Professore di filosofia del diritto e filosofia politica, è il più importante studioso italiano di diritto e politica della seconda metà del Novecento, nel corso della quale ha assunto nel dibattito pubblico italiano un ruolo paragonabile a quello svolto da Benedetto Croce nella prima metà del secolo. Ha legato il suo nome, oltre che a esemplari studi di classici del pensiero, alla revisione critica del positivismo giuridico, alla teoria procedurale della democrazia, alla critica delle ideologie e alla diagnosi dei maggiori problemi dei sistemi politici contemporanei a partire dalle grandi dicotomie della teoria politica (società civile e Stato, diritto e potere, etica e politica, pace e guerra, Stato e anarchia). Nel ruolo di filosofo militante è intervenuto incisivamente, in tutte le stagioni della storia della Repubblica, nel dibattito pubblico perseguendo l’ideale del buon governo per un’«Italia civile».
Il retroterra politico e culturale di Bobbio s’inserisce nella tradizione gobettiana torinese, che negli anni della Resistenza sarebbe confluita nel Partito d’azione, crogiuolo della cultura politica laica della Repubblica. Nato a Torino il 18 ottobre 1909, la sua formazione avviene nella città natale, dove al liceo d’Azeglio, tra il 1919 e il 1927, subisce l’influenza dell’ambiente gobettiano e di autorevoli insegnanti antifascisti, come Augusto Monti, ma anche di compagni come Leone Ginzburg, Massimo Mila, Gian Carlo Pajetta, Vittorio Foa, Giulio Einaudi, Franco Antonicelli. Il «crocianesimo di sinistra» di questa cerchia contribuisce, come testimonia l’autobiografia, a farlo uscire dal «filofascismo familiare» e dai condizionamenti esercitati da un regime totalitario.
Laureatosi, all’inizio degli anni Trenta a Torino, in giurisprudenza (con Gioele Solari) e in filosofia (con Annibale Pastore), grazie all’insegnamento dei maestri della facoltà giuridica, Solari, Luigi Einaudi e Francesco Ruffini, rompe ben presto con l’hegelismo dei maggiori filosofi della tradizione nazionale, Croce e Giovanni Gentile, ma anche di quella socialista, Antonio Labriola e Antonio Gramsci. I primi studi lo indirizzano verso la cultura tedesca, verso il neokantismo, la fenomenologia e il personalismo scheleriano. Dalle sollecitazioni provenienti da quella cultura sarebbe maturato anche l’interesse per i due autori che avrebbero dominato il suo percorso d’approfondimento teorico (come professore di filosofia del diritto a Camerino, Siena, Padova e Torino e dal 1972 di filosofia politica), Thomas Hobbes e Hans Kelsen.
La prima stagione dell’impegno politico di Bobbio coincide con la breve parabola del Partito d’azione (negli anni del suo insegnamento padovano), e si conclude con la catastrofe delle elezioni (nelle quali si era candidato a un seggio parlamentare) del 1946. In quegli anni sviluppa sul piano teorico la piattaforma politica del Partito d’azione, che puntava a una riforma dello Stato che facesse leva sulla democrazia, come metodo per far coincidere la formazione della volontà generale con la volontà di tutti, sul federalismo, come sistema di disarticolazione e riorganizzazione autonomistica dello Stato unitario, e sulla coniugazione di liberalismo e socialismo, come ideologia mirante a un'effettiva redistribuzione dei poteri sociali entro la cornice istituzionale democratica. A questi obiettivi avrebbe comunque continuato a ispirarsi il suo pensiero in tutto l’arco del suo percorso.
