NORMANNI
– Famiglia dell’aristocrazia romana che raggiunse i suoi massimi livelli di prestigio, influenza e ricchezza nel corso del secolo XII.
Eccezionalmente nel panorama romano del tempo, i Normanni, al pari dei Colonna, mantennero la posizione raggiunta in precedenza per tutto il XIII secolo e anche oltre, collocandosi in quel ristretto manipolo di potentissimi lignaggi romani duecenteschi solitamente contraddistinti con l’epiteto di baronali. A partire dalla fine del secolo XIII, pur conservando ancora un elevato livello di prestigio sociale, il casato, suddividendosi in rami dalle differenti fortune, iniziò a mostrare i segni di un lento decadimento.
Il nome della famiglia sembrerebbe evocare origini non romane del suo capostipite, per il quale è stato ipotizzato che discendesse da guerrieri normanni stabilitisi a Roma negli anni del pontificato di Nicola II (1059-1061), ma si tratta solamente di una supposizione. In realtà le origini della famiglia si possono ricostruire con una qualche certezza solamente a partire dalle menzioni di Stefano, del quale si conosce l’impegno profuso nelle vicende della città di Roma e del papato nel corso della prima metà del secolo XII. Con i suoi fratelli e i suoi accoliti, egli fu uno dei più influenti sostenitori dell’antipapa Maginolfo-Silvestro IV, eletto nel novembre 1105 in contrapposizione a Pasquale II; poi, schierato con i Pierleoni e contro la fazione imperiale capeggiata dai Frangipane, difese il pontefice Gelasio II (1118-1119). Risoltasi la vicenda in suo favore, quest’ultimo, lasciando Roma alla volta della Francia, lo nominò «princeps et clipeus omnium pariter curialium», «protector ac vexillifer» della Chiesa e gli affidò la «custodia Urbis» (Liber Pontificalis, 1892, II, p. 317).
Nel 1160 uno Stefano Normanni (non si può dire con esattezza se si trattasse dello stesso personaggio o di un suo omonimo ascendente o collaterale) appare parteggiare per l’antipapa Vittore IV, la cui elezione era stata voluta e sostenuta dell’imperatore in contrapposizione a quella di Alessandro III.
Da Stefano discese il solo ramo della famiglia che mantenne il livello allora raggiunto e che ancora nel 1224, molti decenni dopo la sua morte, continuava a essere indicato come quello dei filii domini Stephani Normanni (Bartoloni, 1948, p. 114).
Alle notizie sul notevole rilievo della famiglia nel corso del secolo XII non corrispondono informazioni certe sui suoi domini territoriali. Le prime notizie sicure al riguardo risalgono al 1193, a quando datano due documenti di notevole importanza per la vicenda del casato (Le Liber censuum..., 1889, I, pp. 424 s.; Bartola, 2003) il primo, del 3 luglio, testimonia come i filii quondam Stephani Normanni fossero riusciti a entrare in possesso anche se solo temporaneamente del castello di Cerveteri, ottenendolo in pegno dagli eredi di Pietro Latro; l’altro, anteriore di soli due giorni, è la locazione fino alla terza generazione di Castel di Guido, anche questo situato a non molta distanza dalla via Aurelia, eseguita dal monastero romano dei Ss. Andrea e Gregorio al Celio a favore di Normanno e di suo nipote Giovanni, nonché di Stefano e Alberto, figli del defunto Stefano Normanni. Il dettato dell’atto di locazione non risulta chiarissimo in proposito, ma dal confronto con altre testimonianze riesce facile ipotizzare che Normanno, Stefano e Alberto fossero i figli di Stefano Normanni e che Giovanni fosse figlio di un altro fratello defunto.
È altrettanto possibile supporre che alcuni personaggi, quali Alberto di Stefano, e i suoi possibili fratelli e cugini Giovanni, Stefano, Leone e un altro Giovanni, che compaiono in atti precedenti, degli anni 1128 e 1177 (parimenti un tempo conservati nell’archivio del cenobio dei Ss. Andrea e Gregorio e ugualmente riguardanti Castel di Guido) si possano ascrivere al casato dei Normanni.
Gli stessi figli di Stefano, insieme a Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata, sono ricordati nel 1201 tra i signori dei castra confinanti con quello di Boccea, i cui diritti spettavano al capitolo della basilica di S. Pietro in Vaticano.
