NOVARA
(lat. Novaria)
Città del Piemonte, capoluogo di provincia, situata nella pianura fra i fiumi Sesia e Ticino.N. conobbe insediamenti fin dall'età del Bronzo, ma solo con la costituzione del municipium romano (seconda metà sec. 1° a.C.) si sviluppò in un ordinato reticolo urbano, nella sostanza non più modificato; una cinta muraria pentagonale, conformata su un rilievo naturale, racchiudeva quartieri e insulae, regolarmente disposti intorno al cardo maximus e al decumanus, diretti alle quattro porte maggiori e corrispondenti agli assi viari esterni: la via Settimia, da Genova al passo del Sempione, e la via che collegava Milano a Vercelli.La tradizione fa risalire a s. Gaudenzio (398-418 ca.) la fondazione della Chiesa novarese, documentata tuttavia solo a partire dal 451. Nel sec. 6° Ennodio (Dictio missa Honorato episcopo Novariensi; MGH. Auct. ant., VII, 1885, pp. 121-122) cita la costruzione di una basilica Apostolorum e Procopio di Cesarea (De bello Gotico, II, 12; ed. a cura di D. Comparetti, II, Roma 1896, pp. 82-83) ricorda la riconquista bizantina della città nel corso della guerra greco-gotica.Entrata nel dominio longobardo, N. ne seguì le sorti durante l'affermazione carolingia, anche se è documentata quale comitatus solo alla fine del sec. 10° (I diplomi ottoniani, 1932, p. 34, nr. 4). I vescovi dei secc. 11°-12°, quasi tutti di nazione franca, attuarono la riorganizzazione delle pievi e ottennero diversi diplomi imperiali di esenzioni e privilegi, che avviarono un processo di feudalizzazione ecclesiastica maturato pienamente sotto la casa di Sassonia. La fedeltà dell'episcopato novarese alla causa imperiale valse loro tangibili riconoscimenti: nel 969 Ottone I (936-973) concesse al vescovo Aupaldo (965-993) il districtus sulla città e l'area limitrofa (MGH. Dipl. imp. Germ., I, 1879-1884, p. 566, nr. 414); nel 1000 Ottone III (983-1002) ampliò ulteriormente la giurisdizione del vescovo Pietro III (993-1032), svincolandola ormai da ogni autorità feudale laica (MGH. Dipl. imp. Germ., II, 2, 1893, pp. 801-802, nr. 374); nel 1014 e nel 1025 la Chiesa novarese ottenne dall'impero l'allargamento del suo potere fino ai comitati di Pombia e dell'Ossola e alle corti e castelli della Valsesia, mentre acquisì diritti sui mercati, sulle rive e sui porti del Ticino e assunse funzioni pubbliche di regia potestà.Dalla fine del sec. 11° alla metà del 12°, intorno alla figura feudale del vescovo si consolidarono gruppi sociali e famiglie di vassalli minori destinati a divenire il nerbo del primo Comune. La lotta per le investiture incrinò la secolare alleanza dei vescovi con l'imperatore; nel 1110 Enrico V (1106-1125) incendiò la città e ne distrusse le mura, privilegiando da allora come interlocutrice la comunità dei cives. Questa ottenne nel 1116 la conferma delle proprie consuetudines, il possesso delle mura e altre franchigie (Le carte dell'Archivio Capitolare, 1913-1924, II, pp. 184-185, nr. 296); N. allora ebbe un suo esercito e propri consoli. Già in grado, a metà del secolo, di infeudare proprietà e territori nel contado, il Comune entrò nel controllo della vita economica della Chiesa, in opposizione anche ai forti Capitoli dei Canonici della cattedrale e di S. Gaudenzio. Durante le guerre con Federico I Barbarossa, N. tenne una politica instabile, dettata dallo spostamento delle alleanze contro i suoi vicini più minacciosi, Milano e i conti di Biandrate.Nel contempo il tessuto urbano si arricchì di sedi istituzionali ed ecclesiastiche: dal 1064 è ricordato l'ospedale di S. Maria, dal 1080 il monastero benedettino di S. Lorenzo e la sua chiesa (1100); nel 1124 i Vallombrosani fondarono l'abbazia di S. Bartolomeo, di cui rimane in parte la sala capitolare. Intorno alle due chiese maggiori si riorganizzò la vita comune del clero, soprattutto a opera del vescovo Litifredo (1123-1151). Figura dominante della scena politica lombarda, egli attuò una profonda azione riformatrice anche sulle strutture architettoniche: ricostruì il chiostro della canonica di S. Maria e l'antica basilica di S. Gaudenzio; riedificò verso il 1148 il palazzo episcopale; nel 1132 chiamò a consacrare la nuova cattedrale Innocenzo II (1130-1143), da cui ottenne una bolla di conferma di