Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Medioevo, dopo molti secoli, ricomincia a essere apprezzato e studiato verso la metà del Settecento; poco dopo si assiste a un vero revival, non privo di valenze politiche in chiave nazionalistica. Esso interessa soprattutto il gotico, visto come stile autonomo nei paesi del Nord Europa, sostanzialmente anticlassico. Ma le forme di nostalgia del Medioevo sono molte, fino ai giorni nostri, alcune delle quali di lunga durata.
È il Rinascimento quattrocentesco a creare il concetto di Medioevo, inteso come età di mezzo (media aetas) tra l’antichità e la sua ripresa cosciente e scientifica. Da questa posizione, già anticipata da eruditi come Petrarca, derivano le sfortune di quello che è stato considerato una sorta di buco nero della cultura, un periodo oscuro, che affonda le sue radici nella vittoria dei barbari sulla civiltà. Un’era di guerre e devastazioni, ma soprattutto di abbandono della cultura e, in ambito artistico, delle forme corrette dell’antico. Nelle Vite di Giorgio Vasari si legge che gli uomini medievali ““se bene inanzi a loro avevano veduto residui di archi o di colossi o di statue, o pili, o colonne storiate, nell’età che furono dopo i sacchi e le ruine e gli incendi di Roma, è non seppono mai valersene o cavarne profitto alcuno””. Non manca dunque l’esempio, ma la capacità intellettuale di sfruttarlo.
La spaccatura con il Medioevo prosegue nei secoli successivi fino al Settecento, sia nella produzione artistica che nella critica, in tutto questo lungo periodo, l’arte che va dalla tarda Antichità al primo umanesimo viene vista come grezza e involuta.
Il romanticismo ha un ruolo decisivo nei revival medievali dell’architettura del XIX secolo, che hanno una diffusione mondiale. La riscoperta del sentimento rispetto alla fredda ragione e il rifiuto dei modelli classici incentiva una rivalutazione del gotico, di cui si apprezzano l’alta spiritualità e la vocazione localistica; ciò si combina da un lato con una tradizione che lo rende vivo quasi senza soluzione di continuità in area inglese ancora nel XVI e parte del XVII secolo, dall’altro con l’uso saltuario di forme gotiche, globalmente intese o usate singolarmente, sia nella stessa Inghilterra, che in Italia e in area tedesca, per necessità di continuità strutturale o visiva con architetture preesistenti o col contesto culturale circostante: dalle volte seicentesche di San Petronio a Bologna al campanile del Christ Church College di Oxford (1682) di Christopher Wren, attento studioso delle forme medievali. Più che neogotico, gotico di lunghissima durata.
Il gusto per l’irregolare e il pittoresco è alla base, nella prima metà del Settecento, delle prime vere costruzioni neogotiche inglesi, architetture da parco e da giardino; la loro fortuna durerà a lungo, e porterà a esempi quali la villa di Strawberry Hill (1750 ca.) e Fonthill Abbey di William Beckford e James Wyatt, nei pressi di Salisbury (dal 1795, oggi ridotta a poche rovine). L’edificio di Strawberry Hill, a ovest di Londra, lungo il Tamigi, è intriso di una sensibilità in cui il Medioevo vale come spazio mentale evocativo, suggestione verso un mondo altro: il gotico – immaginoso, autoctono, libero – è in opposizione alle regole classiche – razionali, esogene, troppo vincolanti. Un atteggiamento che sarà frequente in seguito, e che qui ha ancora una declinazione, se non da mascherata storica, come negli scritti del suo committente, Horace Walpole. Egli ne cura personalmente l’arredo, concepito in sintonia con la struttura, con un’attenzione, certo non scientifica, al recupero delle “arti minori” del Medioevo.
Subentra poi un orgoglio nazionalistico in cui il revival pare riprendere un filo solo temporaneamente interrotto a causa di influenze esterne, come evidenzia la scelta di forme gotiche molto accentuate operata da Charles Barry e Augustus Pugin nella ricostruzione della sede istituzionale per definizione, il Parlamento, a partire dal 1840. Nell’eclettico gusto vittoriano il neogotico si incrocia con altri stimoli più esotici, e si istituzionalizza: viene impiegato per le grandi realizzazioni pubbliche, quali ponti (Tower Bridge di Horace Jones e John Wolfe Barry, 1894) o stazioni ferroviarie (St. Pancras di George G. Scott e William Barlow, 1868), e passa culturalmente alle colonie e alle ex colonie, con esiti di particolare rilevanza negli Stati Uniti. Tipico esempio ne è la cattedrale di St. Patrick di New York (1853-1878).
