PAZZINI, Norberto
– Nacque il 2 giugno 1856, a Verucchio, nei pressi di Rimini, da una famiglia di umili origini (suo padre Pietro era un calzolaio; della madre non si hanno notizie specifiche), ma non insensibile alle arti e alla cultura, che gli permise di accostarsi precocemente, da autodidatta, al disegno e alla plastica. Seguendo le proprie inclinazioni artistiche, a diciotto anni decise di trasferirsi a Roma per iscriversi all’Istituto di belle arti dell’Accademia di S. Luca che frequentò, con molti sacrifici economici fino al 1878, e dove ebbe l’opportunità di stringere amicizia con Giuseppe Cellini, Paolo Ferretti e Alessandro Morani.
La formazione all’Istituto di belle arti fu molto importante per Pazzini: la cultura accademica fondata sul disegno di matrice purista, rigoroso e metodico, fu l’elemento peculiare nella sua poetica, centrata su un’indagine della natura allo stesso tempo analitica e sentimentale, che incontrò il favore, qualche anno più tardi, di Nino Costa, di cui divenne seguace e allievo (uno dei pochi). Negli stessi anni, ad ogni modo, il pittore maturò un interesse anche verso gli impasti cromatici spessi e densi, tipici di alcune delle prime opere, come testimoniano i dipinti Fontanile (Roma, coll. priv.) del 1879, e Rimini dopo la pioggia (Roma, coll. priv.), dello stesso anno, che non escludono una conoscenza diretta dell’ambiente macchiaiolo fiorentino.
Nonostante i riconoscimenti e i premi accademici, non appena diplomatosi come maestro di disegno, Pazzini fu costretto a tornare a Verucchio per l’impossibilità di continuare a pagarsi da vivere a Roma; cercò, quindi, lavoro come decoratore e ritrattista a Rimini, ma con scarso successo. Nel 1879, attraverso Enrico Becchetti, suo professore all’Accademia, che gli aveva fatto ottenere un posto da disegnatore all’Illustrazione italiana come collaboratore di Dante Paolocci, corrispondente artistico della rivista, il giovane pittore riuscì finalmente a tornare nella Capitale.
In quegli anni, forse anche in virtù del nuovo lavoro, viaggiò molto. Un taccuino probabilmente del 1879-80 (coll. priv.; Tecnica ed elegia..., 1982, pp. 39-41) contiene riproduzioni di figure da opere di artisti del Trecento e del Quattrocento (Spinello Aretino, Buffalmacco, Benozzo Gozzoli, Masaccio, Pinturicchio, Pisanello), forse riprodotte durante soggiorni in Umbria e Toscana.
La grande abilità nel disegno fu per Pazzini il lasciapassare per alcuni importanti incarichi: tra tutti l’esecuzione delle tavole anatomiche per l’ospedale di Santo Spirito (1881) e la collaborazione (1883) con Giuseppe Sacconi nel progetto per il Vittoriano, per il quale disegnò prospettive e particolari architettonici (spiccano in particolare i capitelli corinzi con protome antropomorfa raffigurante l’Italia al posto del tradizionale fiore d’acanto).
Il punto di svolta nella carriera del pittore romagnolo arrivò nel 1884 quando, attraverso il conte Lemmo Rossi Scotti, conobbe Nino Costa che fin da subito lo guidò nello studio del paesaggio laziale e umbro. Con Costa entrò a far parte della Scuola etrusca, che il pittore romano aveva fondato nel 1883 insieme con un gruppo di artisti inglesi e pochi italiani, tra cui Napoleone Parisani e Gaetano Vannicola.
Le prime influenze di Nino Costa si colgono, in maniera evidente, in due dipinti datati 1885 e 1886, Antichi bagni di Ripetta (Roma, Galleria d’arte moderna di Roma Capitale) e La ninfa del fiume (Roma, coll. priv.).
Nel primo sono il taglio compositivo orizzontale e una scelta cromatica bassa a registrare un primo avvicinamento al pittore romano, che, sposandosi con la resa prospettica dei capanni, annuncia quello che sarà il linguaggio più tipico di Pazzini. Nella Ninfa del Fiume, invece, la consuetudine con Nino Costa è più marcata nella scelta del soggetto, nell’impaginato, nel tono sentimentale.
Il rapporto di Pazzini con la natura fu profondo e meditato. Diversamente da Costa, per il quale il punto di partenza dell’opera d’arte doveva essere l’impressione verissima del dato naturale poi intellettualizzato in studio, per il romagnolo l’analisi mentale della natura cominciava dal primo contatto, dal rapporto diretto con questa, analizzata lucidamente attraverso il disegno. Ne sono testimonianza alcuni appunti e gli schizzi preparatori di alcuni dipinti che tradiscono l’ossessione lineare e, in certi casi, geometrica del pittore (Pasini, 1979; Tecnica ed elegia..., 1982).
