, finiscono per incidere anche sui meccanismi procedurali che assicurano l’esplicarsi di detta funzione in capo all’Adunanza Plenaria, limitandone la portata.
Lo svolgimento della funzione di nomofilachia da parte dell’organo di vertice dell’ordinamento giurisdizionale viene tradizionalmente associato ad un sindacato di legittimità di detto organo, un sindacato, cioè, dal quale sono espunte le considerazioni sul fatto controverso, non necessarie ai fini di garantire l’uniformità interpretativa e applicativa del diritto. Invero, non può dirsi che una siffatta limitazione derivi, in chiave ontologica, dal ruolo svolto dall’organo giurisdizionale. La funzione nomofilattica, di per sé, si presenta infatti del tutto compatibile con un giudizio sul fatto, di talché una scelta in tal senso deve considerarsi espressione di ragioni di opportunità fatte proprie dal diritto positivo18. Se tuttavia tale assunto non può essere negato, pure va considerato come svincolare la funzione giurisdizionale, esercitata dall’organo, dalla decisione della controversia, maggiormente si presti ad una più compiuta caratterizzazione di quella funzione nel senso della nomofilachia. In questa prospettiva possono allora analizzarsi le due differenti realtà della Corte di cassazione e dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. La prima, infatti, tradizionalmente conosceva solo di un giudizio sul principio di diritto, dovendo rimettere al giudice di appello qualsiasi considerazione in ordine all’applicazione di detto principio alla fattispecie controversa. La seconda, invece, decideva nel merito il ricorso sottoposto alla sua cognizione. I due modelli, come noto, si sono successivamente avvicinati. Così, da un lato, la l. 26.11.1990, n. 353, modificando l’art. 384 c.p.c., ha permesso alla Suprema Corte di decidere la causa nel merito, sia pure soltanto qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Dall’altro, l’Adunanza Plenaria, a partire dal 200819, ha iniziato a ritenere di non dover in ogni caso definire il giudizio ad essa rimesso; una scelta che, successivamente, ha trovato riscontro nel codice, il quale, all’art. 99, co. 4, prevede appunto che la Plenaria decida l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla Sezione remittente senza decidere la controversia. In questo caso, dunque, il potenziamento della funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria avvenuta ad opera del codice, di cui si è detto, passa, nella sostanza, per una più netta separazione tra le funzioni di giudice del diritto e giudice del fatto in capo alla Plenaria stessa, che si è verificata attraverso l’attribuzione – oltre che della già esaminata possibilità di sancire il principio di diritto nell’interesse della legge (art. 99, co. 5, c.p.a., su cui supra) – della facoltà di stabilire il solo principio di diritto. Pur nell’avvicinamento che si è verificato, l’analisi appena effettuata permette però di evidenziare come, sul punto, permangano comunque differenze, in relazione al più ampio spazio attribuito all’Adunanza Plenaria nel giudicare nel merito la controversia. Differenze che, del resto, risultano strettamente connesse al ruolo della Cassazione nell’ambito della giurisdizione ordinaria rispetto a quello del Consiglio di Stato nella giurisdizione amministrativa. Il Consiglio di Stato, infatti, è giudice d’appello, cosicché il rapporto tra Sezione semplice e Adunanza Plenaria, pur strutturato sulla falsariga di quello tra Sezioni singole e Sezioni Unite della Cassazione, rileva piuttosto, sotto il profilo dell’enunciazione del principio di diritto, in correlazione al differente rapporto tra Corte di cassazione, in sé considerata, e giudice ordinario di merito. In questo senso si esprime dunque la diversità, nell’ambito della rispettiva giurisdizione, del modello di esercizio della funzione di nomofilachia da parte della Cassazione e di quello dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Il rapporto tra enunciazione del principio di diritto e giudizio sulla fattispecie controversa, strutturato nel senso di cui si è detto, è stato oggetto di considerazione da parte della stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con la sentenza n. 2 del 23.2.2018, ha avuto modo di statuire su talune questioni che in merito ad esso si ponevano. In proposito, il problema concerneva una decisione precedentemente resa dall’Adunanza Plenaria, la quale si era