Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico
Il Trattato del Nord Atlantico nasce nei primissimi anni della Guerra fredda (1949) come alleanza difensiva tra gli Stati Uniti e i paesi del blocco occidentale. L’alleanza e l’organizzazione da essa sviluppatasi hanno svolto un’implicita funzione di deterrenza nei confronti dell’Unione Sovietica e del blocco comunista, che nel 1955 ha reagito costituendo il Patto di Varsavia. Dai primi anni Novanta la dissoluzione dell’Unione Sovietica, lo smantellamento del Patto di Varsavia e dunque la fine della Guerra fredda hanno privato l’Alleanza atlantica del suo scopo originario, costringendola a rimettere in discussione i suoi obiettivi, la sua membership e persino la sua natura, pena la perdita di rilevanza o addirittura lo smantellamento. Nell’ultimo ventennio l’Alleanza atlantica è stata dunque artefice di molteplici tentativi di ridefinizione, che l’hanno portata ad attestarsi tanto come agenzia di sicurezza, tramite interventi diretti in aree di crisi, quanto come componente del dialogo politico-militare tra i suoi membri e alcuni paesi dell’ex blocco sovietico.
Il Trattato del Nord Atlantico è andato progressivamente istituzionalizzandosi nell’organizzazione corrispondente (Nato) nei primi anni successivi alla firma del Patto, tra il 1950 e il 1952. L’Alleanza e l’Organizzazione sancivano lo stretto legame tra il complesso di sicurezza americano e quello europeo occidentale, cristallizzando così la logica bipolare del sistema internazionale dettata dallo scontro tra le due superpotenze. In tale contesto, il timore di un’escalation militare tra i due blocchi contrapposti, che avrebbe potuto sfociare nell’utilizzo di armi nucleari, funse da deterrente, scongiurando lo scoppio di una guerra generale in Europa. Di fatto, nel corso della Guerra fredda, l’Alleanza non fu mai chiamata ad intervenire direttamente per rispondere ad un attacco sovietico.
Per altro verso, l’esistenza di un nemico comune contribuì alla coesione interna dell’Alleanza, i cui membri erano comunque divisi da attriti storici e divergenze politiche. La complessa questione del burden sharing – la ripartizione interna dei costi della Nato (in gran parte sostenuti dagli Stati Uniti) – e le ambizioni di autonomia in politica estera nutrite da alcuni membri europei furono all’origine di alcune tra le crisi più importanti. In seguito a una di queste, nel 1966, la Francia abbandonò il comando integrato dell’Alleanza, facendovi ritorno soltanto nel 2009.
Nei primi anni Novanta la scomparsa dell’Unione Sovietica esaurì lo scopo per il quale l’organizzazione aveva visto la luce, rimettendone in discussione la stessa sopravvivenza nel nuovo contesto internazionale. L’avvio di una fase di instabilità sul continente europeo, con l’inizio delle guerre balcaniche, e il tentativo da parte di alcuni dei membri Nato di trasformare l’organizzazione in un forum di cooperazione e dialogo con i paesi prima appartenenti al blocco sovietico contribuirono tuttavia a tenere in vita l’Alleanza.
Tra il 1999 e il 2009 l’approfondimento delle relazioni con gli ex nemici condusse all’ingresso di 12 nuovi stati dell’Europa centro-orientale: tra questi, 10 sono ex membri del Patto di Varsavia e due (Slovenia e Croazia) sono stati di recente formazione, prodotto delle guerre iugoslave. Parallelamente l’organizzazione avviò nuovi programmi e inaugurò nuove strutture che miravano a favorire il dialogo con la Russia e con quei paesi dell’Europa centrale e orientale che non facevano parte dell’Alleanza (Partnership for Peace, Comitato Nato-Ucraina, Consiglio Nato-Russia). Malgrado ciò, l’allargamento a est dell’Alleanza è stato percepito e continua a essere percepito da Mosca come un’immediata minaccia alla propria sicurezza esterna.
Le mutate condizioni internazionali hanno spinto la Nato ad allargare, oltre alla membership, anche il suo raggio d’azione militare. Tutti gli interventi militari dell’Alleanza sono infatti avvenuti ‘out of area’, ovvero sul territorio di paesi non membri dell’Alleanza e quasi sempre senza che l’Alleanza certificasse un’aggressione diretta nei confronti di uno dei suoi membri. Nel 1995 la Nato, che sin dal 1993 operava nel Mar Adriatico per far rispettare il blocco navale contro la Iugoslavia autorizzato dalle Nazioni Unite, intervenne nella guerra in Bosnia con una campagna di bombardamenti della durata di venti giorni, schierando successivamente nel paese una missione di peace-enforcing Implementation Force (Ifor) e una di peacekeeping Stabilisation Force (Sfor). Lo stesso accadde nel 1999, quando durante la guerra del Kosovo la campagna di bombardamenti Nato sulla ex Iugoslavia (questa volta non autorizzata dalle Nazioni Unite) costrinse Belgrado ad accettare la presenza di una missione di peacekeeping Forze del Kosovo (Kfor) nella regione secessionista. Gli interventi degli anni Novanta procurarono una ricaduta positiva sul prestigio dell’Alleanza, che giunse a essere considerata l’unica organizzazione regionale efficace nel risolvere crisi internazionali.