Nel 1885 Pazzini partecipò per la prima volta all’Esposizione della Società amatori e cultori di belle arti, mentre continuavano le peregrinazioni nella campagna romana e umbra (come provano alcuni lavori del 1886, tra cui Umbria e Castello umbro, e gli studi per La ninfa del fiume).
Nel 1886 Costa patrocinò e incoraggiò la società In Arte Libertas, di cui Pazzini fu uno dei principali esponenti, partecipando con essa all’Italian Exhibition di Londra del 1888 e firmandone lo statuto nel 1890.
Sempre nel 1886, probabilmente grazie ai contatti che Pazzini maturò con l’ambiente inglese tramite Costa e la colonia inglese residente a Roma, il South Kensington Museum di Londra commissionò al pittore la riproduzione della Dalmatica di Carlo Magno, conservata in Vaticano. Ancora, sempre per il South Kensington Museum, si recò a Firenze tra il 1889 e il 1890 per copiare le vetrate di S. M. Novella; l’interesse per le arti decorative medievali e rinascimentali si rivela anticipatore di un gusto che sarà dominante nella compagine simbolista e idealista romana nel corso degli anni Novanta, come dimostra lo studio delle vetrate di Assisi da parte di Morani nel 1894. Nel novero dei lavori legati all’ambiente inglese vanno infine menzionate le illustrazioni che Pazzini realizzò nel 1892 per Rimini di Helen Zimmern, apparse sul The English illustrated magazine (vol. IX, pp. 765-783).
Negli anni Novanta Pazzini continuò a dedicarsi al paesaggio. Dipinti centrali di questo periodo sono lo Stinco di Adamo (1890, Roma, coll. priv.) e Aratura (1893, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), in cui l’idealizzazione della natura attraverso la linea e la cromia delicata del primo, e il soggetto da idillio campestre del secondo, sono sintesi dell’intera opera del pittore. Allo stesso tempo, le poetiche decadenti di matrice preraffaellita, in voga nell’ambiente romano dell’epoca, lasciarono su di lui un’impronta evidente nella tela S. Anna (1894, Saludecio [RN], chiesa di S. Biagio) che, invero, per i volumi asciutti e cristallizzati, sembra guardare più all’arte dei Nazareni o comunque dei maestri fiorentini quattrocenteschi.
La situazione economica e sociale di Pazzini, dopo anni di sacrifici, migliorò sensibilmente grazie ai successi espositivi e ai contatti con nobili famiglie romane dove insegnava pittura. Questa sicurezza gli permise di sposarsi nel 1896 con Giannina Brandimarte, cugina dell’amico Gaetano Vannicola, da cui nacque l’unico figlio, Adalberto (1898-1975), storico della medicina, e creatore, nel 1953, del Museo di storia della medicina dell’Università La Sapienza di Roma.
Con il nuovo secolo alcuni aspetti della poetica di Pazzini cominciarono a definirsi: se da un punto di vista tematico vi si riscontra una certa versatilità, tra paesaggio, interesse crescente per soggetti rurali (Capanna rustica del 1902, Galleria d’arte moderna di Torino; Pannocchie al sole, 1908, Roma, coll. priv.; Sull’aia, 1910 e 1914, Roma, coll. priv.) e per scene domestiche che sembrano essere debitrici di certa pittura toscana, da Adriano Cecioni a Telemaco Signorini a Silvestro Lega (Interno, 1904, Roma, coll. priv.), stilisticamente il pittore accentuò la tendenza alla geometrizzazione e alla semplificazione delle forme; una tendenza che diventò topica negli anni Venti, quasi in anticipo su certe soluzioni del cosiddetto Ritorno all’ordine. Nell’ambito dell’illustrazione, nel 1913 collaborò con alcuni disegni alla realizzazione del Vangelo dei piccoli di Giuseppe Gabrielli.