limitata a pronunciare il principio di diritto, restituendo la causa alla Sezione remittente per la sua definizione. Quest’ultima, tuttavia, a dire del ricorrente, nel decidere la controversia a seguito della remissione, avrebbe malamente applicato quanto sancito dalla Plenaria, cosicché la relativa decisione sarebbe incorsa in un errore di fatto revocatorio e nella violazione di un precedente (la sentenza della Plenaria, appunto) reso tra le stesse parti. La Sezione, chiamata a decidere del ricorso per revocazione proposto, ha rimesso nuovamente gli atti all’Adunanza Plenaria, sollevando, nella sostanza, quattro quesiti. In primo luogo, nel merito della controversia, si è chiesto alla Plenaria di stabilire se, nella sua precedente pronuncia, fosse stato definito parzialmente il giudizio, relativamente alla questione controversa, ovvero se, in merito alla stessa, fosse stato enunciato soltanto un principio di diritto, che poi avrebbe dovuto essere applicato dal giudice a quo. Inoltre, si è chiesto se, nell’enunciare il principio di diritto nella sua precedente decisione, l’Adunanza Plenaria lo avesse inteso applicabile al motivo di ricorso, intendendolo già esaminato (interpretato) dal giudice remittente, senza che fosse possibile alcuna ulteriore attività interpretativa del motivo da parte della Sezione semplice dopo l’enunciazione del principio, come invece avvenuto con la sentenza oggetto di revocazione. Ancora, veniva richiesto di considerare se in generale l’interpretazione del principio di diritto enunciato, ove ne sia in discussione la portata, competa alla medesima Adunanza Plenaria, a cui il giudice remittente, ove abbia perplessità, è tenuto a rimettere la questione, ovvero se tale interpretazione possa essere svolta dalla stessa Sezione cui è assegnato il ricorso. Infine, si è chiesto alla Plenaria di valutare se, ed in quale misura, ai principi di diritto da essa enunciati possa applicarsi l’autorità di cosa giudicata, e dunque se, con riferimento a detto principio, possa ricorrere l’ipotesi revocatoria di cui all’art. 395, n. 5), c.p.c., una volta che lo stesso risultasse non applicato dalla Sezione. Sul punto, la Plenaria, rilevato, in ordine al primo quesito, che nella precedente pronuncia era stato enunciato soltanto un principio di diritto, senza definizione, sia pure parziale, della controversia, in relazione al secondo quesito ha negato che possa distinguersi tra l’enunciazione di un principio in astratto ovvero quale maggiormente attinente alle peculiarità del caso concreto, che non lasci spazio ad alcuna ulteriore attività interpretativa. A suo dire, infatti, l’art. 99, co. 4, c.p.a. ha riconosciuto al giudice della nomofilachia un’opzione binaria, quella fra l’integrale definizione della controversia e l’enunciazione di un principio, con rimessione per il resto al giudice a quo, al quale spetta il compito di contestualizzare il principio espresso in relazione alle peculiarità del caso concreto sottoposto al suo giudizio. In tal senso, allora, non vi sarebbe spazio sistematico per ammettere una sorta di graduazione applicativa, un’indagine, cioè, circa il maggiore o minore grado di astrattezza del medesimo principio in relazione alle peculiarità della controversia. In considerazione di ciò, si determina, sostanzialmente, la soluzione degli ulteriori quesiti posti all’esame della stessa Plenaria. Infatti, se l’art. 99, co. 4, c.p.a. è nel senso di lasciare al giudice della nomofilachia la possibilità di non definire il ricorso, ma di limitarsi ad enunciare il principio di diritto, e se, una volta sancito quest’ultimo, l’attività di riconduzione della regula iuris al caso concreto (che postula un’attività lato sensu interpretativa, un’attività, cioè, di contestualizzazione incoercibilmente connaturata a qualunque attività decisionale) spetta al giudice rimettente, ne deriva conseguentemente che l’attività di sussunzione del caso concreto alla regola generale è lasciata a quest’ultimo dalla stessa disposizione. Inoltre, se l’enunciazione da parte dell’Adunanza Plenaria di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata, la relativa statuizione non assume i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a far stato fra le parti con l’autorità della cosa giudicata. Il vincolo del giudicato può infatti formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza Plenaria che definiscono, sia pure parzialmente, una controversia.
