Novità importanti nel codice della nautica da diporto
Il d.lgs. 3.11.2017, n. 229, in attuazione della delega conferita con l. 7.10.2015, n. 167, reca numerose e significative modifiche ed integrazioni al cd. codice della nautica da diporto col fine di rendere il comparto maggiormente competitivo. Accanto a misure di snellimento delle procedure amministrative esistenti, la riforma consolida l’equiparazione tra impiego commerciale e quello strettamente lusorio del mezzo nautico (già sancita nel regime previgente) ed estende al diporto l’applicabilità della disciplina sulla limitazione di responsabilità dell’armatore. L’intervento reca inoltre innovazioni rilevanti in tema di professioni nel diporto, di controlli di sicurezza, di infrastrutture e mira a rendere il sistema fin d’ora compatibile con le misure di futura attuazione in materia di informatizzazione e unificazione della tenuta dei registri navali. L’efficacia di molte delle misure introdotte è però subordinata all’emanazione di successivi decreti attuativi.
Col d.lgs. 3.11.2017, n. 229, che attua la delega conferita con l. 7.10.2015, n. 1671, vengono apportate significative modifiche al cd. codice della nautica da diporto (c. dip.) approvato con d.lgs. 18.7.2005, n. 171. Per meglio comprendere la portata e le conseguenze della riforma sembra opportuno ripercorrere brevemente il processo che ha portato all’attuale quadro normativo.
La peculiarità della navigazione da diporto risiede nella finalità non professionale e priva di scopo di lucro perseguita dall’utilizzatore del mezzo nautico.
Questa caratteristica, insieme con la connessa, maggiore semplificazione del fattore tecnico rispetto alla navigazione mercantile, ha determinato l’esigenza di disciplinare il fenomeno con norme specifiche, il cui rapporto con la normativa generale del diritto della navigazione, pur messo in discussione da taluni, può definirsi di accentuata specialità e non di autonomia2.
La rilevanza, anche sistematica, della pertinente disciplina è cresciuta di pari passo alla diffusione pratica dell’attività diportistica: da un gruppo di poche norme contenute nel codice della navigazione, che regolavano gli aspetti per i quali più netta si avvertiva l’inadeguatezza delle norme comuni (come il comando e la costruzione delle navi da diporto), si è passati con la l. 11.2.1971, n. 50, nel pieno del cd. boom della nautica da diporto, alla prima disciplina organica del settore3.
A partire da questo momento prende l’avvio un percorso caratterizzato da numerosi interventi di modifica e di integrazione del quadro normativo – anche di matrice europea – che hanno finito col renderlo frammentario, oltre che di difficile consultazione e che ha fatto avvertire l’esigenza di unico testo che raccogliesse (ed aggiornasse) la disciplina del diporto nautico.
Di qui l’emanazione, con il d.lgs. n. 171/2005 (c. dip.) – e, successivamente, del regolamento di attuazione approvato con d.m. 29.7.2008, n. 146 – con cui si è inteso realizzare un complessivo riassetto della materia e si è voluto altresì introdurre misure innovative e di snellimento del regime amministrativo delle unità da diporto, nell’ottica della semplificazione. Sul piano sistematico, il rinvio alle disposizioni del codice della navigazione viene espressamente subordinato alla mancanza di specifiche norme, anche di rango secondario, in materia di diporto (art. 1, co. 3, c. dip.). Finalità in parte analoghe sono alla base della spinta riformatrice che ha dato vita all’intervento normativo in commento. A dieci anni di distanza dall’approvazione del codice della nautica da diporto, attraverso la l. delega n. 167/2015 si è riaffermato infatti il bisogno di coordinamento con le disposizioni nel frattempo intervenute e si è riproposta l’esigenza di semplificare nel complesso le procedure amministrative nonché di inserire innovazioni, anche alla luce dell’esperienza applicativa della disciplina previgente. La semplificazione viene dichiaratamente assunta a strumento volto a favorire la competitività del settore del diporto italiano, con particolare riguardo a quello dei cd. commercial yacht, rispetto ad altri ordinamenti europei, caratterizzati da sistemi più agili e di conseguenza più attraenti per gli operatori e per gli utenti. Accanto alle numerose misure tese alla semplificazione, l’intervento fa registrare significative novità in molti ed eterogenei aspetti, tra i quali spiccano la disciplina delle professioni del diporto, l’inasprimento del trattamento sanzionatorio, le misure sulla portualità, la valorizzazione della cultura marinaresca. La riforma non tocca esplicitamente il tema del rapporto tra codice della navigazione e disciplina del diporto ma certe scelte del legislatore confermano l’idea di unitarietà della materia della navigazione.
