NOSOGRAFIA
Con il termine n. si indica la descrizione delle malattie. La scienza basilare della medicina − la patologia − abbisogna, come ogni altra scienza naturale, di una terminologia univoca che indichi in modo preciso le diverse entità teoriche di cui la medicina stessa tratta, cioè le malattie. I processi morbosi, inoltre, costituiscono sequenze di eventi naturali che presentano analogie e somiglianze di vario tipo, cosicché la descrizione e la conoscenza dei meccanismi delle varie malattie si collegano molto strettamente con il problema della loro classificazione. La classificazione attuale delle malattie costituisce un sistema molto complesso nel quale coesistono criteri e obiettivi di ordinamento assai diversi fra loro.
L'antico principio classificativo costituito dalla sintomatologia clinica nel secolo 19° è stato sostituito in massima parte dal criterio anatomo-patologico in base al quale i processi morbosi vengono ordinati secondo la loro sede e la loro natura. Secondo tale principio, la natura delle malattie è costituita soprattutto dall'apparenza morfologica osservabile al microscopio, cioè dal quadro istopatologico, e non dalle cause o dai fenomeni fisiopatologici che ne condizionano il decorso. In tal modo, quindi, il clinico che affronta lo studio di un paziente sulla base dei sintomi che questi presenta, si propone principalmente di conoscere le modificazioni morfologiche dei tessuti e/o delle cellule che rappresentano il substrato biologico fondamentale della sintomatologia clinica, e formula la propria diagnosi sulla base appunto di queste modificazioni. Dalla diagnosi anatomo-patologica il clinico risale poi alla patogenesi e alla sintomatologia, esprime una prognosi e prescrive la terapia.
L'adozione del criterio anatomo-patologico − principio dominante dell'attuale n. − ha permesso di classificare un enorme numero di processi e di stati morbosi e ha portato a un progresso fondamentale nella conoscenza delle malattie. Tale principio, tuttavia, non può rappresentare il criterio definitivo della sistemazione nosografica, poiché la medicina scientifica mira soprattutto a conoscere e a classificare le malattie sulla base delle cause e dei meccanismi fisiopatologici che producono i fenomeni morbosi clinicamente osservabili.
Per queste ragioni C. Bernard nel 19° secolo aveva invocato la scomparsa completa della n. e la sua sostituzione con una scienza medica ideale e perfetta nella quale i nomi delle malattie fossero sostituiti dalla conoscenza completa delle cause e dei fenomeni morbosi che producevano il quadro clinico.
Un'altra critica alla n. anatomo-patologica e al suo impiego diagnostico è stata sollevata da A. Feinstein, il quale ha rilevato che tale classificazione è in massima parte ipotetica e non osservativa, e che pertanto essa obbliga il clinico a compiere numerose inferenze per passare dalle osservazioni cliniche alla diagnosi nosologica.
In realtà, via via che nuove acquisizioni etiopatogenetiche venivano compiute, già dalla seconda metà del secolo 19° la classificazione delle malattie ha affiancato ai principi morfologici classici criteri catalogativi diversi, fondati sia sulle cause esterne e interne delle malattie (batteriche, virali, tossiche, genetiche, ecc.), sia sui loro meccanismi fisiopatologici (biochimici, endocrinologici, immunitari, ecc.). Questo processo è continuato e si è progressivamente intensificato, cosicché attualmente le malattie vengono classificate sulla base delle loro cause, quando queste siano note, o della loro patogenesi o attraverso le loro alterazioni morfologiche macro o microscopiche o, infine, per mezzo del loro quadro sintomatologico. A tutto ciò si aggiunga che la stessa malattia può venire inserita in gruppi diversi a seconda che si assuma l'uno o l'altro criterio come principio ordinativo.
