Novità giurisprudenziali in materia di esecuzione forzata
Non si sono avuti interventi legislativi diretti sul processo esecutivo, se si eccettuano alcuni marginali interventi di favore per i debitori contribuenti: a) sono state introdotte – dall’art. 3, co. 5, d.l. 2.3.2012, n. 16, conv. con mod. in l. 26.4.2012, n. 44 – limitazioni alla pignorabilità dei stipendi ed assimilati per crediti tributari (un decimo per importi dovuti fino ad € 2.500 ed un settimo per importi dovuti tra € 2.500 ed € 5.000), nonché alla stessa esperibilità dell’espropriazione immobiliare da parte dell’esattore ed alla facoltà di iscrivere ipoteca (escluse per crediti non superiori ad € 20.000); e b) l’esecuzione esattoriale nel suo complesso è stata preclusa ove il credito non superi € 30 per ogni periodo di imposta (art. 3, co. 10, d.l. n. 16/2012). Solo riflessi sono gli effetti della nuova normativa sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento, al cui commento perciò si rinvia.
Molto significativi sono stati invece gli interventi della giurisprudenza di legittimità in materia di esecuzione forzata, improntati alla sempre maggiore consapevolezza del ruolo determinante dell’esecuzione ai fini della concreta effettività della tutela del diritto.
L’elaborazione si è mossa lungo tre direttrici: a) una prima, di valorizzazione di principi già affermati, portati a conclusioni decisamente innovative, sul ruolo del processo esecutivo; b) una seconda, di migliore focalizzazione di principi generali sulla struttura stessa di tale processo; c) una terza, di elaborazione dei principi della riforma del 2006.
A) Quanto all’affermazione di principi innovativi, tra tutte da segnalare è la pronuncia di Cass., S.U., 2.7.2012, n. 11067, che, facendo breccia in un orientamento assolutamente consolidato, ammette, sia pure a determinate condizioni, la possibilità di un’interpretazione extratestuale del titolo esecutivo giudiziale, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato; inoltre, essa demanda al giudice dell’esecuzione di integrare il pensiero del giudice della cognizione, come formalmente consegnato alla sentenza, con quanto risulta dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice: e tanto, purché della questione e dei relativi elementi probatori si sia effettivamente dibattuto e sugli stessi possa rilevarsi essere intervenuta una decisione, benché non esplicitata. E neppure potrebbe il giudice dell’esecuzione di ufficio rilevare un’eventuale illiquidità del credito, senza invitare le parti a discutere sulla questione e ad integrare le difese sul punto (Cass., S.U., 2.7.2012, n. 11066).
Si tende così ad individuare l’estensione effettiva dell’accertamento compiuto dal giudice con la sentenza, al fine di garantire l’effettività e l’efficacia della funzione giurisdizionale. La tradizionale conclusione dell’inammissibilità di una eterointegrazione del titolo è superata: e si rimanda, con una coraggiosa interpretazione innovativa, al momento dell’intimazione del precetto la più precisa specificazione della pretesa, purché alla stregua del materiale comunque preso in considerazione da parti e giudice della cognizione, salva la possibilità, per l’intimato, di una seria contestazione della stessa e, all’esito di tale ultima, per l’intimante di conseguire in via riconvenzionale, nella parentesi cognitiva in cui consiste l’opposizione esecutiva del debitore, il riconoscimento di tali più precisi – e solo in apparenza maggiori o più ampi – termini della sua pretesa.
Le statuizioni si possono leggere come espressione della consapevolezza del carattere limitato delle risorse destinate alla giustizia e della necessità di valorizzare al massimo, anche in una sede tradizionalmente ritenuta impropria come l’esecuzione, l’attività giurisdizionale come in concreto estrinsecata, per non fare ricadere sulle parti incolpevoli – visto che, in tesi, l’attività sul punto è stata comunque espletata – le lacune o i vizi di espressione del comando formalmente contenuto nel titolo e senza la necessità del gravoso rimedio impugnatorio di questo. Vista la persistenza del rischio di un’imperfezione del titolo esecutivo giudiziale, alle sue lacune può allora ovviarsi soltanto se si acceda ad una cultura di leale cooperazione tra parti e giudice del merito nell’individuazione del risultato concreto perseguito dalle prime.
Il ruolo del processo esecutivo civile nell’ordinamento è ripensato anche nei suoi rapporti con le attività di repressione e quindi con le normative pubblicistiche sull’acquisizione di beni nella lotta alla criminalità, al fine di armonizzare i fini individuali suoi propri con quelli di rilevanza superindividuale tipici del processo penale e di quello delle misure di prevenzione: e la questione dei rapporti tra quello e la confisca disposta in sede penale è stata rimessa alle Sezioni Unite (Cass., ord. 17.2.2012, n. 2338).