Le motivazioni nazionalistiche, orgogliosamente altre rispetto alla tradizione classica, emergono anche in Francia e in Germania. Il fenomeno scatenante in area francese è l’intensa politica di restauro dei siti medievali, specie religiosi, distrutti o danneggiati durante la Rivoluzione, con vaste ricostruzioni architettoniche e un’attenzione particolare alla scultura monumentale, così importante nel Medioevo locale. Eugène Viollet-le-Duc è autore, a partire dal 1835, di un restyling del patrimonio della nazione: rimodella, integra, addirittura completa cantieri interrotti cercando di interpretare l’idea dei progettisti originari sulla base delle fonti; talora produce veri e propri falsi seguendo un concetto di restauro interpretativo che deve restituire la “forma perfetta”: da Vézelay a Notre -Dame di Parigi, a Saint -Denis (sepoltura dei sovrani francesi), a Saint -Sernin di Tolosa, a Rouen, fino alle cittadelle di Carcassonne e di Avignone. La sua attività si affianca a un’intensa teorizzazione e produzione scientifica. Ne deriva un gusto neomedievale che condiziona anche le realizzazioni ex novo, seppur quasi del tutto limitato ai castelli e agli edifici religiosi: esempi ne sono Notre-Dame de la Croix de Ménilmontant (Belleville, Parigi, di Antoine Héret), o il notissimo Sacré Coeur parigino di Paul Abadie, in stile romanico-bizantino, esemplato sulle cattedrali di Angoulême e Périgueux che quest’ultimo aveva restaurato.
In Germania il gotico viene recuperato a partire dal 1770 dalla cultura letteraria e filosofica, da Goethe a Schlegel; su questa profonda suggestione romantica si innesta una linea interpretativa nazionalistica, che fa di questo stile l’espressione del genio locale. Karl F. Schinkel, Georg Moller e molti altri, sia con progetti di completamento di edifici non terminati, sia con opere pittoriche evocative (vedi La cattedrale di Caspar David Friedrich, 1817, Obbach bei Schweinfurt, Schafer) avviano una nuova stagione architettonica di stampo neomedievale che si espime sia nell’edilizia pubblica dei municipi, sia in quella religiosa. L’evento più emblematico è la ripresa nel 1842, dopo molte sollecitazioni da parte di letterati e artisti, e il ritrovamento di alcuni progetti originali, dei lavori del Duomo di Colonia, iniziati nel 1248 e sospesi a metà Cinquecento, a simbolica riappropriazione di una tradizione non solo stilistica, ma anche e soprattutto culturale.
Anche l’Italia ha il suo neogotico, vissuto però in modo sostanzialmente diverso, dato il ruolo passivo che la zona aveva avuto nell’assunzione dei prototipi architettonici medievali tra XII e XIV secolo. Anche qui pesano fortemente le istanze politiche (il recupero dell’orgoglio civico, del “comune rustico” in funzione autonomistica locale, più tardi le diatribe tra nuovo stato unitario e Chiesa), il desiderio di recupero pseudofilologico della tradizione (abbattere le aggiunte di epoca moderna ai complessi medievali diverrà quasi un obbligo), e le necessità di completamento di alcuni edifici, cui si aggiunge la volontà di seguire quella che in Europa è divenuta una vera e propria moda. Non per nulla è in Piemonte uno dei primi esempi di architettura neomedievale italiana: il castello di Pollenzo, iniziato nel 1833. I legami con la Francia della dinastia sabauda, committente dell’edificio, spiegano il perché di questo recupero eclettico, che mischia forme stilistiche eterogenee. Un ruolo analogo a Viollet-le-Duc lo hanno, assieme ad altri “restauratori”, Luca Beltrami a Milano e Alfonso Rubbiani a Bologna, che tra XIX e XX secolo rimodellano singoli edifici (il Castello Sforzesco) o intere aree urbane (il presunto “centro medievale” felsineo, in realtà per molta parte opera di rifacimento) seguendo il concetto del “restauro interpretativo”, come fa anche Alfredo d’Andrade in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, riportando al loro primitivo splendore – come si usava dire – molti edifici originali. Egli realizza inoltre ex novo il Borgo Medievale di Torino per l’Esposizione Universale del 1884, con lo scopo di creare una ““antologia di architettura, edilizia, pittura e arti ornamentali medievali””. Si devono ricordare infine i completamenti del Duomo di Milano, i cui lavori durano per tutto il XIX secolo, le facciate delle chiese fiorentine di Santa Croce (Nicolò Matas, 1857-1863) e Santa Maria del Fiore (Emilio de Fabris, 1866-1887), e il Mulino Stucky a Venezia, raro esempio italiano di gotico applicato a un edificio industriale.