Come ha affermato H. Sigerist, "la forza dell'odierno sistema di malattie consiste appunto in questo, che esso non è un sistema vero e proprio, ma una somma di gruppi staccati, e che la suddivisione ha luogo a seconda di differenti punti di vista". In realtà, oggi è divenuto sempre più evidente che, contrariamente a ciò che si pensava in passato, la classificazione delle malattie, come ogni altra tassonomia scientifica, non consiste affatto in una neutrale e obiettiva collezione di oggetti o di fenomeni osservati, ma si fonda sempre sull'assunzione di uno specifico punto di vista in base al quale ordinare l'insieme di una fenomenologia. La sistematica, quindi, fa parte del momento teoretico della scienza e, condividendo la natura ipotetica e approssimata dei concetti scientifici, può sempre venire modificata, accresciuta o totalmente abbandonata. Per questi motivi la classificazione dei morbi, se tende a rispecchiare l'ordine esistente in natura, purtuttavia nella sua struttura reale non rappresenta una vera classificazione naturale e costituisce soprattutto uno strumento utile a dare ordine alle osservazioni cliniche, a permettere l'attività diagnostica e a raggiungere i fini terapeutici.
Evoluzione storica della nosografia. − Agli albori della medicina della Grecia antica, la scuola ippocratica considerò la malattia come conseguenza di un'alterazione dell'equilibrio umorale, concentrando la propria attenzione più sull'uomo malato e sulla sua reattività individuale che sul processo morboso in se stesso. Le malattie venivano individuate dalle loro apparenze esterne e fenomeniche, cioè da quella che oggi diciamo sintomatologia clinica, e la prognosi rivestiva un'importanza di gran lunga maggiore di quella della diagnosi. In questo contesto teorico, quindi, i medici ippocratici, per quanto avessero riconosciuto diverse malattie a noi note ancor oggi, non hanno sviluppata alcuna classificazione vera e propria dei fenomeni morbosi. Un limitato avanzamento nell'ordinamento dei processi patologici si ebbe nel mondo romano con Galeno, il quale, pur accettando nella sostanza la concezione ippocratica, divise gli eventi morbosi in malattie degli umori (discrasie), malattie delle parti simili (arterie, vene, ossa, cartilagini e muscoli), malattie delle parti strumentali (organi) e malattie traumatiche. La dottrina ippocratico-galenica rimase la concezione dominante sulla natura e la classificazione delle malattie lungo tutto il Medioevo e il Rinascimento, fino al 17° secolo.
In quest'epoca il medico inglese Th. Sydenham (1624-1689) avanzò per primo in modo chiaro l'idea che i fenomeni morbosi non costituiscono un processo sostanzialmente unitario, ma che in luogo della malattia − singolo fenomeno biologico con apparenze diverse − esistono le malattie, cioè processi morbosi essenzialmente diversi l'uno dall'altro, i quali, per essere compresi nella loro varia natura, devono essere prima di tutto accuratamente distinti fra loro e descritti fedelmente con lo stesso spirito con cui si studiano tutti gli oggetti naturali. Per Sydenham, quindi, analogamente a ciò che avviene per le piante e gli animali, esistono diverse specie di malattie, specie che si distinguono fra loro per i caratteri sintomatologici, per il decorso e per la prognosi. Le idee di Sydenham s'imposero nel 18° secolo e contribuirono grandemente all'affermazione di quella corrente del pensiero medico che va sotto il nome di ''n. medica'' e che nel corso del Settecento portò alle prime classificazioni analitiche delle malattie.
Le prime classificazioni dei fenomeni morbosi vennero elaborate poco dopo che C. Linneo (1707-1778) concepì la prima classificazione moderna dei vegetali e degli animali (Systema naturae, 1735), e da questa presero modello. Ai medici, infatti, cominciò ad apparire evidente che, come le piante e gli animali si possono distinguere e suddividere in gruppi e sottogruppi in base ai loro caratteri esteriori (numero degli arti, presenza delle penne, forma del corpo, ecc.), così le malattie si possono riconoscere e catalogare in base ai caratteri fenomenologici con i quali si presentano, cioè ai sintomi e ai segni. Sul fondamento di questi concetti ebbero origine le varie tassonomie dei processi patologici che ordinarono le malattie in generi, classi e ordini, in un modo analogo a quello usato dai botanici e dagli zoologi per catalogare gli organismi viventi.