La seconda stagione politica dell’itinerario di Bobbio può esser fatta iniziare con l’adesione nel 1966 al Partito socialista unificato e culminare nella battaglia contro le degenerazioni partitocratiche della democrazia italiana. Ormai le illusioni circa una possibile evoluzione democratica del socialismo reale si erano dissolte, ma appare anche sempre più evidente che attraverso il metodo democratico il socialismo è irraggiungibile e che la stessa democrazia è ben lungi dall’aver mantenuto le sue originarie promesse. Gli interessi particolari e corporativi, le pratiche consociative, il criptogoverno sempre più gli sembrano segnare il volto della Repubblica, generando la disaffezione del cittadino nei confronti della vita democratica.
Dal disincanto per queste esperienze storiche (il non essere stata la Resistenza una palingenesi, il ritardo ideologico dei partiti, il fallimento della stagione delle riforme per essere stata la sinistra incapace di superare le sue divisioni), sarebbero scaturite opere destinate a segnare in modo profondo la cultura politica dell’«Italia civile»: così Politica e cultura (1955), Quale socialismo? (1976), Il futuro della democrazia (1984). Anche il ciclo della sua produzione intellettuale può essere scandito in due fasi: nella prima, i saggi raccolti in Politica e cultura testimoniano della volontà di non arrendersi alla sconfitta dell’azionismo, perseguendo la ripresa di un dialogo che il clima della guerra fredda sembrava aver definitivamente compromesso; nella seconda, dopo la sfida della democrazia assembleare del 1968 e le sue degenerazioni terroristiche, si colloca la presa d’atto delle «promesse non mantenute della democrazia».
In polemica con la teoria gramsciana dell’intellettuale organico, ma anche marcando la sua distanza da ogni concezione dell’impoliticità della cultura, il suo rapporto con il mondo della politica sarebbe sempre stato guidato dalla massima «né distacco né subalternità». Pur avendo compiuto nel corso della sua vita chiare scelte politiche, dagli anni dell'impegno nel Partito d’azione a quelli dell'adesione al programma riformista del centro-sinistra, fino alla pubblicistica antiberlusconiana degli anni Novanta, considerandosi fino alla fine (morirà a Torino il 9 gennaio 2004) un uomo di sinistra, e pur essendo stato nominato senatore a vita dal presidente Sandro Pertini nel 1984, egli dichiarò sempre di non sentire alcuna vocazione per la militanza politica. Era troppo buon conoscitore della tradizione del realismo politico per non temere le contaminazioni delle potenze corruttrici che operano nel campo della politica; e condivideva con Max Weber la consapevolezza dell’irriducibile alterità tra la vocazione della scienza e quella della politica.
Insofferente a ogni compiacimento nazionalistico, Bobbio è stato innanzitutto interprete molto attento della propria tradizione nazionale, dedicando esemplari saggi critici agli autori più significativi della storia politica nazionale (da Carlo Cattaneo a Gaetano Salvemini, da Vilfredo Pareto a Gaetano Mosca, da Einaudi a Croce, il primo dei suoi maestri). Contro la tradizione spiritualistica nazionale (quella che avrebbe definito la vera «ideologia italiana»), l’incontro precoce con la filosofia di Cattaneo, non positivista ma scienziato positivo, non razionalista ma uomo di ragione, «illuminista rinato nel secolo dello storicismo», come in buona misura anche Bobbio sarebbe stato, lo indirizza verso l’approdo del neoilluminismo postbellico. L’esperienza del neoilluminismo sarà importante per la scelta del ruolo dell’intellettuale militante che non cede al ricatto dell’impegno ‘organicamente’ vincolato a qualche partito ma nemmeno si ritrae nella torre d’avorio di una sterile speculazione.
A correggere l’eredità dell’idealismo, in cui si rifletteva la debolezza del pensiero democratico italiano del primo Novecento, interviene anche la lezione di Salvemini, sia per l’elaborazione della concezione elitistica della democrazia, sia per le riflessioni sul rapporto esistente tra metodo democratico e metodo scientifico. Salvemini è per Bobbio lo storico che ha restituito dignità a quel positivismo e a quella concezione della scienza su cui i filosofi dell’idealismo si erano accaniti a gettare il discredito e a quella visione della vita democratica che era stata prima inquinata dal malgoverno delle oligarchie liberali e poi travolta dal nazionalismo plebiscitario del regime fascista.