L’intervento riformatore si compone di sessantasette articoli e sedici allegati e, come sopra accennato, modifica e innova numerosi aspetti della disciplina dettata dal c. dip. Verranno di seguito passate in rassegna le novità più rilevanti recate dal d.lgs. n. 229/2017.
Fra le modifiche destinate ad avere maggior impatto, va sicuramente annoverato l’inserimento nel testo di misure in materia di informatizzazione ed unificazione della tenuta dei registri navali, attualmente caratterizzata da una gestione cartacea e decentrata presso ciascun circondario marittimo.
Originariamente concepito per essere oggetto di un intervento ad hoc, nel corso dell’iter di elaborazione della riforma, si è deciso di realizzare all’interno del c. dip. il coordinamento tra il regime amministrativo delle unità da diporto ed il Sistema telematico della nautica da diporto (SISTE), nonostante la mancanza dei regolamenti attuativi. Ciò si è tradotto, in sede di formulazione delle norme sul regime amministrativo delle navi e delle imbarcazioni da diporto, nell’eliminazione dei riferimenti ai tradizionali registri navali e nell’inserimento dei richiami al SISTE e alle sue articolazioni4, con l’obiettivo di rendere il c. dip. già compatibile con le future misure di attuazione e di innescare un effetto di induzione virtuosa alla concreta realizzazione delle stesse5. Sempre nel quadro della semplificazione con l’uso di tecnologie informatiche, deve essere evidenziata l’introduzione dell’art. 39 bis nel c. dip., che istituisce l’anagrafe nazionale delle patenti nautiche. La disposizione, oltre a soddisfare l’esigenza di avere un archivio centralizzato delle patenti in grado di acquisire i dati degli utenti e le relative variazioni, si pone l’obiettivo di favorire la sicurezza della navigazione attraverso la possibilità di verifica in tempo reale dei requisiti di validità delle patenti nautiche e l’applicazione di eventuali sanzioni. Di particolare rilievo si preannunciano anche le novità in materia di sicurezza della navigazione da diporto. Da un lato si segnala la previsione normativa volta alla razionalizzazione dei controlli di routine (art. 26 bis c. dip.)6. Si tratta in sostanza dell’espresso riconoscimento normativo di un’iniziativa già consolidata nella prassi (cd. bollino blu) e volta ad evitare il fenomeno, particolarmente avvertito nella stagione balneare, della duplicazione degli accertamenti sulla stessa unità in caso di esito favorevole del controllo sui documenti di bordo, sulle dotazioni di sicurezza e sui titoli abilitativi al comando. Dal lato opposto, occorre tuttavia evidenziare un generalizzato inasprimento del trattamento sanzionatorio degli illeciti che destano maggior allarme sociale.
Di sicuro interesse è la nuova classificazione delle unità da diporto, realizzata per far fronte ad un’esigenza duplice: per un verso il coordinamento con il d.lgs. 11.1.2016, n. 5 a sua volta di attuazione della dir. 2013/53/UE, in materia di requisiti per la progettazione e la produzione delle unità da diporto, tra cui vengono incluse le moto d’acqua; per altro verso, il fenomeno del cd. gigantismo navale, crescente anche nel settore del diporto nautico, e la conseguente necessità di evitare di applicare lo stesso regime amministrativo a unità profondamente diverse sul piano delle dimensioni.
