NORMANNI
. Nome. - Normanni (northman "uomo del nord") si chiamano dapprima gli Svedesi, i Norvegesi e i Danesi, le tre popolazioni scandinave che, alquanto confuse, abitavano, nel più alto Medioevo, le regioni dell'Europa settentrionale, che tuttora portano il loro nome. Più comunemente, questo nome (nella forma latina: northmannus, normannus) stette poi a indicare i predoni, in gran parte norvegesi, che, scorrazzando dallo scorcio del sec. VIII per i mari del nord, si stabilirono in Francia, nell'attuale Normandia, donde, adottati lingua e costumi francesi, mossero nel sec. XI le schiere che conquistarono l'Inghilterra e l'Italia meridionale. In conseguenza, anche se il fondo psicologico più riposto di queste genti restò, dopo i contatti con altri popoli, sostanzialmente identico, una diversità, e non lieve, esiste fra di loro. Ma qui, seguendo l'uso invalso, si continuerà a denominarle indistintamente Normanni, aggiungendo che nelle fonti sogliono esser dette anche vikinghi, da wiking (forse "guerriero"), che precisamente è il nome che gli stessi Normanni dànno al capo d'una loro spedizione marittima.
Organizzazione politico-sociale. - Germani di stirpe, avevano l'anima germanica, specialmente nel fiero sentimento dell'indipendenza individuale. Di vivace intelligenza e di corpo robusto, erano armati d'un indomito coraggio e d'un rude spirito d'intraprendenza. Coraggio e forza erano per i Normanni gli unici mezzi per raggiungere tutte le vittorie, onde nel loro Olimpo (ch'è l'Olimpo germanico, con Odino re degli dei) un posto speciale ha Thor, il dio della forza.
Astuzia, avidità di guadagni e di dominio, tendenza all'imitazione in ogni cosa, prodigalità e avarizia a un tempo: tale il carattere dei Normanni che si erano stanziati in Francia. Non dissimile il carattere dei loro antenati; sol che la permanenza in Francia, a contatto d'una società più evoluta, li aveva resi abili nell'adulare, dediti allo studio dell'eloquenza, riluttanti a ogni autorità che non fosse quella della legge, severamente applicata da un energico capo.
Peraltro, prima ancora delle grandi emigrazioni, il predominio della forza sopra le altre qualità era, fra i Normanni, riconosciuto anche dalla legge. L'uomo debole non aveva diritto di possedere beni, perché non poteva difenderli. La vittoria era il segno infallibile dell'approvazione degli dei. Ciò non impediva che sentimenti delicati illuminassero quegli animi semibarbari: l'amicizia, p. es., legava saldamente, quasi patto tra fratelli, coloro che si lanciavano alle stesse avventure.
Famiglia e organizzazione statale rispecchiavano codesta fisionomia morale. In seno alla famiglia normanna l'autorità del padre era grandissima: se la donna offriva, secondo le saghe norvegesi, il suo cuore come premio della vittoria, in epoca più antica essa faceva parte del bottino di guerra. E al più intrepido nella guerra e al più abile a condurre i suoi alla vittoria spettava il potere: i commilitoni glielo conferivano per acclamazione. Comunque, in un popolo dedito prevalentemente alla caccia e alla pesca, un forte potere supremo non poteva sorgere, e non sorse. I singoli capi delle varie tribù, o piccoli regni, in cui il paese era suddiviso, erano gelosi dei loro diritti e tanto potenti da non sopportare che un altro s'imponesse troppo su di loro, onde il re era soltanto il primo fra i guoi concittadini e, soprattutto, un sacerdote rappresentante gli dei. Situazione analoga, in sostanza, a quella dei grandi vassalli rispetto ai proprî sovrani nell'Europa feudale di quel tempo.
Né mancava fra i Normanni, anteriormente alle loro imponenti irradiazioni etniche, una certa cultura. Dai reperti archeologici, caratteristici anche per l'ambiente geografico da cui provengono, apprendiamo come esistesse in mezzo a loro anche una certa arte statuaria e come le spiccate attitudini che avevano per la navigazione favorissero in loro una particolare predilezione per lo studio degli astri.