Esso resta, comunque, un baluardo anche nei confronti della pubblica amministrazione inadempiente, avendo anche il Consiglio di Stato ribadito, componendo il contrasto con il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, la cumulabilità tra giudizio di ottemperanza e processo esecutivo ordinario (Cons. St., A.P., 10.4.2012, n. 2), in sostanziale coerenza con l’analogo orientamento della Corte di cassazione (da ultimo, Cass., S.U., 1.8.2012, n. 13798).
B) Quanto alla focalizzazione di principi generali sulla struttura del processo esecutivo: si è puntualizzato l’ambito di operatività del principio di ragionevole durata; si è ribadito e portato a conseguenze ulteriori l’indirizzo dell’esclusione del ricorso in Cassazione avverso specifici provvedimenti del giudice, anche in occasione delle opposizioni esecutive, come pure del transito dalla fase sommaria a quella di merito di queste ultime; si sono, infine, meglio precisati alcuni dei doveri del giudice dell’esecuzione.
In ordine al primo aspetto, è stata esclusa l’equa riparazione quando la durata irragionevole si imputa all’inerzia dei creditori (nel deposito della documentazione ex art. 567 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del 2006) e del debitore (nel sollecitare l’estinzione), ma pur sempre ove non vi siano stati ritardi dell’apparato statale (Cass., 7.12.2011, n. 26376); e si è riaffermato (Cass., ord. 7.6.2012, n. 9254) doversi tener conto della peculiarità del processo, sicché può ritenersi ragionevole una durata fino a sette anni se esso si presenti particolarmente complesso, come in caso di un numero particolarmente elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma formalmente autonomi (e, così, a loro volta, di durata vincolata alla complessità del caso), o per i rapporti con una pluralità di procedure indipendenti.
In ordine al secondo aspetto, nel solco di una linea interpretativa che tende a limitare l’accesso alla Cassazione – mediante un’interpretazione restrittiva del presupposto della definitività del provvedimento da impugnare – per esaltare le potenzialità di risoluzione interne allo stesso procedimento di merito, si è a più riprese esclusa la diretta ricorribilità in Cassazione per i provvedimenti del giudice dell’esecuzione. Tanto vale sia quando essi chiudono il processo in modo diverso dall’estinzione tipica (potendo soltanto essere impugnati con opposizione agli atti esecutivi: Cass., 31.1.2012, n. 1353; anche nelle esecuzioni in forma specifica: Cass., 28.6.2012, n. 10869), sia quando essi, di qualunque forma e in qualsiasi sede (anche di reclamo) pronunziati (mai ricorribili direttamente in Cassazione: Cass., 7.8.2012, n. 14184; Cass., ord. 11.7.2012, n. 11688), concludono la fase sommaria delle opposizioni esecutive, senza prevedere il termine per l’instaurazione del merito (Cass., ord. 22.11.2011, n. 24624; Cass., 27.10.2011, n. 22503; Cass., 30.1.2012, n. 1294; Cass., ord. 13.4.2012, n. 6013). In tali casi si può o instare per la correzione del provvedimento con la fissazione del termine stesso, oppure direttamente procedere, a pena di estinzione del processo, all’iscrizione a ruolo; e con la ulteriore specificazione che tali provvedimenti conclusivi della fase sommaria devono contenere anche la condanna alle spese relative.
In ordine al terzo aspetto, si è precisato che sussiste per il giudice dell’esecuzione il dovere, la cui violazione è disciplinarmente sanzionata, di impedire la commissione, anche da parte dei delegati, di fatti integranti reato, pure se il danno sia stato in concreto evitato (come nel caso di peculato commesso dal professionista delegato, nonostante gli indebiti prelevamenti siano stati recuperati: Cass., S.U., 13.9.2011, n. 18701). Inoltre, per il giudice vi è l’obbligo (disciplinarmente sanzionato) di astensione – ai sensi della lett. c), co. 1, dell’art. 51 c.p.c. – in caso sia parte di un contratto di durata con una delle parti, come quello di locazione; ma non possono considerarsi parti del processo esecutivo, ai fini di attivare tale obbligo, quei soggetti diversi dal creditore e dal debitore, come chi presenta offerta di acquisto nella vendita forzata, se non dal momento in cui si manifesta un contrasto – ancorché non formalizzato con opposizione – ove essi siano coinvolti e per il quale sia richiesto l’intervento regolatore del giudice dell’esecuzione (Cass., S.U., 11.4.2012, n. 5701).