F. Bossier de Sauvages (1706-1767), nella sua opera fondamentale intitolata significativamente Nosologia methodica sistens morborum classes, genera et species, juxta Sydenhami mentem et botanicorum ordinem, pubblicò nel 1763 la prima moderna classificazione delle malattie. In quest'opera i processi morbosi vengono distinti in 10 classi, 45 ordini, 317 generi e circa 2400 specie, sulla base di un criterio esclusivamente sintomatologico (v. tab. 1). Nel giro di pochi anni altri medici proposero differenti classificazioni morbose, tutte peraltro fondate sui medesimi criteri: fra queste meritano di essere ricordate l'opera Genera morborum dello stesso Linneo pubblicata nel 1763, la Synopsis nosologiae di W. Cullen (1712-1790), pubblicata nel 1769, e la Nosographie philosophique di Ph. Pinel (1755-1826), pubblicata nel 1789. I principi classificatori dei nosologisti si affermarono rapidamente e la loro tassonomia divenne il fondamento della diagnostica quotidiana delle malattie; peraltro, l'importanza attribuita alla sintomatologia nel riconoscimento dei processi morbosi impediva ogni reale avanzamento nella conoscenza dei meccanismi che generavano i diversi quadri clinici. Un progresso fondamentale nella patologia e nella n. si ebbe nella seconda metà del 18° secolo per opera di G. B. Morgagni. Questi concepì l'idea secondo la quale i quadri clinici delle malattie sono determinati dalle alterazioni patologiche dei vari organi, e sulla base di tale idea elaborò un'embrionale classificazione dei morbi. Nella sua opera fondamentale, il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (1761), egli prima suddivise le malattie sulla base della sede dell'alterazione anatomica principale, e poi elencò i processi morbosi di ciascun distretto dell'organismo seguendo un criterio in parte sintomatologico e in parte anatomico.
La tassonomia anatomo-patologica iniziata nel 18° secolo da Morgagni venne poi perfezionata nel 19° secolo da M. Baillie (1761-1823) e soprattutto da K. von Rokitansky (1804-1878) e da R. Virchow (1821-1902). Von Rokitansky elaborò nel 1842 una sistematica delle malattie che viene comunemente considerata come l'espressione perfetta della concezione anatomica macroscopica dei fenomeni morbosi (v. tab. 2), nella quale le malattie vengono ordinate esclusivamente in base alla sede e alla natura del processo morboso. La sua catalogazione dei morbi si è imposta nella successiva evoluzione del pensiero medico in modo così netto da informare ancor oggi la n. corrente.
Il pensiero patologico del 18° secolo e della prima metà del 19° secolo, oltre che dall'opera dei nosografisti e dei primi anatomo-patologi, è stato caratterizzato anche dalla nascita di diverse altre concezioni sulla natura delle malattie. In questo periodo, infatti, in Europa si sono largamente diffusi e affermati i cosiddetti ''sistemi'' medici. Questi consistevano in costruzioni teoriche, tanto semplici quanto dogmatiche e immutabili, spesso fondate su concetti metafisici, che cercavano d'interpretare l'enorme varietà della fenomenologia patologica sulla base di pochi principi molto rigidi. I differenti ''sistemi'' proposti diedero origine ad altrettante classificazioni dei fenomeni patologici, molto diverse da quelle analitiche elaborate dai nosografisti: poiché infatti ogni sistema era basato su poche idee che servivano di fondamento all'interpretazione patogenetica delle malattie, queste ultime venivano catalogate esclusivamente in relazione a tali concetti-base. Le classificazioni dei sistematici appaiono quindi estremamente semplici e fornivano un rapido orientamento per la quotidiana pratica clinica. Il sistema di J. Brown (1735-1788), che trovò ampia accoglienza in Europa all'inizio del 19° secolo, suddivideva infatti le malattie in due soli grandi gruppi: le malattie steniche, nelle quali l'eccitabilità era aumentata, e la malattie asteniche