Immigrazioni. - Difatti la povertà delle sedi, l'eccesso della popolazione, i precarî proventi che ricavavano dalla pastorizia e dalla meschina agricoltura, non praticata dai capi, che ritenevano confacente alla loro nobiltà solo la carriera delle armi, portarono i Normanni sul mare: è il primo popolo che, animato da un caratteristico spirito di avventura, si dà nel Medioevo alla navigazione a scopo di commercio (esportazione di cuoi, pellicce, pesci essiccati e altre merci prelevate in Lapponia) o, più frequentemente, di preda. Su agili flottiglie composte di imbarcazioni capaci ognuna dai quaranta agli ottanta uomini e sotto il comando d'un capo, eguale a loro nei diritti, i Normanni trafficarono dapprima sul Kattegat e lo Skagerrak; poi, bordeggiando nel Baltico e nel Mar del Nord, penetrarono finalmente nella Manica e nell'Atlantico, spinti dal loro coraggio a sempre più lontane imprese. I torbidi intestini, che nel sec. IX lacerarono il paese e portarono, con l'abbassamento dell'aristocrazia, alla formazione di tre forti e distinte monarchie dei Norvegesi, dei Danesi e degli Svedesi, sospinsero moltissimi a cercare terre ricche e più atte a potervisi stanziare. Guerrieri coraggiosi, non meno che arditi marinai, penetravano, risalendo il corso dei fiumi, nell'interno dei paesi; ivi, armati di spada, di lancia e di un'ascia a doppio taglio, protetti da elmetto, scudo e cotta di maglia di ferro, combattevano a piedi o a cavallo, saccheggiavano, uccidevano, per ritornare, fra il terrore delle popolazioni, al loro punto di partenza, a svernare e a preparare nuove spedizioni e razzie. Pagani, trovavano nelle chiese e nei monasteri la preda più grossa e agognata. Non si trattava, invero, di invasioni di masse, ma di spedizioni di bande, alle quali tenevan dietro la colonizzazione delle terre occupate e la fusione coi vinti: poiché questi, più evoluti e civili, facilmente si assimilavano i Normanni, dando loro lingua, religione, costumi. Fra i popoli germanici, nessuno più di loro presentò maggiore adattabilità alle forme d'una civiltà superiore; tanto vero ch'essi si confusero gradatamente, dovunque, col popolo che pure avevano soggiogato. Adattabilità, però, non tutta passiva, poiché, come già gli Arabi rispetto alla cultura bizantina che adattarono alle proprie tendenze e diffusero nei paesi che conquistarono, così i Normanni fecero, sì, loro gli usi e i costumi delle varie nazioni in mezzo a cui venivano, ma questi usi e costumi rafforzavano, spesso modificavano e, come tali, li introducevano nelle terre ulteriormente da loro occupate.
Imprese e conquiste normanne. a) Nell'Europa orientale e in terre e isole oceaniche. - Dal principio del sec. IX, s'incontrano Normanni, col nome di vareghi (dall'ant. nord. vár "voto", cioè legati a un capo con giuramento di fedeltà) o di ros (come li chiamavano i Finni), per tutta la Pianura Sarmatica. Spinti dallo spirito di avventura e di conquista proprio della razza, irrompono violentemente fra le tribù slave, si stanziano in parecchi punti e, due secoli dopo, hanno già creato varî principati, fra cui i regni di Novgorod a nord e di Kiev a sud, che divenne il più importante di tutti. Da Kiev discendono, lungo il Dnepr, su barche grossolane, nel Mar Nero e, nell'886, assediano Costantinopoli. Da allora, una parte di codesti Normanni fu attratta nell'orbita politica dell'impero bizantino, nel cui servizio molti entrarono come guardia del corpo, e in tale qualità, o confusi fra le truppe imperiali, difesero l'impero dai Turchi e da altri nemici, non esclusi i Normanni. Un'altra parte venne invece assorbita dagli Slavi soggetti. Comunque, perduto il contatto con le terre di origine, lo perdettero altresì con l'Europa occidentale, verso cui si venivano irradiando altri Normanni.
Infatti, sul tramonto del sec. VIII, pirati norvegesi apparvero in Irlanda, ove furono seguiti, a fiotti continui, da altri loro conterranei. Si stabilirono sulle coste, ove costruirono porti (Dublino, Wexford, Waterford, ecc.) e donde, errando sotto il cielo brumoso per i mari del nord, parecchi di essi approdarono, nell'874, a una grande isola, già raggiunta da monaci irlandesi, la battezzarono col nome che ad essa è restato (Iceland "terra del ghiaccio") e vi crearono una repubblica di agricoltori a tendenze aristocratiche. Di lì, vagando ancora senza mete determinate, toccarono, nel 986, la Groenlandia, che presero a colonizzare; e, intorno al 1000, le coste settentrionali del Labrador, nell'America Settentrionale, ove fondarono colonie che ebbero però vita non lunga. Tali escursioni e stanziamenti dei Normanni in regioni del Nuovo Mondo (le dissero Vinland dalle vigne ubertose che vi trovarono) ricordano e decantano le saghe scandinave; ma di essi non restava più alcun ricordo allorché Colombo scoprì le vie per quelle terre. Intanto altri Normanni, girando il Capo Nord e spingendosi verso nord-est, avevano già raggiunto le coste del Mar Bianco, ove nuovi campi si aprivano alla loro febbrile intraprendenza.