Se allora il testo previgente dell’art. 3 c. dip. distingueva i veicoli destinati alla navigazione da diporto in navi, imbarcazioni e natanti – tutti ricompresi nella denominazione di «unità da diporto» – esclusivamente in base alla lunghezza dello scafo, la novella del 2017 innova sensibilmente la classificazione sotto diversi aspetti. La dicitura onnicomprensiva di unità da diporto (art. 3, co. 1, lett. a) viene mantenuta ma vi si introduce la nozione di «unità utilizzata a fini commerciali» (che viene corredata della dizione inglese «commercial yacht») nella quale vengono espressamente incluse le navi di cui all’art. 3 della l. n. 172/2003, ossia le navi da diporto iscritte nel cd. registro internazionale7. Si tratta di navi adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche, il cui novero viene dalla novella in commento peraltro ampliato attraverso l’eliminazione del limite di mille tonnellate di stazza lorda (art. 57, co. 1, d.lgs. n. 229/2017). Rilevanti novità riguardano anche la categoria delle navi da diporto, che viene suddivisa in due sottogruppi in base al criterio della stazza (navi da diporto maggiore e da diporto minore). Tra le unità da diporto, infine, trova, come anticipato, ingresso la categoria delle «moto d’acqua», la cui definizione riproduce espressamente quella contenuta nel d.lgs. n. 5/2016 (art. 3, co. 1, lett. h, c. dip.) e quella delle «navi da diporto minore storiche», distinte per stazza e per anno di costruzione (art. 3, co. 1, lett. e, c. dip.).
È un dato ormai acquisito che l’attività diportistica può essere esercitata sia con imbarcazioni proprie che di terzi senza che tale ultima evenienza, implicando necessariamente la conclusione di contratti, contrasti con il peculiare aspetto finalistico, presente comunque nell’utilizzatore finale del mezzo nautico.
Il legislatore, in ragione della crescente importanza della destinazione commerciale delle unità da diporto e della sua rilevanza strategica nella prospettiva del rilancio della nautica da diporto, ha introdotto significative novità sia sul piano definitorio che su quello della disciplina positiva.
La riforma costituisce, al riguardo, la più recente tappa di un processo che si pone in netta controtendenza rispetto all’originaria impostazione del codice della navigazione, che neppure contemplava il perseguimento di finalità lucrative con unità da diporto, ritenuto concettualmente incompatibile con la natura stessa del diporto.
Per vero il c. dip., nel testo antecedente alla riforma, aveva già pienamente riconosciuto la possibilità di impiego commerciale delle unità da diporto stabilendo, all’art. 2, che le stesse potessero essere oggetto di contratti di locazione e noleggio oppure che potessero essere utilizzate per l’insegnamento della navigazione da diporto oppure ancora come appoggio all’attività di immersione subacquea. La novella recata dalla l. 12.7.2011, n. 106 aveva poi apportato rilevanti modifiche, soprattutto sotto il profilo terminologico, stabilendo che le disposizioni del c. dip. «si applicano alla navigazione da diporto, anche se esercitata per fini commerciali». Il d.lgs. n. 229/2017 compie un ulteriore passo nella direzione tracciata e interviene in primo luogo ad equiparare totalmente, sul piano definitorio, l’uso commerciale del mezzo nautico rispetto a quello strettamente lusorio e introducendo misure, nel più generale ambito di semplificazione del regime amministrativo del diporto, volte a snellire la disciplina dell’utilizzazione commerciale. In particolare l’art. 1, co. 1, c. dip. nella nuova formulazione, stabilisce espressamente che le disposizioni del codice si applicano «alla navigazione da diporto esercitata, per fini esclusivamente lusori o anche commerciali» mentre, al co. 3, chiarisce che per navigazione da diporto si intende «quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché quella esercitata a scopi commerciali». Oltre a quelle già previste nel precedente testo, vengono inserite, all’art. 2, altre due ipotesi di utilizzazione commerciale del mezzo nautico e cioè: l’attività di assistenza all’ormeggio nell’ambito delle strutture dedicate alla nautica da diporto (art. 2, co. 1, lett. c-bis); l’attività di assistenza e di traino delle unità in regime di navigazione temporanea (art. 2, co. 1, lett. c-ter). Sul piano della disciplina positiva, particolare rilievo assumono poi le misure volte allo snellimento delle procedure amministrative relative all’iscrizione e alla tenuta dei documenti di bordo (art. 15 ter c. dip.) nonché la previsione, sebbene solo programmatica, dell’emanazione di un Passenger Yacht Code italiano (art. 59, co. 1, lett. aa, d.lgs. n. 229/2017)8. Nel quadro più in generale della semplificazione degli adempimenti amministrativi, va poi menzionata l’estensione della facilitazione per l’iscrizione provvisoria, prima prevista solo per i natanti, anche ai proprietari ed agli utilizzatori in leasing di imbarcazioni e navi da diporto (art. 20 c. dip). Tale misura, come chiarisce la relazione illustrativa, consente di anticipare l’iscrizione del mezzo con la semplice fattura di acquisto anziché con il titolo di proprietà perfezionato, mirando così ad allineare la nostra bandiera a quella dei paesi nordeuropei e alla bandiera inglese. Importanti novità riguardano anche l’impiego commerciale dei natanti da diporto, ambito nel quale si segnalano: il dovere di annotazione dell’utilizzo (art. 2, co. 2-bis, c. dip.); particolari obblighi per il conduttore (art. 27, co. 6-bis, c. dip.); l’obbligo di assicurazione per i danni riportati dal conduttore e dalle persone trasportate (art. 41, co. 3-bis, c. dip.).