nelle quali l'eccitabilità era ridotta. G. Rasori (1766-1837), un seguace di Brown, ne modificò lo schema teorico e divise le malattie in due altri grandi gruppi: le malattie da stimolo e quelle da controstimolo. Le classificazioni dei sistematici, nella loro estrema semplicità, facilitavano enormemente il lavoro diagnostico dei clinici: a questi infatti era sufficiente incasellare le malattie dei propri pazienti nelle poche classi morbose generali per poter inferire da ciò i precetti terapeutici più opportuni. In realtà, l'inquadramento della multiforme fenomenologia clinica nei pochi gruppi dei vari sistemi andò mostrando difficoltà sempre maggiori, e vari clinici furono costretti a proporre classificazioni eclettiche che presentavano un compromesso fra le teorie professate e la pratica clinica. F. Fanzago (1770-1832), per es., nel 1809, propose una classificazione in cui suddivideva le malattie in locali e universali; queste ultime erano costituite da tre elementi: la diatesi, la condizione patologica e la forma. Le diatesi erano di due tipi, la stenica e l'astenica, e generavano quindi due tipi di malattie universali, le steniche e le asteniche.
Con l'inaridirsi dei vari ''sistemi'' medici e con il contemporaneo grande progresso delle conoscenze fisiologiche e patologiche, nella seconda metà dell'Ottocento la classificazione delle malattie andò gradualmente evolvendosi. La stretta collaborazione che in quest'epoca si era venuta instaurando fra anatomo-patologi e clinici portò a un'altrettanto stretta somiglianza fra le n. accettate da queste due comunità di studiosi.
Dopo l'opera di Virchow, nel ventennio 1865-85, la medicina ha conosciuto, con la teoria microbiologica delle malattie infettive, una delle più grandi rivoluzioni scientifiche di tutti i tempi. Tale teoria si dimostrò potentissima nell'interpretare un enorme numero di fenomeni prima del tutto inspiegabili, e modificò radicalmente la sistematica dei fenomeni patologici. Per la prima volta, infatti, le malattie cominciarono a venire classificate non solo in base alle lesioni anatomiche o ai sintomi o ai meccanismi che ne determinavano il decorso, ma in base alle cause che le provocavano. Per es., già nel 1888, il clinico tedesco von Jurgensen aggiunse al tradizionale ordinamento delle malattie un capitolo interamente nuovo dedicato alle malattie infettive, nel quale il criterio unificatore era costituito non più dalla sede o dal tipo della lesione anatomica ma esclusivamente dal ruolo etiologico giocato dai microrganismi. Per effetto di questa nuova impostazione in questo capitolo venivano inseriti il colera e la tubercolosi, che prima erano catalogati rispettivamente fra le malattie dell'intestino e fra quelle del torace.
Nella seconda metà dell'Ottocento sorsero e si svilupparono rapidamente nuovi campi di ricerca, da cui la n. trasse motivo per introdurre nuovi criteri classificatori e dar vita a nuovi capitoli della patologia. Così, per es., nel suo monumentale Trattato di patologia e terapia speciale medica, E. Eichorst introdusse (1897) due nuovi gruppi di fenomeni morbosi, risultato delle ricerche istologiche e biochimiche condotte nei decenni precedenti: quello dedicato alle malattie del sangue e quello dedicato alle malattie del ricambio (v. tab. 3).
Tra la fine del secolo 19° e i primi decenni del 20° vedono la luce due nuove teorie patologiche di grande importanza: la teoria degli squilibri endocrini e quella dei difetti vitaminici. Alla loro affermazione segue una nuova ristrutturazione della sistematica morbosa che vede comparire il gruppo delle malattie delle ghiandole a secrezione interna e il gruppo delle malattie da carenza vitaminica. Nel corso del secolo 20°, nuovi capitoli sono andati aggiungendosi, cosicché in questi ultimi anni la tassonomia delle sole malattie internistiche ha assunto la struttura illustrata nella tab. 4.