b) In Francia. - Le coste settentrionali della Francia furono visitate dai Normanni, vivente ancora Carlomagno. Vane le misure ch'egli escogitò, più vane si rivelarono quelle dei suoi imbelli successori, allorché, crescendo il caos nell'impero carolingio, i Normanni intensificarono le incursioni e mostrarono chiaro il proposito di fissarsi, qua e là, nelle varie contrade. Gli sbocchi del Tamigi, della Senna, della Loira, del Rodano offrivano allora altrettanti punti di penetrazione nell'interno; e città e interi territorî caddero man mano in potere degl'invasori. Invano vescovati e monasteri tentarono resistere: essi dovettero assoggettarsi e pagare taglie e tributi. Invano Carlo il Calvo pensò di assoldare bande normanne per lanciarle contro altre bande; impotenti le forze regie, la resistenza assunse un carattere prevalentemente locale, poiché nei vecchi castelli gallo-romani, superstiti alle invasioni dei secoli IV e V, si raccolsero, in comune difesa, i contadini e i grossi proprietarî terrieri. Ciò favorì lo sviluppo urbano, fino allora troppo lento, in Francia; ma non valse ad arginare l'ondata conquistatrice dei Normanni. I quali, saccheggiata Rouen nell'841, presa Nantes nell'843 e 852, Bordeaux nell'845 e 848, si potevano presentare dinnanzi a Parigi per ben due volte, nell'845 e nell'856. Nella seconda metà del sec. IX, le invasioni e le occupazioni si moltiplicarono. A nulla valsero i ponti fortificati costruiti da Carlo il Calvo, per impedire alle flottiglie normanne d'internarsi; né l'istituzione di grandi unità militari con un unico capo (Roberto il Forte, e, più tardi, suo figlio Eudes, a Parigi, ecc.); né qualche successo campale (Angers, 875). Tanto meno valsero gl'indecorosi negoziati e il denaro copiosamente profuso agl'invasori. Essi strinsero come in un cerchio di ferro l'impero stremato, poiché tutte le vie fluviali del Mare del Nord, dell'Oceano e del Mediterraneo erano aperte alle loro invasioni.
In quest'ultimo mare, essi penetrarono per lo stretto di Gibilterra e saccheggiarono, oltre le coste della Spagna e del Marocco, anche Pisa e Luni in Italia. Lo sfacelo appare irreparabile, alla vigilia della deposizione di Carlo il Grosso. Le depredazioni normanne si confondono con gli assalti di altri nemici alle frontiere occidentali. Nell'886 l'imperatore, assalito, ritiene di poter allontanare i 40 mila Normanni, che, incontrastati, s'erano per la terza volta presentati dinnanzi a Parigi, accordando loro di saccheggiare la Borgogna e dando al capo di essi, Sigfrido, una grossa somma. Ciò, invece, doveva essere l'ultimo vergognoso atto d'un regno infelicissimo. Poi qualche tregua, in virtù degli sforzi di re Eudes, che i grandi di Francia avevano dato per successore a Carlo il Grosso. Ma alla sua morte (1° gennaio 898), nuove offensive in grande stile e vaste occupazioni in Borgogna e in Aquitania, senza speranza di rimedio. È del 911 la convenzione di Saint-Clairsur-Epte, con cui Carlo il Semplice concedeva a Rollone, uno dei più potenti capi normanni, le terre ch'egli era venuto occupando lungo il corso inferiore della Senna. Il fatto, come si vede, aveva i suoi precedenti: significava, nella stanchezza generale, la sanzione d'una presa di possesso d'un territorio da un pezzo avvenuta.
Così nacque nella Neustria quel ducato che, dai conquistatori, si disse Normandia e che s'ingrandì ulteriormente di Bayeux, del Cotentin e dell'Avranchin. Grande fu l'importanza di esso, in quanto divenne il crogiolo entro cui i Normanni si fecero francesi nei pensieri, nel linguaggio, nei costumi, nei sistemi giuridico-sociali. Le istituzioni feudali, con cui vennero a reggersi, essi introdussero poi ovunque migrarono. Convertiti al cristianesimo, non solo fondarono grandi abbazie, che furono faro di cultura e di civilizzazione in Normandia, ma associarono all'innato spirito d'avventura un ardente sentimento religioso, che li fece paladini della fede nelle ulteriori imprese contro pagani e musulmani. Ma tutto ciò, più che cancellare, raffinò gli originarî istinti della stirpe: in realtà, il "normanno" non sostituì del tutto l'anteriore "uomo del nord", anche perché l'ardore del neofita ben s'innestava all'antico spirito d'avventura e di conquista proprio dei figli della Scandinavia. Lo comprovano le contemporanee imprese in Inghilterra e nell'Italia meridionale, che fin dal sec. XI furono riguardate come l'epopea dell'invitta "nazione" normanna in terra di Francia. In codeste imprese essi portarono un impeto, che non era diverso da quello che due secoli innanzi aveva sospinto i loro antenati alla ricerca di sedi per il nord d'Europa. Gli "uomini del mare" erano ora gli "uomini della terra": scaltri, irrefrenabili, riluttanti a ogni disciplina sino a quando una mano forte non l'avesse loro imposta, inclini all'imitazione d'ogni forma di vita civile, litigiosi e cavillosi al segno che legisti normanni escogitarono, con abilità sorprendente, tutto un cumulo di sottigliezze legali per convalidare le aspirazioni di Guglielmo di Normandia alla corona d'Inghilterra: tali i Normanni che dalla Francia si lanciarono nei nuovi vasti campi d'azione, la Gran Bretagna e l'Italia meridionale, per lasciarvi di loro un'orma profonda.