tutte le fondazioni ecclesiastiche del basso, medio e alto Novarese.Nella seconda metà del sec. 12° si accentuò la divergenza di interessi fra la Curia episcopale e il Comune, che costruì verso il 1208 il proprio palazzo nel recinto del brolo comune. Più evolute tecniche agricole e di allevamento promossero le attività artigianali e commerciali, che si attestarono in un'area porticata fra cattedrale e broletto; nel sec. 13° assunsero pertanto un forte peso politico le Corporazioni dei paratici, insediate dalla metà del Duecento in un proprio edificio lungo l'ala orientale del broletto. In quel secolo N. visse le lacerazioni delle lotte fra le famiglie guelfe e ghibelline e la Chiesa perse progressivamente la sua funzione di cardine. Le regole per una comunità spesso divisa vennero rielaborate negli Statuti comunali del 1276, che definivano le prerogative del governo cittadino, retto con il sistema podestarile; in quel periodo venne costruita anche una rocca, nucleo della successiva fortezza viscontea, alterno baluardo degli opposti gruppi di potere. La presenza a N. nel 1310 di Enrico VII di Lussemburgo (1309-1313), giunto a pacificare le fazioni, non portò conseguenze durevoli; il Comune, da anni in lotta con Biandrate e Vercelli e in dissidio con l'apparato ecclesiastico per questioni giurisdizionali, venne lentamente esautorato fino a seguire le sorti di quello milanese con l'instaurazione nel 1331 della signoria di Giovanni Visconti.Primo documento figurativo della N. cristiana è un frammento di sarcofago scolpito con la Pesca miracolosa di Cristo (duomo, chiostro della Canonica, Mus. lapidario); opera di matrice grecoellenistica, fu importata forse per la necropoli extramuranea della basilica Apostolorum, poi dedicata a s. Gaudenzio (Le più antiche carte, 1937, p. 5, n. 1).Non si conservano tracce di rilievo delle basiliche paleocristiane: recenti e inediti scavi all'esterno della zona già detta di porta S. Gaudenzio hanno restituito fondazioni che potrebbero collegarsi alla basilica Apostolorum, mentre solo un frammento di mosaico con il Cristo-Sole e alcuni capitelli e colonne conservate nell'area episcopale si possono far risalire alla più antica cattedrale.Della metà del sec. 5° resta il battistero, voltato e affrescato all'inizio dell'11° secolo. Su un impianto ottagonale, articolato su un doppio asse a croce, con cappelle alternatamente rettangolari e semicircolari, si erge in elevazione un tamburo a facce piane con grandi finestre centinate. All'interno otto colonne corinzie scandiscono l'invaso, coperto in origine da un tetto ligneo. Lacerti di un pavimento marmoreo a opus sectile e tessere musive sull'intradosso di una finestra sono riferibili alla primitiva decorazione. Scavi degli anni Sessanta hanno messo in luce un coevo atrio d'accesso a forcipe e i basamenti di pilastri di un tardo porticato rettangolare che collegava il battistero alla matrice, a partire almeno dal sec. 8° (Chierici, 1967).Attribuibili all'età longobarda sono due lastre di un ambone inciso rozzamente a bassorilievo, secondo colti modelli ravennati, con pavoni accostati a un kántharos e Daniele nella fossa dei leoni (Minguzzi, 1984-1985).Delle venti chiese cittadine o extramuranee documentate nei secc. 9°-10°, sopravvivono poche sculture architettoniche raccolte, come le precedenti, nel duomo (chiostro della Canonica, Mus. lapidario) o murate all'interno della chiesa di S. Pietro al Rosario.L'affermazione politica ed economica della Chiesa novarese fra la fine del sec. 10° e l'inizio dell'11° e la committenza episcopale di alto profilo che ne derivò si possono tuttora leggere nei segni della campagna ricostruttiva del battistero, sopraelevato e coperto da una volta a spicchi e interamente affrescato intorno al secondo decennio del sec. 11° dal Maestro dell'Apocalisse di Novara. Una teoria di santi entro arcate correva, in primo ordine, lungo le pareti del tamburo, diviso al sommo in otto riquadri che presentano le Sette piaghe dell'Apocalisse. La sapiente struttura spaziale del loggiato dipinto che ospita le scene e l'incisività metallica nel trattamento dei volumi richiamano la miniatura della corte di Enrico II (1002-1024) e i frescanti di S. Vincenzo a Galliano (Mauck, 