Il peso della storia nazionale si fa sentire nell’opera di Bobbio non soltanto per il tramite di Cattaneo, di Salvemini e del crocianesimo gobettiano, ma anche attraverso i teorici delle élites, maestri di realismo politico, ai quali è dedicata la raccolta Saggi sulla scienza politica in Italia (1969), che riunisce testi cui spetta il merito di aver riportato l’attenzione, nella cultura politica del dopoguerra, sull’opera di Pareto e di Mosca, nonché sull’elitismo democratico. La lezione degli elitisti relativa al ruolo delle oligarchie nella storia, ai limiti strutturali del processo di democratizzazione, alla funzione delle ideologie nella società, alle dinamiche della corruzione e del declino costituisce il contraltare conservatore al realismo rivoluzionario di Karl Marx. A questi autori attinge nell’elaborare la sua diagnosi sugli «ostacoli non previsti» e le «promesse non mantenute» della democrazia.
Nel quadro della resa dei conti con la tradizione italiana importanza centrale assume il rapporto con Croce, «il maestro di libertà negli anni della dittatura». Le differenze rispetto a Croce sono molte e riguardano l’ambito filosofico come quello politico. Sul liberalismo di Croce Bobbio prende posizione criticamente nel celebre saggio confluito in Politica e cultura, in cui rileva come alla base della visione liberale del filosofo napoletano non vi siano quegli autori che avevano sviluppato la teoria dei limiti del potere dello Stato. Si deve però rilevare che Bobbio era indotto a vedere in Croce, per la sua concezione della filosofia come «momento metodologico della storiografia», un maestro solidale nella battaglia contro le astruserie metafisiche; ed era a lui debitore per due insegnamenti fondamentali, concernenti «la maniera di porre il rapporto tra impegno pratico e impegno intellettuale, tra politica e cultura», e per la concezione metapolitica del liberalismo. Pur non aderendo alla metafisica crociana, secondo cui la storia è epifania della libertà, il neoempirista Bobbio vi sostituisce l’idea della storia come progressivo avanzamento dei diritti, anch’essa poggiante su una concezione storicistica della verità.
L’opera di Bobbio trascende i confini della cultura nazionale, entrando in dialogo con quella dei più alti esponenti della cultura europea del 20° sec., da Weber a Kelsen, da Julien Benda a Raymond Aron, da Karl Popper a Isaiah Berlin. Bobbio è stato spesso accostato a Berlin per la sua ricerca analitica sul concetto di libertà, che gli consente di pervenire a definizioni formalmente impeccabili: il liberalismo è un’ideologia che mira a limitare il potere politico a tutela delle sfere di libertà individuale, la democrazia una forma di governo che mira a distribuire il potere politico tra il maggior numero di cittadini (massimizzandone la libertà politica). Negli stessi anni, entrambi concettualizzano quella distinzione tra libertà negativa e libertà positiva che avrebbe dominato il dibattito filosofico-politico dei decenni successivi – ed entrambi vi approdano confrontando la concezione liberale con quella socialista della libertà. Fatta chiarezza su quella distinzione fondamentale, gran parte dell'opera di Bobbio sarebbe poi stata dedicata alla ricerca delle forme della loro possibile composizione, il che, in termini ideologici, significa ricerca di una coniugazione tra liberalismo e democrazia, tra liberalismo e socialismo.