c) In Inghilterra. - A varie riprese, dal sec. VIII in poi, Danesi e Norvegesi martellavano sulle coste della Gran Bretagna e vi s'infiltravano. Le guerre civili insanguinanti i loro paesi ve li sospingevano; quelle del regno anglosassone sembravano attrarveli. Rapporti multiformi dovevano frattanto sorgere fra Anglosassoni e Normanni, sia scandinavi o danesi, sia francesi. La natura e la storia li avvicinavano, fra traffici e piraterie, fra tregue e ostilità. I regni d'Inghilterra e di Norvegia raccolse nelle sue mani Canuto re di Danimarca, figlio di Sveno, che nel 1013 gli Anglosassoni avevano riconosciuto come loro sovrano. Anche se la grande monarchia non sopravvisse a Canuto, la penetrazione normanna in Inghilterra non fu arrestata: ché anzi, l'intensificarsi delle relazioni degli Anglosassoni con i Normanni di Francia spianò proprio a costoro le vie della definitiva conquista politica. Dichiarandosi erede di Edoardo III il Confessore (1042-1066) e innalzando, a conferma e sostegno di tali diritti, lo stendardo inviatogli dal papa Alessandro II, Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, batteva a Hastings, il 14 ottobre 1066, Aroldo, ultimo re anglosassone: una nuova era s'iniziava per la storia dell'Inghilterra.
Da allora la grande isola dell'oceano divenne veramente europea. Essa ebbe dal Conquistatore una nuova struttura politico-sociale, che risultava dalla trasformazione delle preesistenti istituzioni anglosassoni in altre più rispondenti alle esigenze del nuovo stato e più conformi ai modelli d'oltre-Manica, ossia le istituzioni francesi. Alla fusione dell'elemento normanno (o "franco", come si disse) con quello inglese, che già aveva assorbito l'elemento danese (la maggiore resistenza i Normanni di Francia incontrarono proprio nella zona più largamente danese), molto giovò la saggezza politica di Guglielmo, il quale, non facendo distinzione fra vincitori e vinti, instaurò su gli uni e su gli altri un governo forte e centralizzato. Prevalendo in lui l'amore per il bene pubblico sul proprio sentimento nazionale, e avendo in pari tempo interesse a consolidare un dominio acquistato con tanta rapidità e con la sola forza delle armi, non solo si comportò con molta imparziafità - come nella distribuzione delle terre quale si rileva dal Domesday Book, o catasto generale, all'indomani della conquista -, ma tenne a uniformarsi a certe formalità locali: il che attenuò, fin da principio, la distinzione fra conquistatori e conquistati, al segno che i Normanni in Inghilterra passavano, alla fine del sec. XII, per Inglesi, e il nome di Guglielmo divenne popolare. Prima ancora che un'altra grande casata feudale francese, con Enrico Plantageneto, signore, per dippiù, di Normandia, salisse sul trono del Conquistatore (1153) la monarchia normanna d'Inghilterra assoggettava il paese di Galles, la Scozia, le isole Færøer e l'Islanda, e non senza appetito aguzzava lo sguardo di là dalla Manica, in Francia, quasi come a terra propria. Gli è che francesi erano la lingua della corte e della nobiltà, la cultura e la civiltà. Questo "francesismo", vera egemonia spirituale del paese d'oltre-Manica nell'Inghilterra, durò fino alla guerra dei Cent'anni; l'esuberante e aggressiva politica dinastica di Edoardo III riusciva a liquidarlo. Ai tempi suoi, il processo di fusione spirituale delle varie stirpi immigrate nella Gran Bretagna poteva dirsi compiuto.
d) Nell'Italia meridionale e in Sicilia. - In nove stati (la Sicilia musulmana, la Puglia e la Calabria bizantina, i principati longobardi di Benevento e di Salerno e la contea di Capua, i ducati di Napoli, di Gaeta, di Amalfi e di Sorrento) era divisa l'Italia meridionale, quando vi apparvero i Normanni. Ma varia e profonda era la crisi che corrodeva questi stati, consunti da secolari rivalitì e guerre reciproche, aperti ad egemonie e a minacce esterne, incapaci di rinsanguarsi con le fresche e multiformi energie, che, prodotto d'una latente rinascita, affioravano qua e là nel paese. Più acuto era il travaglio nelle regioni soggette ai Bizantini, invisi e per l'esoso fiscalismo e per la loro qualità di stranieri: onde gravi rivolte, specialmente in Puglia, agl'inizî del sec. XI. Tra i ribelli che Melo di Bari capeggia nella più vasta di quelle rivolte, troviamo dei Normanni.
