NOVAZIANO
. Vescovo scismatico di Roma nel sec. III. Battezzato (non regolarmente, insinueranno i suoi avversarî) e ordinato prete dal vescovo Fabiano, alla morte di questo, avvenuta durante la persecuzione di Decio (20 gennaio 250), N. aveva già conseguito una posizione preminente in seno alla comunità romana, la direzione della quale dovette essere affidata a lui, in attesa che la fine della persecuzione permettesse l'elezione di un nuovo vescovo. Tanto si desume dal fatto che le due lettere spedite in quell'anno dalla comunità romana a S. Cipriano (sono le lettere XXX e XXXVI dell'epistolario ciprianeo, a cura di Bayard, I, Parigi 1925, pp. 71-77; 89-92) furono redatte da Novaziano. La comunità cartaginese era allora turbata dalla polemica circa il trattamento da usare nei riguardi dei lapsi cioè di coloro che durante la persecuzione avevano in qualche modo ceduto. Investita della questione da Cipriano, la comunità romana, per bocca di N., mostra di approvare pienamente l'atteggiamento assunto dal vescovo di Cartagine, favorevole a rimandare la soluzione della questione a persecuzione terminata. Ma un gruppo di fedeli cartaginesi capeggiati dal prete Novato (si avverta qui che la somiglianza dei due nomi, Novatus e Novatianus, resi tutti e due dagli scrittori greci posteriori con Ναυάτος, Νοουάτος, Ναβάτος, e il fatto che Novato e N. fecero in seguito causa comune, hanno ingenerato più di una confusione) e da un laico, Felicissimo, assunse tale atteggiamento di opposizione che indusse la comunità a scomunicare i dissidenti.
Poiché a Roma si doveva in quel tempo procedere all'elezione regolare del vescovo, Novato, ritenendo fondatamente che il successore di Fabiano sarebbe stato N., si recò a Roma per guadagnare questi alla sua causa. Ma il piano, in parte, fallì: ché Novato riuscì bensì a guadagnarsi il favore di N. e di una parte della comunità, forte dell'appoggio di numerosi confessori, ma non poté impedire che Cornelio fosse eletto vescovo di Roma (marzo 251) in luogo di N. La comunità romana, nella quale erano appena spenti gli echi dello scisma d'Ippolito (v.), si divise nuovamente e la parte contraria a Cornelio elesse vescovo Novaziano. Ma è necessario osservare che lo scisma romano ha alle origini un carattere del tutto personale. Solo quando Cornelio, aderendo ai deliberati del sinodo di Cartagine del maggio 251, formulerà il suo programma (sinodo di Roma dello stesso anno) di sostanziale indulgenza verso i lapsi, lo scisma s'impernierà su questa questione disciplinare, e N. si porrà come campione della più rigida intransigenza, affermando che coloro che si erano resi colpevoli di apostasia non potevano essere riconciliati nemmeno in punto di morte. (Per la questione, strettamente connessa alla storia della disciplina penitenziale, v. anche penitenza).
Scomunicati dal sinodo romano, N. e i suoi aderenti videro la loro condanna ratificata dalla grande maggioranza dei vescovi occidentali e orientali (particolarmente significative le adesioni di Cipriano di Cartagine e di Dionigi d'Alessandria), ma non disarmarono. Anzi, anche quando il gruppo dei confessori romani che aveva aderito ad essi passò alla parte di Cornelio, si diedero a organizzare il movimento con un'attività prodigiosa. E difatto ben presto comunità novazianee furono costituite, con regolare gerarchia in nulla difforme da quella cattolica, un po' dappertutto, a fianco alle cattoliche, in Occidente e in Oriente, soprattutto in Asia Minore dove i novaziani si allearono con le superstiti comunità montanisticheggianti (v. montanismo). Sta di fatto che, a parte l'innegabile prestigio personale esercitato da N., il suo scisma dovette apparire "all'indomani di una persecuzione durante la quale l'onore della Chiesa aveva un poco sofferto, come la protesta dei cristiani intransigenti davanti alla capitolazione dei deboli, come la reazione dei forti contro il compiacente atteggiamento dell'autorità ecclesiastica nei riguardi dei deboli" (É. Amann). Durante la persecuzione di Gallo (253) o durante il primo anno di quella di Valeriano (257), N., come del resto lo stesso Cornelio, dovette essere con tutta probabilità esiliato. A questo episodio si riporta probabilmente la tradizione, di origine novazianea, del martirio di Novaziano.
Chiese novazianee seguitarono a vivere a fianco delle ortodosse fino al sec. V in Occidente e fino all'VIII in Oriente soprattutto in Asia Minore. Divisi dai cattolici da una questione puramente disciplinare, i novazianei fecero causa comune (spesso fraterna) con essi durante le persecuzioni, le polemiche teologiche del sec. IV-V e i torbidi che spesso le accompagnarono. Ma non vollero mai abdicare al loro puritanismo. Anzi quando, tramontata l'epoca delle persecuzioni, la questione dei lapsi non poté più essere posta, irrigiditisi nel loro rigorismo morale, negarono la legittimità di una penitenza postbattesimale non solo agli apostati ma anche ai colpevoli di omicidio e di adulterio, contrariamente a ciò che aveva affermato lo stesso Novaziano. A coloro che passavano alla loro setta amministravano un nuovo battesimo. Benevolmente trattati dagl'imperatori cristiani (Costantino invita un vescovo novazianeo al concilio di Nicea), solo dal sec. V avanzato furono perseguitati come eretici per l'azione combinata della Chiesa e dello Stato.
Opere di Novaziano. - Oltre le lettere già ricordate e una sorta di epistola pastorale De cibis iudaicis (a cura di G. Landgraf e C. Weymann, Lipsia 1898), dove è negato ogni valore alle prescrizioni della legge giudaica in materia alimentare, va certamente riferito a N. un trattato De Trinitate (a cura di W. Yorke Fausset, Cambridge 1909) concepito come spiegazione della regula veritatis e scritto da N. forse prima dello scisma. Questo trattato ha grande importanza non solo come il primo scritto latino redatto a Roma in materia teologica (circostanza che basterebbe da sola a porre N. in prima fila fra gl'iniziatori della teologia occidentale), ma anche perché la dottrina trinitaria ivi difesa da N., per quanto non si discosti troppo dalle posizioni teologiche d'Ireneo e di Tertulliano, rappresenta un punto di partenza notevolissimo per l'ulteriore svolgimento della teologia trinitaria. Dei numerosi altri scritti contenuti fra le opere spurie di S. Cipriano (ed. ciprianea del Hartel, v. cipriano) e attribuiti dalla critica a N. (De spectaculis, De bono pudicitiae, Quod idola dii non sint, De laude martirii, Adversus Iudaeos, De singularitate clericorum) solo il secondo sembra doversi effettivamente considerare come opera di N.
Bibl.: O. Bardenhewer, Gesch. der altchristl. Litt., II, 2ª; ed., Friburgo in B. 1914, p. 626 segg.; A. D'Alès, Novatien, Parigi 1924; H. Koch, Cyprianische Untersuchungen, Bonn 1926, passim; É. Amann, in Dictionnaire de théol. catholique, XI, Parigi 1930, coll. 816-849.