Due sono i libri in cui più chiaramente emerge il profilo dell’intellettuale militante che prende posizione sui problemi del proprio tempo: Politica e cultura e Profilo ideologico del Novecento (1969). In Politica e cultura la ricerca di un nuovo ruolo per l’intellettuale, contro l’ossessione pedagogicamente totalizzante degli ideologi, s’indirizza verso l’individuazione di un giusto mezzo tra gli estremi della «cultura politicizzata» e della «cultura apolitica». Il compito dell’intellettuale deve consistere nel sottoporre a indagine critica credenze e convinzioni consolidate o blindate dall’ideologia, esercitando il metodo del dubbio per contrastare il dogmatismo. Ma altri erano stati gli orientamenti che avevano predominato, e ancora stavano predominando, nel secolo che alcuni avrebbero definito «degli estremi». E contro le estremizzazioni ideologiche egli ricercò, praticando il dialogo pubblico, quello che John Rawls avrebbe chiamato «overlapping consensus».
Bobbio fu promotore del dialogo, innanzitutto tra liberali e socialisti (con Politica e cultura) e poi, in una stagione successiva, anche tra laici e credenti. In un mondo in cui l’integralismo religioso, il dogmatismo e l’ortodossia ideologica la facevano da padroni, era sua convinzione che l’opera dell’intellettuale dovesse passare attraverso la critica delle presunte certezze che rendevano impossibile il compromesso. In virtù della specificità della situazione italiana, fu tra i grandi intellettuali «erasmiani» (Dahrendorf 2006) del secondo Novecento colui che si spinse più avanti, pur senza mai transigere sulle questioni di principio, nel confronto con le sinistre comuniste. Il dialogo con i comunisti fu guidato dalla convinzione, propria di tutti gli azionisti di sinistra, che quelli avessero avuto fin dall’inizio il merito di aver guardato alla storia mettendo in primo piano le sofferenze e i diritti dei deboli e degli oppressi. Con l’avanzare della secolarizzazione della società italiana non sarebbe poi stato insensibile al dialogo tra laici e credenti (a partire da uno scritto minore, ma dall’intento programmatico, Elogio della mitezza, 1993). In un’opera tra le sue ultime, L’età dei diritti (1990), avrebbe indicato nella convergenza di tre grandi correnti ideali, il liberalismo, il socialismo e il cristianesimo sociale l’acquisizione più preziosa della modernità
Bobbio è stato uno dei più convinti assertori del secolo socialdemocratico. L'esperienza del fascismo, lasciando in eredità all'Italia anche l'anomalia del più grande partito comunista dell'Occidente, ne aveva condizionato l'orientamento politico, ma non al punto da mettere in discussione la convinzione che l'alternativa rimanesse quella tra capitalismo con la democrazia e socialismo senza democrazia. Vedeva nello Stato sociale di diritto, e in una conseguente politica democratica riformista, capace di mitigare con istanze egualitarie l’intemperanza delle libertà del mercato, la realizzazione di una terza via tra capitalismo e socialismo. Ma quando negli anni Settanta fra i comunisti italiani, ormai persuasi delle incurabili degenerazioni del socialismo reale, prese corpo la convinzione, suffragata da una lettura dell’opera di Gramsci, che si stesse delineando una via europea al comunismo come terza via tra dittatura leninista e riformismo socialdemocratico, Bobbio fu molto determinato nel contestare tale illusoria prospettiva, ribadendo che tra la dittatura del proletariato e il rispetto delle regole della democrazia parlamentare non si potessero dare strategie intermedie.
L’opera di Bobbio si estende per circa tre quarti di secolo e può essere considerata uno specchio intellettuale particolarmente rappresentativo del Novecento. Tra la stagione delle prime prove e quella estrema dei ripensamenti e delle testimonianze si collocano più di quattro decenni d’intensissima attività di ricerca – che possiamo far iniziare dall’Introduzione all’edizione italiana da lui curata del De cive di Hobbes –, nel corso dei quali avrebbero visto la luce decine di studi di teoria generale del diritto e di saggi sui classici del pensiero giuridico e politico moderno (da Hobbes a Kant a Hegel a Kelsen) e soprattutto saggi volti ad affrontare le tre grandi questioni che egli a ragione ha considerato le questioni cruciali della nostra epoca: quella della pace con Il problema della guerra e le vie della pace (1979), quella della democrazia, con Il futuro della democrazia (1984), quella dei diritti, con L’età dei diritti. Sono opere che si collocano tutte in una zona di confine tra la filosofia e le scienze giuridiche e politiche, ponendo l’analisi concettuale al servizio della critica delle ideologie.