Un dato importante è l’attenzione concessa all’elemento decorativo: sculture, pitture, vetrate, mobilio contribuiscono in modo decisivo alla creazione del sogno e interagiscono con l’architettura, nella quale si registra spesso una tendenza al mix formale. I progetti architettonici mescolano infatti stili diversi con un’idea sostanzialmente eclettica, che si manifesta anche in mode autonome quali il neoromanico, minoritario ma di non poca fortuna tra 1840 e inizio Novecento. L’altra faccia della medaglia è l’eccessiva coerenza: la tendenza cioè a disporre gli elementi prescelti in forme progettuali regolari e ordinate, cosa che nei prototipi romanici e gotici, a causa della lunga durata dei cantieri, non è quasi mai avvenuto.
Per quanto riguarda la pittura, il Medioevo – a differenza del primo Rinascimento – resta un repertorio, uno stimolo ideale, più che un prototipo da riprendere nei suoi singoli elementi come per l’architettura.
In Inghilterra, a partire dagli anni Ottanta del Settecento, pittori come Benjamin West si dedicano alla prima vera pittura di storia basata sulla riproposizione di eventi d’epoca medievale all’interno di ambientazioni ricostruite in modo filologico. Queste cedono poi il passo a un Medioevo eclettico, sempre più estetizzante, per il quale è fondamentale la riscoperta critica dei cosiddetti “primitivi”, fino ai preraffaelliti.
Poco dopo, in Francia, la svolta neocattolica di Napoleone induce a un recupero della pittura sacra in forme tradizionali, dove il mondo della semplicità devota del Medioevo ha un ruolo decisivo: è il movimento dei troubadours, che spesso, come oltremanica, reimposta la tradizione ufficiale e propagandistica delle vicende nazionali, mettendone in luce gli episodi più rilevanti. Questa linea durerà fin quasi agli albori delle avanguardie di fine secolo, dalla Deferenza di san Luigi per la madre di Fleury François Richard (1808, Arenberg, Musée Napoleon) fino agli interventi del 1874-1875 di Puvis de Chavannes, Jean Paul Laurens e altri nel ciclo che illustra le radici cristiane della Francia nel Pantheon parigino, da santa Genoveffa a Clodoveo, allo stesso san Luigi, a Giovanna d’Arco, con un gusto che transita senza scosse dall’Impero alla Restaurazione e alle Repubbliche.
In Germania dal 1809, i Nazareni operano la restaurazione di una semplicità etica, con uno stile apparentemente ingenuo ma raffinato che tenta di cogliere il presunto spirito “puro” di secoli lontani, guardando all’antica pittura tedesca quanto a pittori del Quattrocento italiano come Beato Angelico o Perugino. La schietta dominante religiosa di questo gruppo, uno dei primi a costituirsi quasi in un vero “movimento” con una base programmatica, si evidenzia nella scelta dei soggetti, che in un primo tempo esclude quelli profani e storici; gli esponenti più significativi, tra cui il più noto è Friedrich Overbeck, si trasferiscono presto in Italia, a Roma, dove approfondiscono i legami con l’arte locale, ed estendono i loro interessi anche al Medioevo letterario, quello originario di Dante e quello di finzione di Ariosto e Tasso.
Anche l’Italia si adegua a queste tendenze, con una pittura purista e neo-primitiva in cui la proposizione dei grandi eventi della storia civile e religiosa si incrociano con i temi mutuati dalla letteratura del Medioevo, in particolare da Dante.