C) Ampi sono anche gli interventi di elaborazione dei principi della riforma del 2006.
Sulla disciplina transitoria, si è riconosciuta la validità dell’orientamento della limitazione dell’ultra-attività della disciplina processuale previgente – fatta eccezione per gli interventi dei creditori anteriori alla data di entrata in vigore della riforma, che restano validi secondo la disciplina anteriore – alla sola fase della vendita, ove la relativa ordinanza sia stata pronunciata prima del 1° marzo 2006 (Cass., 24.1.2012, n. 940, che applica la novella al sub-procedimento di conversione, se iniziato dopo tale data). Ogni altro istituto è invece regolato dalla nuova disciplina: ed il regime delle impugnazioni delle ordinanze di sospensione dipende quindi dal tempo in cui il relativo procedimento è iniziato, sicché esse sono reclamabili quando quest’ultimo sia stato intrapreso dopo il 1° marzo 2006, non rilevando quando sia stata disposta la vendita (Cass., ord. 6.3.2012, n. 3498).
La linea di tendenza – propria della riforma del 2006 – dell’ampliamento del novero dei titoli esecutivi è stata seguita con la previsione dell’automatica immediata esecutività dei provvedimenti sull’assegnazione della casa familiare successivi alla fase presidenziale (Cass., 20.3.2012, n. 4376). Ma, nei provvedimenti giudiziali, se la condanna alle spese comporta automaticamente la spettanza della maggiorazione per spese generali (Cass., 27.7.2012, n. 13373) e resta ex se esecutiva (Cass., 28.9.2011, n. 19791) e pure nelle sentenze dichiarative (Cass., 27.7.2012, n. 13373), tale esecutività non si estende alle spese di registrazione (Cass., 27.1.2012, n. 1198).
Ancora, si è affrontata la tematica della c.d. trasformazione del titolo esecutivo, vale a dire quella dei rapporti tra titoli esecutivi per un medesimo credito, che si susseguono nel corso del medesimo processo, il successivo in modifica del precedente (Cass., 18.4.2012, n. 6072): e si è argomentato per la persistente validità degli atti esecutivi, sia pure, in caso di limitazione dell’an, solo quanto alla minore entità del credito riconosciuta nel titolo successivo.
Si è ribadito che la più pregnante tutela dell’aggiudicatario dei beni staggiti costituisce una delle rationes ispiratrici della riforma del 2006 (Cass., 6.12.2011, n. 26202); anzi, l’esigenza di rendere effettiva tale tutela ha indotto a richiedere alle Sezioni Unite la riconsiderazione degli effetti negativi per la vendita giudiziaria dell’illegittimità sostanziale dell’esecuzione ex art. 2929 c.c. (Cass., ord. 20.2.2012, n. 2472). In quest’ottica può iscriversi l’importante precisazione di Cass., 20.3.2012, n. 4378, che specifica il contenuto necessario alla corretta identificazione di quanto concretamente posto in vendita, della stima e del bando (in caso di beni mobili inscindibili per vincolo c.d. storico o artistico da quelli immobili soli pignorati, ma non considerati ai fini della stima); ma, sul tema, va segnalata anche Cass., 8.2.2012, n. 1765, in tema di colpa professionale di un avvocato nell’assistenza ad un partecipante ad una vendita giudiziaria, per imprecisa acquisizione degli elementi necessari ad una consapevole determinazione all’offerta.
Sull’estensione soggettiva del titolo esecutivo, è stata a più riprese affrontata la tematica dell’esecuzione in base a titolo conseguito contro il condominio: ricordata la limitazione dell’esecutività alla quota millesimale (Cass., 19.7.2012, n. 12459), si è ribadita la necessità di una previa (ri)notifica di titolo e precetto al singolo condomino (Cass., 11.11.2011, n. 23693, che specifica non potersi applicare l’art. 654 cpv. c.p.c.; Cass., 30.1.2012, n. 10879; Cass. 24.7.2012, n. 12911).
Nell’espropriazione presso terzi nei confronti di enti pubblici territoriali, in ulteriore specificazione di principi già elaborati, si è accollato all’esecutato l’onere di provare, dinanzi ad una contestazione non generica del creditore, i presupposti per l’impignorabilità delle somme (Cass., 26.3.2012, n. 4820); e si è poi precisato che anche per intervenire nel processo esecutivo contro enti pubblici non economici è necessaria la previa notifica di un titolo ed il rispetto del termine dilatorio di 120 giorni di cui dall’art. 14 d.l. 31.12.1996, n. 669, conv. con mod. in l. 28.2.1997, n. 30 (Cass. 18.4.2012, n. 6067).