1975).Una cultura aulica e un vivo gusto per l'Antico sono testimoniati altresì nel sec. 11° nel reimpiego per le liste episcopali del patricius di N., dittico eburneo ravennate della fine del sec. 5° o dell'inizio di quello successivo. La cattedrale, in cui esso tuttora si trova, doveva allora essere già fornita di numerosi codici prodotti nel proprio scriptorium; la Biblia sacra (Bibl. Capitolare, 37/XXXI), del 1020 ca., e il Missale vetus (Bibl. Capitolare, 35/LIV), del 1080 ca., testimoniano diversi caratteri della produzione miniatoria novarese: una netta predilezione grafica la prima, e un efficace ed espressivo naturalismo elaborato su fonti bizantine dirette il secondo (Quazza, 1994).Della fervida attività edilizia documentata fra sec. 11° e 12° rimane la chiesa di Ognissanti (1124), con facciata a due spioventi e tiburio ottagono. Un pur discutibile restauro degli anni Cinquanta ne ha riportato in luce le linee austere dell'impianto a tre navate, coperte a crociere su pilastri compositi, e la volta a pennacchi sul capocroce.Solo antichi documenti iconografici permettono di conoscere le forme della cattedrale romanica di S. Maria, quasi radicalmente distrutta nell'Ottocento: un ampio complesso a tre navate, voltato su pilastri a fascio, dotato di nartece e torri di facciata, con transetto mediano e tiburio a gallerie (Verzone, 1934; Verdier, 1953); resta integra solo la torre campanaria isolata, a N dell'abside, costituita da sette piani in mattone scanditi da cornici ad archetti, alleggerita progressivamente verso l'alto da monofore e bifore. I profondi rimaneggiamenti della struttura, iniziati nel sec. 17° e proseguiti nel 19° con la pressoché completa riedificazione di Alessandro Antonelli (1798-1888), hanno peraltro rispettato nella zona presbiteriale una larga porzione del mosaico pavimentale, databile entro il secondo decennio del 12° secolo. Da disegni ottocenteschi il mosaico risultava sviluppato lungo le tre navate con un programma cosmologico, racchiuso in ampie bordure a tessitura geometrica; nel coro, intorno al riquadro centrale - già occupato dall'altare antico e integrato di fantasia nel 1833-1834 - si aprono a croce quattro campi regolari bordati da greche abitate e da motivi vegetali: vi sono raffigurati Adamo ed Eva a fianco dell'albero del bene e del male, i quattro fiumi del paradiso e i simboli degli evangelisti, circondati dalle personificazioni dei venti. Il tessellato bicromo, rilevato in alcuni particolari da marmi colorati, si inserisce nell'ampia produzione padana del periodo, caratterizzandosi per un gusto grafico-geometrico più accentuato (Marziani, 1987).Questo rigore di scelte, spesso aniconiche, può essere letto anche nella scultura - proveniente dal duomo distrutto o da altre fondazioni cittadine e raccolta nel 1876 nel duomo (chiostro della Canonica, Mus. lapidario) -, che mostra pochi e disomogenei pezzi lavorati: capitelli, chiavi di volta e frammenti di fregi, non sempre tuttavia riconducibili a una scuola autoctona.Sembra invece lunga e brillante tradizione locale la predilezione per la decorazione dipinta, di cui ancora sussistono importanti documenti intorno alla cattedrale.Risale al palazzo episcopale di Litifredo un'ampia sala terrena, coperta da volta costolonata, riconoscibile come l'aula della Curia medievale, in cui emerge dallo scialbo una decorazione a figure entro arcate sottoposte a un baldacchino dipinto, datate differentemente alla metà o all'avanzato 12° secolo. Un ciclo completo con le Storie di s. Siro è conservato invece nell'ambiente contiguo, probabile cappella privata del vescovo Bonifacio (1172-1194). Dati esterni e il linguaggio figurativo accostato alla cultura comnena, ripresa e rinnovata da una sensibilità quasi pregotica, riconnettono le pitture all'arte mosana del 1180 ca. e al classicismo che la contraddistingue (Romano, 1984; Andenna, 1988). Al sec. 12° avanzato può essere riferito anche il più recente ritrovamento, nella sala immediatamente superiore, di scene figurate con un supplice e azioni cavalleresche (Segre Montel, 1994).L'arte novarese, in cui si può accogliere anche il pulpito della basilica di S. Giulio a Orta San Giulio, si conferma come luogo privilegiato di scambi fra l'area