Poco qui preme come vi siano capitati, se pellegrini o venturieri: l'importante è che, da quel momento, mentre la Normandia, povera, sovrappopolata e discorde, spinge all'emigrazione i suoi figli, l'Italia meridionale li attira con la fama delle sue terre ubertose e con l'eco delle lotte locali, da cui è facile trar profitto. Difatti sono, per lo più, mercenarî; combattono al soldo di Enrico II e di Corrado II, che i moti antibizantini chiamano a sostegno dei teorici diritti dell'impero occidentale sul Mezzogiorno, o dei principi longobardi, o degli stessi Bizantini. Senza scrupoli, rapaci, incuranti della parte a cui arride il successo, amano solo il loro tornaconto; servono oggi per essere padroni domani. Desiderio cocente dei capi (cadetti, a cui il sistema feudale franco, a base d'indivisibilità e di maggiorascato, non dava nulla in Normandia) è di procurarsi un pezzo di terra per inserirsi direttamente nell'arruffato giuoco delle forze politiche meridionali. Il primo ad appagarlo fu Rainulfo Drengot, capo d'una banda al soldo del principe di Capua; a lui, nel 1030, Sergio IV, duca di Napoli, dava la terra di Aversa, senza supporre che gli eredi di Rainulfo sarebbero da essa arrivati al possesso del principato di Capua. Ma solo i fratelli Altavilla (Hauteville), che, cadetti d'una numerosa famiglia di cavalieri, eran venuti anche loro in Italia a cercarvi fortuna, e precisamente Roberto il Guiscardo, e Ruggiero, dovevan crearsi una signoria che si sarebbe estesa, a grado a grado, su tutto il Mezzogiorno. Nel 1071, il Guiscardo, impadronendosi di Bari, cacciava finalmente i Bizantini dalla Puglia e vi portava a termine le conquiste che quarant'anni prima il fratello Guglielmo Braccio di ferro, rottosi coi Bizantini presso cui s'era arruolato, aveva iniziato da Melfi, chiave della Puglia, e quivi i suoi commilitoni lo avevano riconosciuto loro conte. Nel 1077, conquistando Salerno e annientando l'omonimo principato, egli dava una capitale a quel ducato di Puglia e di Calabria, il cui possesso, in diritto prima che in fatto, il papa Leone IX gli aveva riconosciuto all'indomani della battaglia di Civitate (1053), quando l'ardito normanno lo aveva sconfitto e fatto prigioniero. La Calabria e, in particolar modo, la Sicilia furono, invece, il teatro in cui rifulse il valore di Ruggiero. Interessi politici ed economici incalzavano i conquistatori nell'isola; la fede cristiana, nel cui nome Leone IX ve li aveva incitati, ne facevano dei crociati, come già altri Normanni combattendo contro i Mori in Spagna, o contro i Turchi in Oriente. Prima ancora che il secolo finisse, Sicilia e Calabria formavano una contea, che rappresentava il terzo stato normanno nell'Italia meridionale.
Fu il periodo eroico dei Normanni d'Italia, in cui risaltò il genio militare e politico del Guiscardo e di Ruggiero. Tanti nemici vennero abbattuti; città insofferenti e baroni riottosi, prostrati; nella Balcania, ove il Guiscardo portò le armi sia per assicurare la libertà del canale d'Otranto, necessaria al suo nuovo dominio, sia perché allettato dall'ambizione di assidersi sul trono dei basilei; a Roma, occupata da Enrico IV; nell'impresa di Ruggiero su Malta e Gozo, come, per ultimo, nella prima crociata, ovunque risonò l'eco delle vittorie normanne. In pari tempo, le conquiste si organizzavano, poiché i condottieri, distruggendo, creavano, e, creando, utilizzavano, con sano discernimento, tutti gli elementi che potevano assicurare ai loro organismi robustezza intrinseca; e in tale opera si vide l'intelligenza del paese collaborare coi conquistatori. Creazione cosciente, adunque, di uomini, che seppero porsi alla testa d'un popolo che si travagliava per risorgere, e lo condussero a insperata altezza politica. E che si trattasse di uomini, o meglio di condottieri, apparve chiaro nel periodo che corse dalla morte del Guiscardo all'incoronazione di Ruggiero II a re di Sicilia (1085-1130). I successori del primo duca di Puglia (Ruggiero I e suo figlio Guglielmo) non ne ereditarono le virtù; minorenne era Ruggiero II, quando scomparve il padre, il primo conte di Sicilia. Forze disgregatrici scattarono allora impetuosamente all'interno, e dall'esterno non meno gravi furono le minacce: città vaghe di autonomia; signori normanni e indigeni, turbolenti e sempre avidi di acquisti; dinasti spodestati ed esuli; Impero d'Oriente, Impero d'Occidente, papato, ciascuno con interessi proprî e fra loro in antitesi: tutta un'ibrida alleanza ai danni dell'eredità degli Altavilla. Poco mancò che essa non fosse travolta. Ma proprio quando l'intervento di Onorio II rese la minaccia più forte, apparve sulla scena una potente personalità, Ruggiero II. Emulo delle doti del padre e dello zio, egli debellò i suoi nemici con la forza della spada e la scaltrezza della politica.