L’interesse per il paesaggio rimase costante anche dopo la morte di Costa (1903). In particolare furono alcune vedute mattutine eseguite in Romagna (le più note sono tre: Alba Adriatica, Rimini, coll. priv.; Sorge il mattino, 1910, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna; Sorge il mattino [Alba adriatica], 1912, Roma, coll. priv., accostabili, queste ultime, anche al dipinto Vespero, 1902, in coll. priv.), e alcune vedute cittadine di Firenze (1914), Rimini (1910) e Roma (1916, 1920, 1928), conservate in raccolte private, a caratterizzare l’arte di quegli anni. Ciò che traspare nei dipinti della maturità è una visione lucida e cristallizzata che si fa più radicale nel corso degli anni fino a sfociare in vedute composte quasi da puri volumi (Sul Palatino, 1916, Tokyo, palazzo imperiale e Il Palatino, 1926, coll. priv.; Le cupole di Roma, 1928, Roma, coll. priv.) e che per certi versi precorrono esiti della Scuola romana.
La presenza di Pazzini alle Esposizioni nazionali – a Roma, oltre alle varie Mostre degli amatori e cultori e di In Arte Libertas, partecipò alle Biennali romane (1921, 1923, 1925) e alle prime Quadriennali romane – fu molto intensa e apprezzata dalla critica (Jervis, 1991). In particolare, nel 1901 vinse alla IV Biennale di Venezia una medaglia d’oro per Pace e Ore tranquille, a pari merito con Enrico Coleman, mentre nel 1926 l’Associazione artistica internazionale lo premiò per Le laudi della sera, in occasione della Mostra per il centenario francescano.
Nel 1912 ebbe una prima personale a Roma alla Galleria d’arte Bragaglia e nel 1922 a Milano, alla Galleria Pesaro. I riconoscimenti in vita continuarono nel 1923 quando fu nominato accademico di merito all’Accademia di belle arti di Perugia e nel 1925 accademico d’onore all’Accademia di S. Luca, per la quale dipinse l’Autoritratto dello stesso anno.
Lasciata Roma negli ultimi anni di vita per tornare alla nativa Verucchio, morì il primo aprile del 1937.
Fonti e Bibl.: A. Colasanti, L’Esposizione internazionale d’arte in Venezia. La pittura, in L’Arte, IV (1901), pp. 263-71, in partic. p. 266; V. Pica, L’arte mondiale alla IV Esposizione di Venezia, Bergamo 1901, p. 45; O. Rossetti Agresti, Giovanni Costa: his life, work and times, London 1907, pp. 210, 212, 221; F. Sapori, La prima mostra Biennale d’arte in Roma, in Emporium, LIII (1921), pp. 184-119, in partic. pp. 184, 186-188; Mostra personale di N. P.: maggio-giugno 1922 (catal.), a cura di T. Bencivenga, Milano 1922; E. Somaré, Mostra personale di N. P., in L’Esame, I (1922), 3, pp. 198-200; I Postcostiani, in XCIV Esposizione della Società amatori e cultori di belle arti, Roma 1928, pp. 18, 20 s., 25 tav. 62; E. Somaré, Storia dei pittori italiani dell’Ottocento, Milano 1928, II, pp. 77, 192 s., tavv. 194-195; U. Ojetti, La pittura italiana dell’Ottocento, Milano 1929, p. 44; C.E. Oppo, Un vecchio artista: Pazzini, in La Tribuna, 15 maggio 1929; C.E. Oppo, In morte di N. P., in La Tribuna, 3 aprile 1937; A. Pazzini, La vita di N. P. pittore, in Libertas Perpetua (Museum), n. 2, V (1937), pp. 101-137 (poi in Pasini 1979, pp. 87-115); A. Pazzini, Ricordi romani di N. P., in L’Urbe, III (1938), 5, pp. 14-24; P. Bucarelli, Pazzini al “Secolo” in L’Indipendente, 15 aprile 1945; L. De Libero, N. P., in VI Quadriennale Nazionale d’arte di Roma, Roma 1951, pp. 166-168, tav. CCVIII; V. Martinelli, Paesisti romani dell’Ottocento, Roma 1963, pp. 79 s.; P.G. Pasini, N. P., pittore, Rimini 1979; Tecnica ed elegia. L’atelier di N. P. (catal., 1982-1983), a cura di G. Milantoni, Rimini 1982; A.V. Jervis, N. P., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1991, pp. 955 s.; B. Gasperini, in La poesia del vero. Pittura di paesaggio a Roma tra Ottocento e Novecento da Costa a Parisani (catal., Macerata-Camerino), a cura di G. Piantoni, Roma 2001, pp. 58 s., 134; B. Gasperini, in Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea, Roma. Catalogo generale delle collezioni, a cura di C. Virno, Roma 2004, II, pp. 412-415, 578; M. Piccioni, in Da Corot ai macchiaioli al simbolismo: Nino Costa e il paesaggio dell’anima (catal., Castiglioncello), a cura di F. Dini - S. Frezzotti, Milano 2009, pp. 254 s., n.76.