La pronuncia in esame, nel risolvere le questioni poste dal giudice di rinvio, rappresenta una chiara esplicazione di quanto prima si è avuto modo di rilevare in relazione al differente modello strutturale che, nell’esercizio delle funzioni di nomofilachia, caratterizza la Cassazione nel rapporto tra Sezioni Unite, Sezioni semplici e giudice di merito, da un lato, e il Consiglio di Stato nel rapporto tra Adunanza Plenaria e singole Sezioni, dall’altro. Se infatti quest’ultimo è strutturato, in merito a quanto stabilito dall’art. 99, co. 3, c.p.a., sulla falsariga di quello tra Sezioni semplici e Sezioni Unite della Cassazione, in relazione alla previsione di cui al co. 4, della medesima disposizione esso deve essere riferito, invece, alla diversa relazione tra la Suprema Corte e giudice di merito, in ragione delle differenze che caratterizzano l’assetto degli organi della giurisdizione amministrativa rispetto a quelli della giurisdizione ordinaria. La questione portata alla conoscenza della Corte di cassazione (della Sezione semplice o delle Sezioni Unite), infatti, vi arriva tramite un giudizio di impugnazione, a seguito del quale, se non vi è decisione nel merito della controversia ex art. 384 c.p.c. e si procede ad un annullamento con rinvio cd. prosecutorio, dovrà nuovamente pronunciarsi un giudice di merito. Questi è vincolato al principio di diritto affermato, ma ha il potere di effettuare una nuova valutazione in relazione alle direttive espresse dalla sentenza della Cassazione, la cui portata vincolante è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale20. La sentenza del giudice di rinvio, di conseguenza, può essere nuovamente impugnata per cassazione, ove si contesti la corretta esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia della Suprema Corte. Discorso differente vale invece per il Consiglio di Stato. L’Adunanza Plenaria non si pronuncia direttamente in relazione all’impugnazione effettuata dall’appellante, ma è chiamata a rispondere ad una o più questioni sollevate dalla Sezione rimettente, cosicché, se essa non decide l’intera controversia, rimette a quest’ultima – non all’esito di un giudizio impugnatorio, ma in ragione della remissione effettuata dallo stesso giudice – la sua definizione. Gli effetti di un giudizio impugnatorio, quindi, non hanno modo di verificarsi; tant’è che, a valle dell’enunciazione del principio di diritto, il giudice è nuovamente investito in modo pieno della potestas decidendi, non essendosi prodotte le preclusioni proprie del giudicato sui profili ulteriori rispetto alle questioni rimandate al giudice della nomofilachia, che solo potrebbero verificarsi laddove la quaestio iuris fosse portata davanti a quest’ultimo attraverso un’impugnazione giudiziale, come avviene appunto per il giudice ordinario. In questo contesto, l’attribuzione dell’autorità di cosa giudicata al principio di diritto sancito dalla Plenaria – pur escluso per le sentenze di cassazione con rinvio21, come ricordato dalla stessa pronuncia in esame – sarebbe allora servito a pervenire, attraverso il rimedio della revocazione per violazione del giudicato interno22, all’impugnazione della decisione della Sezione semplice per violazione del suddetto principio, che dovrebbe altrimenti escludersi, rimanendosi all’interno del medesimo organo giurisdizionale23.
La funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria acquista, attraverso questa pronuncia, ulteriori profili di rilevanza in ordine alle modalità attraverso le quali essa trova esplicazione. Se infatti può affermarsi, del tutto condivisibilmente, che laddove la Plenaria sancisca unicamente il principio di diritto, la sussunzione al caso concreto della regula iuris spetti alla Sezione remittente, deve però rilevarsi che non è previsto un rimedio laddove tale principio si assuma violato, in ragione del dispiegarsi del rapporto tra singola Sezione e Adunanza Plenaria all’interno dello stesso organo giurisdizionale (a differenza di quanto avviene, si ripete nuovamente, nell’ambito della giurisdizione ordinaria). Invero, il problema non è affrontato dalla decisione in esame, anche in ragione della circostanza che comunque, ad avviso della Plenaria, nel caso di specie la Sezione rimettente non aveva disatteso il principio di diritto da essa espresso, essendosi invece limitata, nella sua autonomia interpretativa, a definire il giudizio sulla base di un diverso parametro giuridico24 (ciò che, in ragione dell’atteggiarsi dei rapporti tra statuizione dell’Adunanza Plenaria e decisione della Sezione nel senso di cui si è detto, non può essere escluso).
1 Carbone, E., Quattro tesi sulla nomofilachia, in Pol. dir., 2004, 599 ss. Il salto semantico è evidente in Denti, V., A proposito di Corte di cassazione e nomofilachia, in Foro it., 1986, V, 418. In generale cfr. Calamandrei, P., La Cassazione civile, ora in Opere, VII, Napoli, 1976, 33 ss., 57 ss. e 97 ss.