Nell’esecuzione per rilascio di immobili, è stata per la prima volta esaminata la speciale impugnativa dei provvedimenti coi quali, pronunciando condanna per cessazione o risoluzione del contratto di locazione, il giudice della cognizione fissa il termine per l’esecuzione, ai sensi del nuovo testo dell’art. 56 l. 27.7.1978, n. 392 (come modificato dall’art. 7 bis d.l. 13.9.2004, n. 240, conv. con mod. in l. 12.11.2004, n. 269): e si è, tra l’altro, esclusa l’operatività di termini perentori, solo statuendosi l’inammissibilità dell’opposizione una volta spirato il termine originariamente fissato (Cass., 23.7.2012, n. 12814).
Nell’espropriazione contro il terzo proprietario, ribadito il principio del contraddittorio necessario con il debitore diretto sia nel procedimento esecutivo (Cass., 17.1.2012, n. 535) che nelle opposizioni (Cass., 27.1.2012, n. 1192), si è precisato che, iniziando questo con la notifica e la trascrizione del pignoramento solo contro il terzo proprietario, non può proseguire ove il bene rientri con effetto ex tunc nella proprietà del debitore diretto (Cass., 17.1.2012, n. 536).
Sulle opposizioni esecutive è proseguita l’attività di armonizzazione della disciplina ai principi delle riforme del 2006 anche in tema di giudizio di cognizione.
In primo luogo, si precisa ulteriormente l’inammissibilità di motivi nuovi di opposizione, siano esse all’esecuzione o agli atti esecutivi, sicché essi devono essere completamente dispiegati fin dall’atto introduttivo e non possono essere successivamente integrati o ampliati (Cass., 8.5.2012, n. 6927; Cass., 23.7.2012, n. 12804; Cass., 31.7.2012, n. 13657), salve le consentite limitate modifiche ex art. 183 c.p.c.; e con la sola eccezione del venir meno del titolo esecutivo (Cass., 13.3.2012, n. 3977), la verifica della persistenza del quale va operata anche di ufficio (Cass., 26.3.2012, n. 4814).
Si è statuito che difetta di interesse ad opporsi il debitore che faccia valere di non essere proprietario del bene pignorato (Cass., 18.1.2012, n. 690); e si è ribadito che la sospensione dell’esecutorietà del titolo esecutivo comporta esclusivamente la sospensione, se del caso ex art. 623 c.p.c., del processo esecutivo fino alla definizione del giudizio di cognizione relativo al credito consacrato in detto titolo (Cass., 27.7.2012, n. 13375). Inoltre, con l’opposizione agli atti esecutivi non può validamente impugnarsi, se non per vizi suoi propri, un provvedimento di rigetto di istanza di revoca di un precedente provvedimento, avverso il quale ultimo non sia stata tempestivamente proposta opposizione (Cass., 9.3.2012, n. 3723).
Si sono per la prima volta applicati all’art. 627 c.p.c. i principi della riforma del 1990 sull’immediata esecutività della sentenza di primo grado: sicché, in caso di rigetto dell’opposizione, il potere di riassunzione sorge immediatamente, ma il relativo termine di perenzione decorre da quella solo in caso di mancata impugnazione (o, in caso di impugnazione, dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado: Cass., 21.11.2011, n. 24447).
Circa l’estinzione del processo esecutivo, si è consentito ad ogni interessato – e così anche al debitore fallito (pure se sia subentrata la curatela) ed al partecipante alla vendita non aggiudicatario – di sollecitare il giudice dell’esecuzione ad esercitare il potere ormai ufficioso di dichiararla e si è perciò abilitato appunto qualunque interessato – cioè chiunque possa trarne un vantaggio – ad impugnare il relativo provvedimento con il reclamo (Cass., 5.4.2012, n. 5539); ma l’interesse a proporlo avverso la declaratoria di estinzione è stato in concreto escluso in capo al debitore (Cass., 28.6.2012, n. 10877).
Sono poi intervenute le prime pronunce sulla cd. divisione endoesecutiva, in essa ammettendosi, in particolare, la contestazione della persistenza del titolo esecutivo da parte del debitore ai fini di negare l’interesse del creditore procedente ad agire (Cass., 18.4.2012, n. 6072).