Anno 1130: Ruggiero è incoronato re di Sicilia, col quale nome egli comprendeva non solo l'avita isola e il ducato di Puglia, tre anni prima ereditato dal duca Guglielmo, ma tutta l'Italia meridionale, nei confini che press'a poco di poi ebbe il reame di Napoli. Anno 1139: a questa realtà di diritto, sanzionata da un antipapa, Anacleto II, e da un papa, Innocenzo II, viene a corrispondere, in seguito alla caduta del ducato di Napoli, una realtà di fatto. Ruggiero II ha avuto ragione delle più ardue difficoltà. Dalle piccole e frammentarie conquiste iniziate un secolo innanzi dai primi Normanni apparsi nel Mezzogiorno, era sorto un regno vigoroso e pieno di energia espansiva verso l'Oriente, e una famiglia di avventurieri si era trasformata in una dinastia potente e temuta.
La civiltà siculo-normanna. - Potrebbe applicarsi ai Normanni nell'Italia meridionale ciò che Orazio diceva dei Romani rispetto ai Greci, ovvero ciò che si potrebbe dire dei Germani rispetto ai Romani. Ove si consideri il ritratto che di essi ci ha lasciato il loro conterraneo Malaterra, il cronista che ha narrato le loro imprese italiane, ove si pensi ai metodi con cui condottieri e gregarî portarono avanti cotali imprese, metodi che ad alcuni parvero non diversi da quelli che i Saraceni erano stati soliti usare anteriormente nella contrada, si conchiuderà che fu vanto dei Normanni la forza militare e l'accortezza politica che distrussero il secolare assetto politico del paese; ond'è naturale che questo, disorientato e sconvolto, gli fosse dapprima ostile, e che di poi, stupefatto e ammirato, si accostasse al conquistatore. Al quale, però, poteva e doveva dare ben più e ben altro dei mezzi materiali ch'esso gli estorceva per le necessità della vita e della guerra. Paese che conservava indelebile l'impronta di Roma ed era punto d'incontro dell'Occidente romano-germanico con l'Oriente arabo-bizantino, possedeva, col senso dello stato, tradizioni e istituti giuridico-politici, civiltà cittadina, cultura risonante delle più varie influenze, letterati, artisti, giuristi, marinai e soldati; elementi, insomma, inestimabili e insurrogabili per gli organismi statali che dovevano sorgere. Tutta questa realtà s'impose ai Normanni; e tutta, composta nell'armonia dell'insieme, noi la ritroviamo nello stato che unificò le varie conquiste e, in pari tempo, confuse e fuse le varie stirpi.
Monarchia, invero, feudale; ma l'autorità regia, conmpita, per influenza romano-bizantina, come derivante da Dio, fu grandissima. E ciò, se da un lato contribuì ad amalgamare i diversi gruppi etnici e a saldare tanti elementi diversi, dall'altro procurò, sul terreno ecclesiastico, una notevole indipendenza dalla curia allo stato intrinsecamente cattolico, e una larga e attiva tolleranza per le confessioni religiose professate nel paese. Identico spirito di conciliazione e di utilizzazione degli elementi vivi nei popoli assoggettati si riscontra nelle altre manifestazioni della nuova monarchia, nella politica, nel diritto, nell'arte. In questa geniale coordinazione di elementi diversi, in questo illuminato eclettismo spirituale, onde l'Italia meridionale conseguì un inobliabile periodo di prosperità politica, civile ed economica, molto giovò ai re normanni la collaborazione di uomini esperti che, diversi di stirpe, eran però tutti nati o vissuti a lungo nel paese, e dello stesso paese avvertivano l'ora nuova che incominciava nella sua storia.