2 Cfr. al riguardo Tarello, G., Diritto, enunciati, usi, Bologna, 1974, 389 ss.; Guastini, R., Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 67.
3 In particolare Andrioli, V., Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 924.
4 Su tutti, Sandulli, M.A., Principi e regole dell’azione amministrativa. Riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in federalismi.it, 2017; AA. VV., L’incertezza delle regole. Annuario AIPDA 2014, Napoli, 2015.
5 Si rimanda a Oggianu, S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, Padova, 2011, 15 ss.; Follieri, E., L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Follieri, E.Barone, A., I principi vincolanti dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sul Codice del processo amministrativo, Padova, 2015, 25 ss.
6 Fondamentale il ruolo assunto dall’Adunanza Plenaria nell’interpretazione del nuovo dettato codicistico, come si evince dall’aumento esponenziale delle pronunce negli anni immediatamente successivi all’adozione del codice: cfr. Follieri, E.Barone, A., I principi vincolanti dell’Adunanza plenaria, cit.
7 È discusso se tale ultima previsione vada comunque rapportata ad un possibile contrasto giurisprudenziale: in questo senso Follieri, E., L’adunanza plenaria, cit., 39; contra Levi Sandri, L.R., L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, III, Roma, 1981, 1307.
8 Con efficacia, in questo caso, anche verticale, cioè estesa anche al rapporto tra Sezioni regionali e Sezioni riunite.
9 Luiso, F.P., Il vincolo delle Sezioni semplici al precedente delle Sezioni Unite, in Giur. it., 2003, 821.
10 Taruffo, M., Una riforma della Cassazioni civile?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 772 ss.; Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017, 558.
11 Sassani, B., Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 233235; Follieri, E., L’adunanza plenaria, cit., 53.
12 Critico nei confronti della previsione Follieri, F., Correttezza (Richtigkeit) e legittimazione del diritto giurisprudenziale al tempo della vincolatività del precedente, in Dir. amm., 2014, 317 ss.
13 Sia consentito rimandare alla ricostruzione effettuata in Carbone, A.Bellesini, C., Riparto di giurisdizione e controversie di diritto pubblico, in Cerulli Irelli, V., La giurisdizione amministrativa in Italia e in Germania, Milano, 2017, 31 ss., ed ivi i relativi riferimenti. Cfr. anche Patroni Griffi, F., La funzione nomofilattica: profili interni e sovranazionali, in federalismi.it, 2017, 6 ss.
14 Secondo l’espressione di Villata, R., “Lunga marcia” della Cassazione verso la giurisdizione unica (“dimenticando” l’art. 103 della Costituzione)?, in Dir. proc. amm., 2013, 324 ss.; Id., La (almeno per ora) fine di una lunga marcia, in Riv. dir. proc., 2018, 325 ss.
15 C. cost., 18.1.2018, n. 6.
16 Si veda in proposito il Memorandum, sottoscritto dai massimi rappresentanti degli organi di vertice delle tre giurisdizioni il 15.5.2017, sulle soluzioni da approntare per garantire, a Costituzione invariata, l’uniformità di interpretazione delle norme in tutti gli ordini giurisdizionali, in Foro it., 2018, V, 57 ss., ed ivi in particolare gli interventi di A. Proto Pisani, M. Luciani, A. Travi, C. Consolo e A. Pajno.
17 Sul punto, si rimanda a Carbone, A., Rapporti tra ordinamenti e rilevanza della CEDU nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, 456 ss. Cfr. anche Pajno, A., Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Riv. dir. pubbl. com., 2015, 359 ss.
18 Pajno, A., Appello nel processo amministrativo e funzioni di nomofilachia, in Studi per il centenario della IV sezione del Consiglio di Stato, II, Roma, 1989, 844 ss.; Oggianu, S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, cit., 101 ss.
19 Cons. St., A.P., 30.7.2008, nn. 5, 7, 8 e 9.
20 Ex multis Cass., 2.2.2018, n. 2652.
21 Cass., 12.9.2014, n. 19301; Cass., 2.8.2012, n. 13873.
22 Sull’attitudine della revocazione a sopperire alla mancanza di rimedi idonei a mettere in discussione la sentenza cfr. Carbone, A., Rapporti tra ordinamenti e rilevanza della CEDU nel diritto amministrativo, loc. cit.
23 Né potrebbe ammettersi il ricorso per cassazione in tale ipotesi, in particolare dopo l’intervenuta C. cost. n. 6/2018, cfr. supra.
24 Cfr. il § 5.6 della pronuncia.