Non si può non citare Jean -Auguste -Dominique Ingres, col suo Paolo e Francesca del 1819 (Angers, Museé des Beaux Arts), che mostra un’attitudine verso il passato (riproposta in più versioni dello stesso tema) non filologica ma sentimentale; il Medioevo si combina con lo studio a Roma del Rinascimento italiano e di Raffaello, ed è fonte di ispirazione non solo stilistica in un dipinto come Il fidanzamento tra Raffaello e la Fornarina del 1814 (Baltimora, Art Gallery); ma assume anche le valenze celebrative in senso nazionalistico, come nel più tardo Ritratto di Giovanna d’Arco alla consacrazione di re Carlo VII a Reims , del 1854, oggi al Louvre.
La nostalgia per il Medioevo si compone nel XIX secolo anche e soprattutto di fatti culturali non direttamente connessi alla produzione artistica (che ne è però, come ovvio, enormemente influenzata).
La critica d’arte riscopre progressivamente la pittura anteriore al Rinascimento, i “primitivi”, apprezzati in sé e non più solo come obbligato antecedente. Ciò porta alla valorizzazione museale di oggetti prima poco apprezzati, sia in collezioni permanenti, sia, più tardi, nelle prime mostre di arte medievale. Decisiva si rivela la tendenza alla produzione di copie dei capolavori del Medioevo: mosaici, dipinti, vetrate, o intere architetture in scala 1:1 che nelle sale di un museo, o nelle accademie, formano il gusto del pubblico comune e degli artisti, e sedimentano il senso di una tradizione nazionale. Un esempio è dato dai Museés des Monuments Français che, in varie forme, si alternano a Parigi dalla fine del Settecento, con un forte senso di accentramento delle singole realtà regionali.
La riscoperta dell’estetica medievale nelle “arti minori” ha poi una ricaduta fortissima sulla produzione contemporanea dandole un pedigree attendibile, come avviene nelle Arts and Crafts inglesi di William Morris, che attingono dalla moda neomedievale repertori ricchissimi. Grazie al pubblico che le ama, esse contribuiscono all’apprezzamento del prototipo. Dai primi decenni del Novecento il Medioevo riacquista il ruolo che gli compete nella storia della cultura alta dell’Occidente.
Il Medioevo oscuro, pieno di misteri, fornitore di repertori inconsueti, di location suggestive, quello insomma dei primi romanzi di ambientazione storica della metà del Settecento, persiste nell’immaginario basso, popolare e delle subculture. Un Medioevo fatto di castelli bui, di orride segrete, di riti esoterici, ma anche, ormai, di corruzioni medievaliste abitate da improbabili cantastorie o ricostruzioni culinarie inattendibili che popolano il panorama turistico. È il Medioevo del genere “cappa e spada”, con set che richiamano proprio i castelli neogotici di fine Ottocento o delle trasmissioni televisive para storiche o dei templarismi filmici o letterari, che entra nei nuovi media con esiti dirompenti, e miscela per esempio, in modo sovratemporale e disinvolto, i Cavalieri del Tempio con gli Egizi antichi e la rivoluzione americana (Il Mistero dei Templari, Jon Turtletaub, 2004). La base di partenza è sempre quella: accomunare il Medioevo a tutto ciò che è misterioso e irrazionale; il messaggio è quello di un periodo “diverso”, altro rispetto alla logica, antiscientifico, non corrispondente alle regole. Se si vuole sottolineare lo strano e il lontano, al di là delle cronologie, il romanico e più spesso il gotico non mancano di ottenere risultati: è infatti da qui che spesso prendono spunto visivo in senso lato Il Signore degli anelli o gli episodi della saga di Harry Potter, più nelle loro versioni filmiche che non nei testi originali.
Esiste ovviamente nelle forme di comunicazione moderna, visiva e non, una versione corretta e filologica dell’età di mezzo: per citarne un paio in Pier Paolo Pasolini o Carl Theodor Dreyer (uno dei moderni biografi di Giovanna d’Arco, sulla quale si possono misurare i modi dell’attitudine verso il Medioevo: da Fleming a Bresson, a Besson). Ma la nostalgia del Medioevo da romanzo, appunto, “gotico”, ha ancora molte vite parallele. Nei gruppi musicali di un certo rock, non solo heavy metal (inclusi gli estremi del black o del doom), o nei repertori dei tatuatori a cui i clienti chiedono qualcosa di diverso e strano.