Non piango tanto il non poter vedere
. Tramandato solo dal codice Casanatense 433 (già D V 5, c. 60 V), questo sonetto (Rime dubbie XXVIII; schema abba abba; cdc dcd) sembra continuare, come osserva il Mattalia, il discorso impostato nel sonetto De' tuoi begli occhi (v.), che nel codice lo precede.
Il cuore del poeta, che ha perduto lo su' bel piacere, cioè il volto dell'amata, si duole non tanto per non poter vedere la donna, quanto per il timore dello sdegno che potrebbe nascere in lei per la lontananza cui il poeta è costretto, che rende impossibile lo scambio d'amore. La sofferenza è grande, e conduce alla morte; il cuore invoca la sua luce: ma il solo conforto gli è recato dallo spirito ch'ama, il quale lo rassicura dicendogli che sempre duce del suo amore sarà colei che è da lui bramata.
Ragioni stilistiche e metriche (irregolarità sintattica al v. 3, sinalefe di no ha al v. 7, qualche tratto prosaico, andamento impacciato della fronte) rafforzano per il Contini il dubbio dell'attribuzione.
Bibl. - D.A., Le Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 264; Contini, Rime 274-275; Barbi-Pernicone, Rime 700.