La n. si presenta quindi, all'inizio del 20° secolo, come un imponente edificio classificativo nel quale trova posto una grandissima quantità di fenomeni morbosi. Esso non può certamente ancora dirsi una classificazione naturale, ma poggia ormai su criteri ben fondati e accettati universalmente.
Grazie alla n. la medicina ha assunto l'aspetto delle altre scienze naturali e la diagnostica è divenuta un procedimento fondato razionalmente e in via di principio praticabile da tutti. Nonostante questi suoi meriti, bisogna ricordare che la classificazione delle malattie non esprime, in se stessa, alcuna relazione causale fra i diversi fenomeni morbosi. Essa, infatti, si limita a raggruppare le malattie in classi di maggiore o minore estensione e a permettere una diagnosi che non giunge a una vera comprensione dei processi biologici alterati, ma mira soltanto a riconoscere il gruppo di fenomeni al quale appartiene il fenomeno in esame. Questi limiti, che hanno indotto molti medici − G. Rasori, P.-J.-G. Cabanis, R.-Th.-H. Laënnec − a esprimere giudizi negativi sulla tassonomia morbosa, spinsero C. Bernard a invocarne la distruzione e la sostituzione con una nuova scienza − la medicina sperimentale − che avesse come fondamento la conoscenza dei fenomeni fisiopatologici.
Nosografia contemporanea. − Negli ultimi cinquant'anni l'enorme estensione delle ricerche biomediche ha portato a una vera e propria esplosione delle conoscenze patologiche. I nuovi concetti e le nuove tecniche delle scienze biologiche di base si sono trasferiti con grande rapidità alla patologia, dando luogo alla continua identificazione di nuove forme morbose. Il numero delle malattie riconosciute nei vari settori d'indagine è diventato così elevato da renderne difficile una catalogazione completa da parte di un singolo studioso o anche di gruppi relativamente ristretti di studiosi. All'opposto, è diventata sempre più pressante l'esigenza di disporre di una classificazione universalmente accettata ed espressa con una terminologia condivisa, tale da poter venire usata sia per motivi scientifici che per motivi epidemiologico-statistici, sociali, assicurativi o informatici.
Già in occasione del primo Congresso internazionale di statistica, tenutosi nel 1835, fu avanzata per la prima volta l'idea di elaborare una Classificazione internazionale delle cause di morte. Nel 1893 l'Istituto internazionale di statistica accolse l'Elenco internazionale delle cause di morte elaborato dal francese J. Bertillon, elenco che negli anni successivi incontrò il favore universale e fu ripetutamente aggiornato in apposite conferenze internazionali, dando origine alla Classificazione internazionele sia delle malattie che delle cause di morte. L'Italia ha aderito a tale classificazione nel 1924.
Nel 1933 l'American Medical Association ha pubblicato la Standard Nomenclature of Diseases and Operations (SNDO), che ha poi avuto diverse altre edizioni e che nel 1952 era giunta a comprendere ben 17.000 malattie. La SNDO è basata su un criterio sostanzialmente analogo a quello morgagnano; essa individua ogni malattia sulla base di una formula costituita da due membri che indicano rispettivamente la sede e la natura delle malattie. Ognuno dei due membri è composto di un numero di tre cifre, e la prima cifra dei due membri ha il significato indicato nella tab. 5.
Nel 1948 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha assunto la guida del periodico aggiornamento della Classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases, ICD), iniziando a curarne le revisioni a partire dalla sesta. La nona Classificazione internazionale delle malattie, dei traumatismi e delle cause di morte (ICD-9) è stata elaborata nella 9ª Conferenza di revisione tenutasi a Ginevra nel 1975 con la partecipazione di 46 stati; essa è poi stata adottata dalla 29ª Assemblea mondiale della sanità dell'OMS ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1979.