Di rilievo è l’introduzione nel c. dip. dell’art. 24 bis. La norma disciplina la «dichiarazione di armatore» rinviando alle disposizioni sull’armatore e sulle società di armamento tra comproprietari dettate dal c. nav. (titolo III, capo I e capo II) e al contempo riproducendone al suo interno le principali disposizioni – anche quelle in tema di limitazione della responsabilità dell’armatore – con l’ulteriore specificazione che in caso di unità concessa in leasing, armatore si presume l’utilizzatore. Come è noto, il c. nav. istituisce un sistema di limitazione della responsabilità dell’armatore commisurato al valore della nave con l’aggiunta dell’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio. Al di là dell’opinabilità della scelta di cumulare il rinvio con la riproduzione testuale delle norme richiamate (motivata nella relazione accompagnatoria dall’esigenza di garantire la migliore comprensione del quadro normativo), la decisione di inserire una articolo specifico sull’argomento e di uniformare la disciplina a quella del c. nav. costituisce una modifica significativa rispetto alla previgente formulazione che nulla disponeva al riguardo; ancor più significativa rispetto alla l. n. 50/1971 che addirittura escludeva o limitava l’applicabilità della disciplina della limitazione del debito di cui all’art. 275 c. nav. È da dire tuttavia che nel vigore del testo ante riforma la mancanza di norme speciali e il dettato dell’art. 1, co. 3, c. dip. – che proprio in ipotesi di lacuna impone il ricorso al c. nav. – aveva indotto parte della dottrina a ritenere che potesse esservi un’apertura all’applicabilità della limitazione della responsabilità dell’armatore al diporto9, con esclusione di quei casi privi di qualsiasi forma di organizzazione in cui non era configurabile l’esercizio (come ad esempio nell’ipotesi dei cd. natanti da spiaggia). Ciò anche tenuto conto del fatto che il diverso sistema introdotto dal d.lgs. 28.6.2012, n. 11110 ed ispirato alla Convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione dei crediti marittimi ha scarso rilievo pratico nel diporto, in quanto applicabile alle sole navi di stazza superiore alle trecento tonnellate, assai rare in questo settore.
Una parte significativa delle innovazioni recate dal d.lgs. n. 229/2017 è quella riservata al riconoscimento normativo di figure professionali specifiche del diporto e molto diffuse nella prassi.