Centro del nuovo stato fu la Sicilia, non tanto perché i Normanni di Sicilia avevano marciato, con Ruggiero II, alla conquista delle regioni della terraferma, occupate o no da altri Normanni, quanto perché Palermo fu la capitale del regno e perché dall'isola s'irradiò l'energia che segnò una svolta nella vita del Mezzogiorno. Certo, la Sicilia era stata restituita all'Europa, nel senso che, cessando il dominio musulmano, si ristabiliva fra essa e il continente la spezzata unità religiosa e culturale, ed era stata restituita soprattutto all'Italia qual'essa sarà per apparire nelle non lontane manifestazioni del suo idioma nazionale. Ma effetti più notevoli, nei riguardi dell'Italia meridionale, scaturirono dall'unità politica che la collegò all'isola, e dal sentimento monarchico che si radicò in entrambi. L'unità impedì il frazionamento municipale o feudale, comune al centro e al nord della penisola; l'istituto monarchico sopravvisse alla secessione del Vespro (1282) e riuscì a resistere, particolarmente nel regno continentale, a tutte le ulteriori tendenze disgregatrici, interne ed esterne; unità e monarchia costituirono le salde basi su cui doveva svolgersi, indipendentemente dalle varie dinastie, la vita del paese.
A tale complesso di cose i Normanni dettero l'avviamento, poiché non tardò molto, ed essi disparvero dalle terre da loro chiamate a nuovi destini. Se i cronisti meridionali del sec. XI chiamavano "Normanni" i seguaci degli Altavilla (in essi però l'elemento normanno era stato prevalente), nel sec. XII Ugo Falcando rare volte usa questo nome, e solo per indicare la casa regnante, di discendenza normanna (a corte soltanto si parlava francese), e in contrapposto ai varî "Siciliae populi", ossia Saraceni, Greci, Lombardi, Franchi non normanni. Come in Inghilterra, anche in Sicilia il popolo conquistatore si confuse coi conquistati. Sennonché, mentre in quella esisteva già, più in atto che in potenza, una nazionalità inglese capace di assimilarsi i Normanni penetrati sul suo suolo come per un'impresa nazionale; nell'isola del Mediterraneo, invece, non c'era ancora una nazionalità siciliana in grado di assorbire gli elementi etnici normanni che avevano seguito gli Altavilla. In Sicilia, quindi, come nell'Italia meridionale essi si confusero, grazie alla comunanza di religione e all'affinità di linguaggio e di costumi, prevalentemente con l'elemento latino, che preesisteva o che venne contemporaneamente con loro o posteriormente nel Paese. L'elemento latino, amalgamatosi, prevalse su tutti i gruppi etnici; e ne venne fuori una nazionalità siciliana, con tratti suoi peculiari, che sarà italiana. Ciò è già visibile al tempo di Federico II, imperatore e re: dalla Sicilia infatti e dalla corte di Federico provennero le primissime espressioni poetiche della letteratura italiana.
Restava dei Normanni il solo grande fatto storico della creazione d'un regno, per cui il Mezzogiorno d'Italia vedrà l'inizio d'una storia sua, che sarà storia europea e d'Italia.
Bibl.: La bibliografia sull'argomento è immensa. Ricorderemo soltanto le opere più importanti e le distribuiremo in due gruppi: porremo nel primo quelle relative all'organizzazione speciale politica ed economica dei Normanni e alle loro immigrazioni e stanziamenti nei varî paesi dell'Europa Settentrionale. Da queste opere si otrà risalire alle fonti, che, nelle loro più sicure edizioni, in gran parte di esse sono indicate:
1. J. Steenstrup, Études préliminaires pour servir à l'histoire des Normands et de leurs invasions, trad. francese, in Bulletin de la Société des antiquaires de Normandie, X (1882); id., Normannerne, voll. 4, Copenaghen 1876-1882; M. Depping, Histoire des expéditions maritimes des Normands, 2ª ed., Parigi 1843; P. Victor, Coup d'oeil sur les antiquités scandinaves, Parigi 1842; F. C. Dahlmann, Geschichte von Dänemark, voll. 3, Amburgo e Gotha 1840-43 (comprende anche la Norvegia); O. Montelius, Culturgeschichte Schwedens von den ältesten Zeiten, Lipsia 1906; A. Bugge, Die Wikinger, trad. ted. Hungerland, Halle 1906; A. Rambaud, Histoire de la Russie, 5ª ed., Parigi 1900; J. Revel, Histoire des Normands, voll. 2, Parigi 1918-19; G. B. De Lagrèze, Les normands dans les deux mondes, Parigi 1890; K. Weinhold, Altnordisches Leben, Berlino 1856; A. Olrik, Altnordisches Geistesleben, Heidelberg 1908; E. A. Freeman, The history of the Norman conquest of