Nel 1978 la ICD-9 è stata parzialmente modificata per renderla più adatta agli impieghi clinici, e ampliata con l'aggiunta di una terza parte che tratta la Classificazione delle procedure in medicina. Tale versione modificata e ampliata prende il nome di Classificazione internazionale delle malattie. IX Revisione, Modificazione Clinica (ICD-9-CM). La ICD-9 suddivide le malattie in 17 settori, 909 categorie, e 5165 sottocategorie secondo lo schema indicato nella tab. 6. Le sottocategorie non sempre corrispondono a malattie chiaramente identificabili, e spesso indicano complessi sindromici o situazioni patologiche generiche. La classificazione internazionale è caratterizzata da un codice a tre cifre per le categorie e da un codice a quattro cifre per le sottocategorie; così ogni forma morbosa rintracciata nell'indice alfabetico può venire agevolmente classificata. Nel 1993 è entrata ufficialmente in vigore la decima revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-10; v. tab. 7).
In genere, la tassonomia della ICD è basata principalmente su un criterio anatomico, ma a questo se ne sono via via aggiunti altri, fra i quali molto importanti appaiono quello etiologico e quello fisiopatologico, cosicché essa si presenta oggi come una classificazione eclettica. Un'importante limitazione della ICD-9 è costituita dal fatto che essa, pur adottando adeguati principi di raggruppamento e una terminologia uniforme, non fornisce alcun criterio operativo per identificare in modo univoco e ripetibile le varie malattie.
Negli ultimi 25 anni alcune difficoltà nell'applicazione pratica della ICD-9 e l'emergenza di nuove esigenze hanno fatto sorgere altri sistemi tassonomici delle situazioni morbose. Nel 1970 L. L. Weed ha proposto un nuovo sistema di classificazione basato non sulle malattie concepite come entità astratte, ma sui ''problemi'' presentati dal singolo paziente. Questo sistema classificativo, denominato Problem-Oriented Record (POR), appare vantaggioso sul piano clinico per organizzare le informazioni dei singoli pazienti, ma non offre vantaggi sul piano scientifico poiché non propone alcuna nomenclatura standardizzata né alcun criterio operativo per definire i vari problemi. Esso è oggi poco usato e non è considerato una vera tassonomia scientifica.
Nel 1980 è stato elaborato un altro sistema tassonomico fondato, invece che sulla natura dei vari processi morbosi, sul costo delle cure ospedaliere. Questo sistema riunisce in gruppi quelle diagnosi, quelle terapie e quei fenomeni patologici che sono simili sia sul piano clinico che su quello della durata della degenza. Tale procedimento ha portato alla formazione di 470 categorie contenenti raggruppamenti di unità morbose denominati Diagnosis-Related Groups (DRGs). Il sistema DRG, evidentemente concepito con scopi fiscali piuttosto che nosografici, è stato adottato negli Stati Uniti come strumento per il rimborso delle spese mediche da parte dello stato. Con l'uso quotidiano il sistema DRG è divenuto abbastanza ben standardizzato negli Stati Uniti ma non può essere ritenuto un sostituto dell'ICD; infatti, spesso considera le procedure cliniche invece che le malattie, e inoltre la sua struttura non può adattarsi facilmente in paesi in cui la pratica ospedaliera sia diversa da quella statunitense.
Nel 1965 il Collegio dei patologi statunitensi ha elaborato una Standard Systematized Nomenclature Of Pathology (SNOP), che classifica le malattie sulla base di quattro diversi criteri: la sede, la morfologia, l'etiologia e la funzione. Nel 1979 lo stesso Collegio ha presentato una Nomenclatura sistematica della medicina (Systematized Nomenclature Of Medicine, SNOMED), in cui le forme morbose vengono identificate sulla base di sei criteri: la topografia, la morfologia, l'etiologia, la funzione, la malattia e la procedura. Tale tassonomia è stata concepita in modo tale da poter essere utilizzata mediante l'uso del computer.