Viene così istituita ex novo la figura dell’istruttore di vela, definito come «colui che insegna professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, a persone singole e a gruppi di persone, le tecniche della navigazione a vela in tutte le loro specializzazioni, esercitate con qualsiasi tipo di unità, in mare, nei laghi e nelle acque interne». La novella riserva l’esercizio professionale agli iscritti in un apposito elenco tenuto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e detta i requisiti specifici per l’iscrizione (artt. 49 quinquies e 49 sexies c. dip.) Particolare importanza assume la revisione – per usare la terminologia della legge delega – della disciplina del mediatore della nautica da diporto «al fine di adattarla alle specifiche esigenze e caratteristiche del settore della nautica da diporto». In realtà più che di revisione si tratta della introduzione della disciplina completamente novellata rispetto a quella già prevista, ma in forma molto sommaria, agli artt. 50 e 51 c. dip. La vecchia normativa si limitava, infatti, ad attribuire alle regioni la competenza sulla disciplina dei requisiti e delle modalità di accesso al relativo ruolo. Tale disciplina, circoscritta peraltro a pochi aspetti di natura pubblicistica, è rimasta di fatto inattuata – anche per via dalla mancata indicazione dei principi generali a cui le regioni erano obbligate ad attenersi – fino ad essere espressamente abrogata11. L’assenza di una normativa specifica sulla mediazione nel diporto comportava peraltro la riemersione del problema dell’applicabilità o meno della normativa generale sulla mediazione marittima di cui alla l. 12.3.1968, n. 478, pur nella condivisa consapevolezza dell’obiettiva specificità delle esigenze del settore del diporto. Di qui, come detto, l’esigenza di prevedere una disciplina specifica per il mediatore del diporto che fosse anche semplificata rispetto a quella del mediatore marittimo. La riforma è meritoria perché introduce una disciplina certamente più organica di quella precedentemente vigente, con significativi elementi di semplificazione e differenziazione rispetto a quella di diritto comune (artt. 49 ter e 49 quater c. dip.) A prescindere dalla definizione della figura12, che rievoca quella del mediatore marittimo tout court ma ne circoscrive l’attività al diporto, sicuramente innovativa è la disciplina dell’accesso alla professione che prevede il superamento (salvo che per i mediatori marittimi ammessi di diritto) di un corso teorico pratico organizzato dalla regioni (e non dell’esame presso le Camere di commercio come stabilito dalla l. n. 478/1968) e l’assoggettamento dell’attività alla procedura semplificata della SCIA. In questo modo viene peraltro superata la dibattuta questione relativa all’iscrizione del mediatore professionista operante nella nautica da diporto nel ruolo dei mediatori marittimi, ritenuta nel previgente regime necessaria dalle camere di commercio a fronte della soluzione opposta avanzata in dottrina13. La novella regolamenta anche il profilo deontologico del mediatore della nautica da diporto. Continua a mancare anche la regolamentazione dei profili privatistici della professione (assenza per altro comune anche alla mediazione relativa alla navigazione commerciale).
Con le disposizioni del capo II quater il legislatore si occupa di introdurre misure dedicate alle strutture ricettive della nautica da diporto. In parte si tratta di previsioni dal tenore non del tutto inedito – in quanto spesso contenute negli atti concessori e in alcune circolari ministeriali – ma alle quali l’intervento di riforma, attraverso l’espresso inserimento nel c. dip., ha inteso dare organicità e maggiore forza cogente. L’art. 49 novies stabilisce l’obbligo per i concessionari di riservare tratti di banchina per ormeggi di breve durata alle unità in transito o che approdano per rifugio e determina una specifica riserva nonché particolari modalità di utilizzo dell’ormeggio per le unità da diporto condotte da persone diversamente abili o con persone diversamente abili a bordo. L’art. 49 decies, al fine di proteggere l’ecosistema delle aree marine protette, regolamenta le infrastrutture leggere (come i cd. campi boa), prevedendo una riserva di ormeggi per le unità a vela e disponendo il divieto di ancoraggio al fondale. L’art. 49 undecies prevede la possibilità che i beni demaniali, non in regime di concessione, possano essere destinati al cd. dry storage, ossia allo stazionamento di unità da diporto nei periodi di non utilizzo. Di sicuro interesse è, infine, la previsione di cui all’art. 49 duodecies che istituisce il servizio di assistenza e traino per imbarcazioni e natanti in mare, introducendo così una disciplina specifica per il soccorso, salvo rinviare al regolamento di attuazione per la disciplina dei criteri e delle modalità di svolgimento del servizio. L’assenza di regolamentazione del soccorso nel regime previgente rendeva di fatto applicabile al soccorso prestato in favore delle imbarcazioni di maggiori dimensioni la disciplina stabilita per la navigazione mercantile, particolarmente penalizzante per il diporto, soprattutto in relazione ai profili della spettanza e della misura del compenso per l’assistenza e il salvataggio.