England, voll. 6, Oxford 1867-79; F. M. Stenton, William the Conqueror, Londra-New York 1908; V. Langlois, Rollos, Les Scandinaves en Neustrie, 1890; W. Vogel, Die Normannen und das fränkische Reich, Heidelberg 1906; V. Freville, Les Ducs de Normandie, Limoges 1872; Atti del Congrès du Millénaire Normand, Rouen 1911; D. Hume, History of England from the invasion of J. Caesar to the revolution of 1688, voll. 8, Londra 1754-61; A. Lahut, Histoire des ducs de Normandie jusqu'à la mort de Guillaume le Conquerant, 2ª ed., Parigi 1866; F. Kidder, The discovery of North America by John, Boston 1878; G. Gravier, Découverte de l'Amérique par les Normands au Xe siècle, Parigi 1874; F. W. Maitland, Domesday book and beyond, Cambridge 1907; P. Vinogradoff, English society in the XI century, Oxford 1908; A. Bugge, Westländische Einflüsse auf nordische und bes. norvegische äussere Kultur, Lebensweise und soziale Verhältnisse zur Wikingerzeit, in Abhandlugen der Akademie von Christiania, 1904; C. H. Haskins, The Normans in European History, Boston-New York 1915; id., Normandy under William the Conqueror, in American Historical Review, XIV (1922); A. Rambaud, L'empire grec au Xe siècle, Parigi 1870; Snorri Sturlason, Heimskringla or the lives of the Norse Kings, ed. da E. Monsen con trad. ingl. di E. Monsen e A. H. Smith, Cambridge 1932; G. Schlumberger, L'épopée byzantine à la fin du Xe siècle, voll. 3, Parigi 1896-1905; G. Diercks, Geschichte Spaniens von den frühesten Zeiten bis auf die Gegenwart, voll. 2, Berlino 1894-95; Dozy, Recherches sur l'histore et la littérature de l'Espagne au Moyen Âge, 3ª ed., Leida 1881; C. F. Keary, The Vikings im Western Christendom, ecc., Londra 1891; H. Prentout, La Normandie, in Revue de synthèse historique, Parigi 1918; si guardino, infine oltre ai volumi dei Mémoires de la Société des antiquaires de Normandie, anche gli Annales de l'histoire de France pendant l'époque carolingienne, nella Biblioth. de l'École des hautes études.
2. Nel secondo gruppo si segnalano le principali opere relative allo straripamento dei Normanni in Italia. Vedi: M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, voll. 3, Firenze 1854-72; G. De Blasiis, La insurrezione pugliese e la conquista normanna, voll. 3, Napoli 1869-74; M. Schipa, Il Mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923; E. Caspar, Roger II. und die Gründung der normannisch-sizilischen Monarchie, Innsbruck 1907; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, voll. 2, Parigi 1907; id., in The Cambridge Medieval History, V (1929); O. Delarc, Les Normands en Italie, Parigi 1883; J. Gay, L'Italia meridionale e l'impero bizantino dall'avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071), trad. ital., Firenze 1917; Il regno normanno (scritti di E. Pontieri, P. S. Leicht, E. Besta, A. Solmi, G. M. Monti, A. De Stefano, F. Valenti per l'VIII centenario della monarchia normanna), Messina 1932; L. v. Heinemann, Geschichte d. Normannen in Unteritalien u. Sicilien, Lipsia 1894; C. A. Garufi, Ruggiero II e la fondaz. d. monarchia in Sicilia, in Arch. st. siciliano, LII (1932); H. Niese, Die Gesetzgebung der normannischen Dinastie in Regnum Siciliae, Halle 1910; C. H. Haskins, England and Sicily in the twelfth Century, in The English Historical Review, Oxford 1911; id., Norman Institutions, Cambridge Mass. 1925; E. Jaminson, The Norman Administration of Apulia and Capua, more especially under Roger II and William I (1127-66), in Papers of the British School at Rome, VI (Roma 1913); C. Du Cange, Les familes normandes, ed. Champollion Figeac, Istoire de li Normant, ecc., Parigi 1835; E. Gautier d'Arc, Histoire des conquêtes des Normands en Italie en Sicile et en Grèce, Parigi 1830; K. A. Kehr, Urkunden der normannisch-sizilischen Könige, Innsbruck 1902; C. Schwartz, Die Feldzüge Robert Guiscards gegen das byzantinische Reich, Fulda 1854; G. L. F. Tafel, Komnenen und Normannen, Stoccarda 1870; W. Cohn, Die Geschichte der normannischen-sizilischen Flotte unter der Regierung Rogers I. und Rogers II. (1060-1154), Breslavia 1910; idem, Das Zeitalter der Normannen in Sizilien, Bonn-Lipsia 1920; E. Curtis, Roger the Greath (Roger of Sicily and the Normans in Lower Italy, 1016-1154), Londra-New York 1912; A. F. von Schock, Geschichte der Normannen in Sizilien, voll. 2, Stoccarda 1889; C. Ceci, Normanni di Inghilterra e Normanni d'Italia, Bari 1934.