Oggi, tuttavia, l’Alleanza si trova ad affrontare questioni sempre più complesse. Nel 2001 l’attacco alle Twin Towers di New York portò a richiedere – per la prima volta nella storia dell’Alleanza – l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato, che considera l’attacco diretto a un paese membro come un attacco a tutti. Le fasi iniziali dell’invasione dell’Afghanistan, tuttavia, furono condotte da una coalizione internazionale a guida statunitense al di fuori delle strutture dell’Alleanza, e solo tra il 2003 e il 2006 alla Nato furono lentamente estese funzioni di comando sulle forze internazionali. Il coinvolgimento diretto della Nato nell’interminabile conflitto afghano ha tuttavia collegato la reputazione dell’Alleanza all’andamento delle operazioni sul campo, che si sono rivelate inconcludenti. Inoltre il dibattito politico attorno all’intervento in Afghanistan ha reso sempre più evidente il progressivo divaricamento tra le due sponde dell’Atlantico. L’assenza di un chiaro nemico comune e la natura costitutivamente asimmetrica della Nato, cui dal 1991 partecipa l’unica superpotenza rimasta (gli Stati Uniti, i quali destinano al settore della difesa una somma annuale più alta rispetto a tutti gli altri paesi Nato sommati assieme), hanno infatti provocato l’apertura di solchi sempre più ampi tra Washington e le capitali europee, tanto in merito al tipo di azione adeguata a rispondere alle comuni minacce alla sicurezza, quanto per ciò che concerne l’identificazione stessa di tali minacce. Tali divergenze rischiano di aggravare ulteriormente il problema del burden sharing, dal momento che i paesi dell’Europa occidentale hanno costantemente disatteso l’obiettivo minimo di spesa nel settore della difesa raccomandato dalla Nato (il 2% del pil).
La decisione dell’Alleanza, nei primi mesi del 2011, di intervenire in Libia sotto mandato delle Nazioni Unite per proteggere la popolazione civile non ha fatto che acuire la sensazione di disagio cui sono preda molti paesi membri. La crisi libica ha sin da subito interessato solo una piccola frazione dei membri europei dell’Alleanza (Francia e Gran Bretagna, cui s’è poi aggiunta l’Italia), e l’utilizzo delle strutture Nato per il comando delle operazioni ha incontrato le resistenze della Turchia, da una parte, e degli stessi Stati Uniti dall’altra, questi ultimi decisamente restii a prender parte a un nuovo conflitto mentre sono in via di conclusione gli interventi in Iraq e in Afghanistan.
Il Segretariato è l’organo che garantisce la continuità istituzionale dell’organizzazione, la sua gestione amministrativa e la sua rappresentanza esterna. Segretario generale della Nato è, per prassi, un europeo, mentre il vertice militare dell’Alleanza è costituito da generali dell’esercito statunitense. Dal 1958 il vice segretario generale della Nato è sempre stato un italiano, salvo una breve parentesi tra il 1964 e il 1971, quando a essere italiano fu lo stesso segretario generale.
L’organo decisionale è invece il Consiglio del Nord Atlantico: composto dai 28 paesi membri, in seduta ordinaria vi partecipano i rappresentanti permanenti, ma esso può anche essere composto in seduta straordinaria dai loro ministri degli esteri, della difesa o direttamente dai capi di stato e di governo. Per tutte le questioni non procedurali, il Consiglio delibera per consensus: una decisione è presa solo se nessun membro vi si oppone.
Vi è poi l’Assemblea parlamentare, che si riunisce una volta all’anno e ha funzioni consultive.
Il perno normativo attorno a cui ruota l’Alleanza è l’articolo 5 del Trattato, che prevede che ogni attacco contro uno specifico membro dell’organizzazione sia considerato come un attacco a tutti i paesi membri, e che ciascuno si impegni a prendere tutte quelle misure che reputa necessarie per rispondere a tale minaccia della sicurezza collettiva.