Nel settore della Campagna romana compreso tra la costa tirrenica e le colline dell’entroterra, a cavallo del percorso della via Aurelia, i discendenti di Stefano Normanni svilupparono tra la fine del secolo XII e i primi decenni del successivo una ampia signoria territoriale composta di almeno nove castelli-villaggio (castra) e una villa, pur avendo perduto il controllo su Cerveteri. Promotore di questo radicale riassetto territoriale fu un nipote di Stefano Normanni, Alberto figlio di Giovanni, vero capo della famiglia, quando questa sembrava essersi ridotta nuovamente a un unico ramo significativo. Di Alberto sappiamo che ricoprì l’importante ufficio comunale di magister edificiorum Urbis nel 1238; il suo testamento, dettato nel febbraio 1254, fornisce una grande quantità di dati su di lui, sulla sua ricchezza, sul suo grande patrimonio urbano (situato sia nel rione Trastevere sia nel rione Ripa, alle due estremità del pons Sancte Marie, oggi noto come Ponte Rotto) e suburbano e su alcune modalità della sua amministazione, oltre che sulla sua spartizione tra i suoi due figli maschi. Con riferimento ai soli castra con i loro territori, alla morte di Alberto, a Giovanni Stefano toccarono in eredità Ceri, Palo, Luterno, Castel Campanile e Castel Lombardi, nonché imprecisabili diritti sul cenobio rurale di S. Giovanni Petrioli; a Stefano andarono Castiglione (Torrimpietra), Prungiano, Testadilepre, Castel di Guido e la villa di San Giorgio.
Dopo la morte di Alberto, dai suoi due figli maschi derivarono distinti rami del casato, che tuttavia non giunsero mai a un completo distacco e a contrapposizioni radicali. Uno dei due rami fu contraddistinto con l’epiteto de Cere o Ceresis, così denominato per il possesso del castello di Ceri, l’altro invece in alcune fonti è indicato come de Castiglione, per la signoria esercitata sull’omonimo castrum; comune a entrambe le linee di discendenza fu il nuovo nome della famiglia: Alberti o Alberteschi, derivante ovviamente dalla discendenza di Alberto.
Negli anni della marcata polarizzazione politica dell’aristocrazia romana che appoggiava o si contrapponeva a Carlo d’Angiò o a Manfredi e poi a Corradino, i Normanni Alberteschi sostennero apertamente gli Svevi, secondo il loro tradizionale schieramento ghibellino. Stefano di Alberto è esplicitamente ricordato tra i principali fautori romani di Corradino; perse la vita nella battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268 combattendo contro l’esercito angioino.
L’unica figlia nota di Alberto, Adelasia, andò in sposa a Pietro Romani, esponente di un altro importante casato romano del tempo. Anch’egli grande sostenitore dei due discendenti di Federico II, partecipò alla battaglia di Tagliacozzo e perì pochi giorni dopo a causa delle ferite riportate negli scontri.
I Normanni sembrano aver ricevuto un colpo molto duro dalla definitiva sconfitta degli Svevi, a favore dei quali si erano schierati. A partire dalla metà del Duecento, pur essendo sempre ricordato nelle liste dei barones Urbis inserite negli statuti della città di Roma e pur continuando a indirizzare la sua politica di alleanze matrimoniali esclusivamente nell’ambito delle famiglie baronali, il casato ebbe una posizione sempre più di secondo piano. Nessuno dei membri della famiglia votati alla carriera ecclesiastica riuscì a raggiungere quei ruoli di prestigio (pontefici, cardinali, vescovi, prevosti, tesorieri e così via) che rappresentarono uno dei capisaldi dell’affermazione degli altri casati baronali. Solamente due Normanni vennero chiamati a ricoprire la massima magistratura del Comune capitolino. Rispetto a quella perseguita dagli altri casati, anche la capacità di espansione territoriale risultò allora di fatto inconsistente, se si fa eccezione per l’incastellamento della villa di San Giorgio, prima del 1308, per l’acquisto del castrum di Civitella-Torricella intorno al 1333 e per la fondazione di un nuovo castello, il castrum Novum castri Campanilis (prima menzione nel 1346).
Il ramo della famiglia detto Ceresis o de Cere si articolò in tre linee di discendenza, che tuttavia tra il 1334 e il 1348 giunsero all’estinzione. I loro cospicui beni immobili in parte furono incamerati da alcuni istituti religiosi, ma per una parte ancora più consistente confluirono nel patrimonio dei loro ormai lontani parenti del ramo familiare detto de Castiglione. Questo secondo ramo rimase riunito più a lungo dell’altro. Dopo la morte di Stefano sul campo di battaglia nel 1268 e di suo figlio Giovanni, i tre figli di quest’ultimo, Normanno, Alberto e Stefano, addivennero a parziali suddivisioni dei domini familiari solamente nel 1308 e nel 1336. Morto Alberto senza lasciare eredi maschi, i rami generati dai suoi due fratelli riuscirono a restare solidali per alcuni decenni, soprattutto relativamente ai loro domini territoriali. Poi anche questa parte superstite dell’antico casato subì una gravissima crisi genealogica: uno dei due rami (quello di Stefano) si estinse poco dopo il 1379, con la scomparsa di Alberto di Pietro; l’altra linea terminò con le tre figlie di Giovanni di Stefano di Normanno, eredi dell’intero patrimonio familiare superstite, tutte andate in sposa a esponenti della potente famiglia dei conti d’Anguillara.
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