Nella storia delle dottrine politiche del Novecento, Bobbio è destinato a restare per il contributo dato all’affinamento della teoria procedurale della democrazia, di quella teoria cioè che ha in Kelsen e Joseph A. Schumpeter i suoi massimi esponenti. Si tratta innanzitutto di una concezione che rientra nella grande famiglia delle teorie empiriche della democrazia competitiva. La sua contrapposizione tra democrazia ideale e democrazia reale, tra gli «ideali» e la «rozza materia», lo colloca nell’immediata prossimità di Schumpeter che in Kapitalismus, Sozialismus und Demokratie (1946) aveva elaborato la sua realistica teoria del metodo democratico in contrapposizione alle idealizzazioni della teoria «classica». Ma nella definizione delle «regole del gioco» come «universali procedurali» di natura giuridica il suo paradigma di riferimento è Kelsen.
Il debito di Bobbio nei confronti di Kelsen è dichiarato ed evidente. Esso riguarda i temi della teoria generale del diritto, la teoria proceduralistica e insieme pluralistica della democrazia, la concezione della «pace attraverso il diritto» (il «pacifismo istituzionale») e la critica alla dottrina marxistica dello Stato. A Kelsen il filosofo torinese deve in primo luogo la teoria della norma giuridica e la teoria dell’ordinamento giuridico, e di conseguenza una concezione critica del positivismo giuridico, che non esalta e divinizza lo Stato ma nulla concede alle nostalgie giusnaturalistiche, accogliendo piuttosto la tesi weberiana (volontaristica e noncognitivistica) del politeismo dei valori. E deve la convinzione che in un mondo in cui prevalgono le divergenze di interessi e di opinioni, di progetti e di valori, il diritto costituisce l’unica tecnica di organizzazione sociale capace di disciplinare il conflitto.
Dei classici a cui ha fatto costantemente riferimento, Hobbes è per Bobbio, senza dubbio, quello decisivo, dal quale ha appreso a studiare la controfaccia del diritto, che è il potere. Hobbes è per lui l’autore che ha tentato di tenere insieme concezione razionalistica e concezione realistica dello Stato, di solito destinate a divergere e a contrapporsi polemicamente; che ha realizzato una singolare sintesi di giusnaturalismo e positivismo giuridico; e che ha dato il maggior contributo alla filosofia del diritto, al punto da poter essere considerato l’iniziatore del positivismo giuridico, che è la più compiuta teoria generale del diritto che la modernità abbia elaborato. La teoria dello Stato moderno che Bobbio trova compiutamente formulata nell’opera di Hobbes è anche una teoria individualistica, relativistica e laica dello Stato. Sotto questo profilo essa costituisce una piattaforma particolarmente congeniale per accostarsi alla dottrina pura del diritto e anche alla concezione kelseniana della democrazia. Solamente lo studio approfondito di Hobbes avrebbe consentito a Bobbio di mettere a frutto l’insegnamento kelseniano: al punto che si può dire di lui che è stato il maggior interprete kelseniano di Hobbes e il maggior interprete hobbesiano di Kelsen.
Dai classici Bobbio ha appreso e ha trasmesso la lezione dell’esercizio critico della ragione come strumento per contrastare il dogmatismo. Contro coloro che credono che esistano il «problema dei problemi» e quindi anche la «soluzione delle soluzioni», o che sono impegnati nella realizzazione di qualche «valore ultimo», è sceso ripetutamente in campo, sostenendo che «non esiste il valore ultimo, ma esistono al massimo valori primari alternativi, e purtroppo anche incompatibili». Come della democrazia ha privilegiato una definizione procedurale, così dei diritti dell’uomo non ha ricercato il fondamento assoluto ma solo le tecniche di attuazione, così ancora al pacifismo etico o finalistico ha preferito il pacifismo istituzionale, che fa della pace non un traguardo definitivo della storia umana ma soltanto «una delle condizioni per la realizzazione di altri valori».