lombarda occidentale e la valle del Reno. Il dibattito sui canali di molte innegabili influenze è ancora aperto e può forse trovare altri solidi punti di appoggio nell'approfondimento delle trame politiche e delle biografie dei committenti. Ripropone una dipendenza dall'oreficeria mosana anche la legatura in argento dorato e sbalzato di un evangelistario (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, Cl. 22653) già appartenente al tesoro della cattedrale piemontese e identificabile in un inventario del 1175 (Liebaert, 1911). Una Traditio legis circondata da angeli e santi vescovi entro edicole, sul piatto superiore, e una serie analoga fra clipei con i simboli degli evangelisti, nel piatto inferiore mutilo, sono state attribuite quasi univocamente alla prima metà del sec. 12° e all'opera di un artefice di altissimo livello, accostabile all'autore del paliotto di Stavelot (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; Bianchi, 1990, p. 69).Dopo la splendida età del vescovo Litifredo - cui forse sono state attribuite committenze che potrebbero in futuro essere restituite in parte a suoi predecessori o agli immediati successori - occorre arrivare alle soglie del Duecento per ritrovare un analogo fervore costruttivo. È del 1208 la prima citazione del palazzo del Comune al broletto (Andenna, 1987, p. 70, n. 49), fra i più precoci esempi lombardi di architettura comunale. Un blocco squadrato dalle regolari superfici in mattone a vista si appoggia su un atrio porticato a tre campate rette da pilastri a sezione rettangolare. Tre eleganti trifore, in parte ricostruite su tracce originali, e un lungo fregio dipinto nel sottogronda muovono la limpida struttura architettonica, la cui spazialità già gotica si ordina in una serie di moduli ad quadratum. Ai vertici del tetto a capriate lignee si trovavano in origine due acroteri in pietra in forma di teste virili, ora presso il Mus. Civ.; databili all'inizio del secolo, essi testimoniano, per il fare e la sensibilità di un protogotico padano, l'apertura della città verso i linguaggi aggiornati dei cantieri a E del Ticino. L'esecuzione, qualche decennio più tardi, della fascia narrativa dipinta a scene cavalleresche ribadisce la vocazione di N. ad aprirsi a culture transalpine. Il dipanarsi delle figure, articolate su schemi morfologici presenti nel Livre de portraiture di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093), suggerisce legami non ancora pienamente esplorati con episodi di primo Gotico via via riscoperti fra Piemonte e Lombardia. Il catalogo si è arricchito recentemente di altre figure, dovute allo stesso atelier, venute in luce sul palazzo dei Paratici, e dei Mesi, di omologa fattura, in S. Maria del Gaggiolo a Oleggio (prov. Novara), firmate da Guillelmus de Horta, dati che allontanano l'ipotesi di interventi di pittori esterni.Più oltre, verso un periodo assolutamente povero di sopravvivenze figurative nella cerchia cittadina, la Crocifissione dipinta sull'abside dell'oratorio di S. Siro indica un riorientamento verso esperienze padane. Il Cristo sofferente, empaticamente rappresentato fra le Marie dolenti e il centurione e il suo seguito, rappresentati in abiti moderni, supera il codice tardobizantino con una corporeità e una narrazione più concrete che rimandano sia ad Angera sia al crocifisso ligneo di S. Eustorgio di Milano (Romano, 1984). Riscontri araldici e la ricostruzione di una committenza podestarile hanno fatto proporre la datazione al primo semestre del 1303 (Andenna, 1988).
Bibl.:
Fonti. - P. Liebaert, Un inventaire inédit de la Bibliothèque Capitulaire de Novare, Revue des Bibliothèques 21, 1911, pp. 105-113; Le carte dell'Archivio Capitolare di Santa Maria di Novara, in BSSS, LXXVIII-LXXX, 1913-1924; I diplomi ottoniani e adelaidini e la fondazione del monastero di S. Salvatore di Pavia, a cura di A. Colombo, in Miscellanea pavese, ivi, CXXX, 1932; Le più antiche carte dell'Archivio di San Gaudenzio di Novara (secoli IX-XI), a cura di C. Salsotto, ivi, LXXVII, 1, 1937; M.F. Baroni, Novara e la sua diocesi nel Medioevo attraverso le pergamene dell'Archivio di Stato, Novara 1981; id., L'Ospedale della Carità di Novara. Il codice vetus: documenti dei secoli XII-XIV, Novara 1985.