Al di là delle classificazioni morbose generali sono state anche proposte classificazioni specifiche delle malattie che prendono in considerazione soltanto un singolo settore della medicina; esistono così tassonomie limitate alle malattie del cuore e dei vasi o addirittura ai disturbi vascolari cerebrali. Un campo del tutto particolare è costituito dai disturbi mentali, nei quali la scarsità delle informazioni morfologiche e la molteplicità e diversità delle teorie etiopatogenetiche rendono particolarmente difficile l'elaborazione di una n. accettata da tutti. Un tentativo in questo senso è stato fatto dall'Associazione americana degli psichiatri, che nel 1980 ha pubblicato la terza edizione del Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali (v. anche psichiatria, in questa Appendice).
Nosografia in patologia vegetale. − Mentre la patologia umana e quella veterinaria appaiono molto simili, almeno per quel che riguarda gli animali più evoluti e in special modo i mammiferi, la patologia vegetale si differenzia dalle prime due in modo molto netto. Il punto fondamentale di diversificazione concerne il concetto stesso di malattia. Sul piano biologico generale la malattia è caratterizzata da uno scostamento − morfologico e funzionale − dalle condizioni che si reputano normali, mentre in patologia vegetale si definisce la malattia come quella situazione nella quale lo scostamento dalla norma provoca un danno alla specie umana. In tal modo, quindi, il concetto di malattia in patologia vegetale non possiede più un significato esclusivamente biologico, ma riveste un significato che è insieme biologico ed economico. È pertanto evidente che la n. vegetale sarà molto diversa da quella animale e non comprenderà in alcun modo situazioni biologiche in cui, per es., la presenza di agenti infettivi modifichi la struttura ed eventualmente anche la sopravvivenza di una pianta, senza peraltro modificarne la resa economica.
La sistematica vegetale s'ispira a diversi criteri e pertanto, attualmente, vengono utilizzate differenti classificazioni. Un primo criterio può essere rappresentato dall'ospite che viene colpito dalla forma morbosa: in tal modo le malattie possono essere suddivise a seconda che interessino il pero, il melo, il pesco, la bietola, e così via. Un secondo criterio, oggi generalmente seguito, è invece quello etiologico, il quale consiste nel classificare le malattie in funzione delle cause che le determinano. Infine esiste una terza modalità di classificazione, in cui le forme morbose vengono catalogate in base alla funzione della pianta con la quale l'agente morboso interferisce, e al meccanismo con cui questo agente determina l'insorgenza della malattia.
La classificazione delle malattie delle piante attualmente più usata è quella etiologica, illustrata nella tab. 8.
Bibl.: K. von Rokitansky, Handbuch der pathologischen Anatomie, Vienna 1842; E. Eichorst, Trattato di patologia e terapia speciale medica, Milano 1897; H. Sigerist, Introduzione alla medicina, Firenze 1947; R. H. Major, Storia della medicina, ivi 1959; G. Goidanich, Manuale di patologia vegetale, Bologna 1964; E. Poli, Metodologia medica, Milano 1965; Committee on nomenclature and classification of diseases of the college of American pathologists, Systematized nomenclature of pathology, Chicago 1965; A. R. Feinstein, Clinical judgment, Baltimora 1967; G. Federspil, I fondamenti del metodo in medicina clinica e sperimentale, Padova 1980; International classification of diseases. Ninth revision, Clinical modification, Ginevra 19802; Classificazione delle malattie, traumatismi e cause di morte. IX Revisione, 1975, Roma 1984; F. Dagognet, Il catalogo della vita, ivi 1986; G. Federspil, C. Scandellari, Dalla nosografia morgagnana alla nosografia contemporanea, in De sedibus et causis, a cura di V. Cappelletti e F. Di Trocchio, ivi 1986; A. R. Feinstein, Unsolved scientific problems in the nosology of clinical medicine, in Arch. Intern. Med., 148 (1988), pp. 2269-74; R. Earlam, Korner, nomenclature, and SNOMED, in Brit. Med. J., 296 (1988), pp. 903-05; World Health Organization, International statistical classification of diseases and related health problems. Tenth revision, Ginevra 1992.