Politica e cultura, Torino 1955 (nuova ed., a cura di F. Sbarberi, 2005).
Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano 1965.
Profilo ideologico del Novecento, Milano 1969.
Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1969 (nuova ed. accresciuta 1996).
Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino 1971.
Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano 1976.
Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Torino 1976.
Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna 1979.
Studi hegeliani. Diritto, società civile, Stato, Torino 1981.
Il futuro della democrazia, Torino 1984, Torino 1991.
Stato, governo e società. Frammenti di un dizionario politico, Torino 1985.
Il terzo assente. Saggi e discorsi sulla pace e sulla guerra, Torino 1989.
Thomas Hobbes, Torino 1989.
L’età dei diritti, Torino 1990, Torino 1992.
L’utopia capovolta, Torino 1990.
Saggi su Gramsci, Milano 1990.
Una guerra giusta? Sul conflitto del Golfo, Venezia 1991.
Il dubbio e la scelta. Intellettuali e potere nella società contemporanea, Roma 1993.
Teoria generale del diritto, Torino 1993.
Contributi ad un dizionario giuridico, a cura di R. Guastini, Torino 1994.
Dal fascismo alla democrazia. I regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche, a cura di M. Bovero, Milano 1997.
Né con Marx né contro Marx, a cura di C. Violi, Roma 1997.
Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino 1999.
Dialogo intorno alla Repubblica, a cura di M. Viroli, Roma-Bari 2000.
Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma 2004.
Per una bibliografia completa delle opere di Bobbio fino al 1993, si veda inoltre:
Bibliografia degli scritti di Norberto Bobbio (1934-1993), a cura di C. Violi, Roma-Bari 1995.
La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, a cura di U. Scarpelli, Milano 1983.
E. Lanfranchi, Un filosofo militante. Politica e cultura nel pensiero di Norberto Bobbio, Torino 1989.
P. Meaglia, Bobbio e la democrazia. Le regole del gioco, San Domenico di Fiesole 1994.
A. Ruiz Miguel, Política, historia y derecho en Norberto Bobbio, Ciudad de México 1994.
F. Sbarberi, L’utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, Torino 1999.
Diritto e democrazia nella filosofia di Norberto Bobbio, a cura di L. Ferrajoli, P. Di Lucia, Torino 1999.
T. Greco, Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica, Roma 2000.
M. Barberis, Diritti e democrazia. Un’interpretazione pluralista di Bobbio, «Teoria politica», 2004, 20, 3, pp. 103-26.
L. Ferrajoli, L’itinerario di Norberto Bobbio: dalla teoria generale del diritto alla teoria generale della democrazia, «Teoria politica», 2004, 20, 3, pp. 127-43.
L’opera di Norberto Bobbio. Itinerari di lettura, a cura di V. Pazé, Milano 2005.
Norberto Bobbio tra diritto e politica, a cura di P. Rossi, Roma-Bari 2005.
R. Dahrendorf, Versuchungen der Unfreiheit. Die Intellektuellen in Zeiten der Prüfung, München 2006 (trad. it. Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, Roma-Bari 2007).
P.P. Portinaro, Introduzione a Bobbio, Roma-Bari 2008.
D. Zolo, L’alito della libertà. Su Bobbio, Milano 2008.
S. Veca, Sui rapporti fra filosofia, politica e cultura. Norberto Bobbio e Giulio Preti, in Impegno per la ragione. Il caso del neoilluminismo, a cura di W. Tega, Bologna 2010.
M.L. Salvadori, Il liberalismo di Bobbio tra etica, politica e progresso sociale, in Id., Liberalismo italiano. I dilemmi della libertà, Roma 2011, pp. 153-68.