Letteratura critica. - P. Verzone, Il duomo, la canonica ed il battistero di Novara, Bollettino della Società storica novarese 28, 1934, 3, pp. 5-79; N. Gabrielli, Pitture romaniche (Repertorio delle cose d'arte del Piemonte, 1), Torino 1944; P. Verdier, L'origine structurale et liturgique des transepts de nef des cathédrales de Novare et de Pavie. Leur précédents du VIIe au XIe siècle, in Arte del primo millennio, "Atti del II Convegno per lo studio dell'arte dell'Alto Medioevo, Pavia 1950", a cura di E. Arslan, Torino [1953], pp. 354-361; U. Chierici, Il battistero del duomo di Novara, Novara 1967; C. Formis, Il dittico eburneo della cattedrale di Novara, in Contributi dell'Istituto di Archeologia, I (Pubblicazioni dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. Scienze storiche, 9), Milano 1967, pp. 171-191; F. Cognasso, Storia di Novara, Novara 1971 (nuova ed. 1992); M.B. Mauck, The Apocalypse Frescoes of the Baptistery in Novara, Italy (tesi), Ann Arbor Univ. 1975; M.L. Gavazzoli Tomea, Villard de Honnecourt e Novara. I topoi iconografici delle pitture profane del Broletto, Arte lombarda, n.s., 1979, 52, pp. 31-52; id. Edifici di culto nell'XI e XII secolo. La pianura e la città, in Novara e la sua terra nei secoli XI e XII. Storia, documenti, architettura, a cura di M.L. Gavazzoli Tomea, cat. (Novara 1980), Milano 1980, pp. 31-101; M. Perotti, L'antico duomo di Novara e il suo mosaico pavimentale, Novara 1980; G. Romano, Novara. Oratorio di S. Siro, in Problemi di conservazione e tutela nel Novarese, a cura di D. Biancolini, cat. (Borgomanero 1984), Torino 1984, pp. 90-99; S. Minguzzi, Frammenti di ambone a Novara, FR, s. IV, 127-130, 1984-1985, pp. 297-304; M.C. Uglietti, Il rilievo della nave, Novara 1985; G.C. Andenna, 'Honor et ornamentum civitatis'. Trasformazioni urbane a Novara tra XIII e XVI secolo, in Museo novarese. Documenti, studi e progetti per una nuova immagine delle collezioni civiche, a cura di M.L. Gavazzoli Tomea, cat., Novara 1987, pp. 50-75; M.L. Gavazzoli Tomea, Per un profilo dell'arte medievale in Novara: studi e materiali, ivi, pp. 187-194; F. Marziani, Il mosaico pavimentale del duomo, ivi, pp. 194-201; M. Motta, Novara medievale: problemi di topografia urbana tra fonti scritte e documentazione archeologica (Memorie dell'Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere, 38, 3), Milano 1987, pp. 167-348; G.C. Andenna, Un palazzo, una cappella, un affresco. Tre indagini sulle rappresentazioni visive del potere ecclesiastico e civile a Novara tra XII e XIV secolo, in L'oratorio di S. Siro in Novara. Arte, storia, agiografia tra XII e XIV secolo, Novara 1988, pp. 74-76; A.M. Romanini, Arte comunale, "Atti dell'11° Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Milano 1987", Spoleto 1989, I, pp. 23-52; G. Bianchi, La coperta d'argento sbalzato e dorato, in L'evangeliario di Novara. Legatura d'argento dorato e manoscritto Cl. 22653 del Musée de Cluny a Parigi, Novara 1990, pp. 13-86; S. Gavinelli, La Biblioteca Capitolare di Novara dalle origini al secolo XII. Contributo per un catalogo, Novara 1993; C. Segre Montel, La pittura monumentale, in Piemonte romanico, a cura di G. Romano, Torino 1994, pp. 257-284; A. Quazza, Testimonianze di XI e XII secolo nella Biblioteca Capitolare di Novara, ivi, pp. 333-344; S. Minguzzi, I mosaici pavimentali della cattedrale di Novara dal Tardoantico al Medioevo (Biblioteca FR, 9), Ravenna 1995.M.L. Gavazzoli Tomea