Per rispondere alle minacce esterne l’Alleanza si è dunque dotata di una struttura militare permanente, che affianca quella civile. Il Comando militare alleato, che per tutta la Guerra fredda fu diviso in due comandi, uno europeo e uno ‘atlantico’ (negli Stati Uniti), dal 2002 è stato unificato sotto la Allied Command Operations, con sede a Mons, in Belgio. Il Comando atlantico con sede a Norfolk, nella Virginia statunitense, è invece stato rinominato Allied Command Transformation: il suo compito è quello di riplasmare la struttura di comando dell’Alleanza per consentirle di intervenire in uno scenario internazionale in costante mutamento.
Durante la sua storia, la Nato ha elaborato un nuovo Concetto strategico a intervalli non regolari, quando i paesi membri hanno ritenuto di dover rinnovare la strategia dell’organizzazione alla luce dei cambiamenti avvenuti all’esterno e all’interno dell’Alleanza, come avvenuto nel 1991 e nel 1999. Il documento è frutto del negoziato politico-diplomatico tra i paesi membri della Nato, i cui governi mantengono la loro sovranità in merito alla politica nazionale di sicurezza e difesa. Nel caso del 2010, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha avuto un ruolo importante nell’elaborazione delle successive bozze del testo ufficiale, coadiuvato nella prima fase di riflessione da un gruppo di esperti indipendenti.
Il Concetto strategico del 2010 si apre con un richiamo ai valori che la Nato vuole difendere, quali libertà, democrazia, diritti umani e stato di diritto, alla Carta delle Nazioni Unite, e al legame transatlantico che l’Alleanza ha incarnato sin dalla sua fondazione. Vengono poi identificate tre «missioni fondamentali» per la Nato. La prima è la «difesa collettiva» dei paesi membri, codificata nell’articolo 5 del Trattato di Washington che nel 1949 ha istituito l’Alleanza. Il Concetto strategico ribadisce che «la Nato dissuaderà e difenderà da ogni minaccia di aggressione e dalle nuove sfide alla sicurezza che minaccino la fondamentale sicurezza dei paesi membri o dell’Alleanza nel suo complesso». La seconda missione stabilita dal documento è la «gestione delle crisi», che include anche la loro prevenzione e la stabilizzazione degli stati che si trovano in una situazione post-conflitto. Questo compito non era presente nel Trattato di Washington, ma è stato inserito per la prima volta tra le missioni Nato dal Concetto strategico del 1999. Ciò è avvenuto alla luce delle operazioni militari svolte dagli Alleati nei Balcani durante gli anni Novanta, le prime nella storia della Nato al di fuori del territorio degli stati membri; operazioni simili sono poi seguite in Afghanistan e in altri paesi del mondo. La terza missione fondamentale elencata documento del 2010 è il perseguimento della «sicurezza cooperativa». In questo ambito vengono fatte rientrare: le politiche di Partenariato e cooperazione sviluppate dalla Nato negli ultimi due decenni con decine di paesi e organizzazioni internazionali in tutto il mondo; la politica della ‘porta aperta’ alle ‘democrazie europee’ che vogliono diventare membri dell’Alleanza e rispettano i requisiti per l’ingresso; le politiche di controllo degli armamenti, di non-proliferazione e di disarmo.
Dopo aver delineato le missioni fondamentali della Nato, il Concetto strategico prosegue con una breve analisi della situazione internazionale e un’elencazione delle minacce alla sicurezza dei paesi membri. In tale elenco rientrano anche nuove minacce non strettamente militari, quali gli attacchi cibernetici e la sicurezza energetica. Infine, il documento stabilisce delle linee guida per l’azione dell’Alleanza volta a perseguire le tre missioni fondamentali nell’attuale contesto internazionale.
La Dichiarazione di Lisbona, approvata insieme al Concetto strategico, si occupa invece di definire in maggiore dettaglio le politiche e le attività operative da svolgere nei prossimi anni, per realizzare quanto stabilito nel primo documento. I 54 paragrafi della Dichiarazione contengono, per esempio, indicazioni concrete sulla riforma interna della Nato, sulla cooperazione con la Russia, sulle misure in tema di sicurezza cibernetica e su molte altre questioni.
Il Concetto strategico del 2010 è più breve e meno dettagliato rispetto ai precedenti del 1999 e del 1991: la ratio è che tale documento debba contenere solo le linee guida fondamentali per l’Alleanza, mentre le decisioni e indicazioni concrete saranno stabilite dalle Dichiarazioni adottate dai vertici Nato, come quello di Lisbona.
Gli ultimi tre Concetti strategici, a differenza dei precedenti, sono stati resi pubblici e contribuiscono allo sforzo della Nato di trasmettere al pubblico un’immagine positiva dell’Alleanza.
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