La riforma attuata col d.lgs. n. 229/2017 sembra coerente con i principi e gli obiettivi della legge delega e si prefigge di realizzare gli attesi correttivi alle criticità emerse nell’applicazione del previgente c. dip. Larga parte delle innovazioni introdotte (fra cui anche quella, tanto epocale quanto complessa, che interviene sulle modalità di tenuta dei registri navali, in analogia con quanto da tempo avvenuto nel settore automobilistico) per vedere concretamente la luce necessita, però, dell’emanazione di decreti attuativi, al momento della stesura del presente contributo non ancora adottati. La valutazione della riuscita delle modifiche apportate al quadro normativo e del raggiungimento degli obiettivi della semplificazione e del rilancio del settore del diporto potrà, pertanto, essere efficacemente compiuta solo all’esito dell’esame del contenuto dei regolamenti attuativi, nonché a fronte dell’effettiva applicazione dei punti salienti della riforma.
Sennonché dall’esame del testo del d.lgs. n. 229/2017 alcune perplessità emergono fin d’ora e riguardano uno dei pochi aspetti con marcati riflessi privatistici toccati dalla novella. Si allude, in particolare, alla questione della configurabilità dell’esercizio nautico nel diporto ed a quella, connessa, dell’applicabilità al settore dell’istituto della limitazione della responsabilità dell’armatore previsto dal c. nav.
Ad una prima lettura, il dato testuale dell’art. 24 bis – a mente del quale «chi assume l’esercizio di unità da diporto deve fare la dichiarazione di armatore» – sembra avvalorare l’impostazione, certamente non pacifica, secondo cui la nozione di esercizio nel diporto ricorre indipendentemente dai requisiti dimensionali dell’unità e dalla sussistenza di un’organizzazione armatoriale14. Da un lato scompare nel testo definitivo della norma sulla dichiarazione di armatore il riferimento (presente invece nelle versioni precedenti) alla destinazione commerciale dell’unità da diporto; dall’altro viene aggiunto all’art. 2 c. dip. il co. 2-bis che prevede l’annotazione dell’utilizzazione commerciale dei natanti, rinviando per le modalità all’emanando regolamento di attuazione.
Ulteriori perplessità desta la consequenziale e meccanica estensione della disciplina della limitazione della responsabilità dell’armatore del c. nav. alle unità da diporto di stazza inferiore alle trecento tonnellate, indipendentemente dal tipo di impiego del mezzo nautico.
La nuova norma, di fatto, porta all’interno del c. dip. la soluzione che era in un certo senso obbligata nel vigore del vecchio testo in considerazione dell’assenza di disposizioni speciali e del rinvio al c. nav. formulato in via generale dall’art. 1, co. 3, c. dip. Si tratta però di soluzione che non è andata esente da critiche.
È infatti innegabile che le esigenze di politica economica che sono state poste a fondamento dell’introduzione del beneficio della limitazione nel settore mercantile non si rinvengono nel diporto. Oltretutto in molti casi l’unità da diporto hanno un valore modesto, con la conseguenza che l’individuazione della somma limite effettuata sulla base del predetta entità può condurre in concreto a risultati aberranti. Vi è poi l’ostacolo, assai rilevante, dell’obiettiva incompatibilità del regime speciale della limitazione armatoriale con quello della responsabilità per la circolazione delle unità da diporto conformato allo schema dell’art. 2054 c.c., nonché con la disciplina dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile prevista dall’art. 41 c. dip.15. Sotto questo profilo, quindi, la riforma, nella misura in cui si limita a riprodurre testualmente la disciplina della limitazione della responsabilità armatoriale dettata dal c. nav., sembra rappresentare un’occasione persa per introdurre, nella normativa settoriale sul diporto nautico, una regolamentazione più meditata e più adeguata alle peculiarità del settore medesimo16.
1 Sulla l. delega v. Romagnoli, E., La riforma del codice della nautica: prime osservazioni sulla l. 167/15, in Dir. mar. 2015, 768; Raiola, A., Manuale della navigazione da diporto, Pisa, 2016, 52 ss.
2 Sull’argomento v. Antonini, A., La legislazione sulla navigazione da diporto nel sistema del diritto della navigazione, in Comenale Pinto, M.M.-Rosafio, E., a cura di, Il diporto come fenomeno diffuso, Roma, 2015, 19 ss.
3 La l. n. 50/1971 stabiliva un esplicito rinvio alle norme del diritto della navigazione per gli aspetti non disciplinati dalla normativa speciale sul diporto. Tale rinvio è stato in seguito eliminato dall’art. 1 l. 8.7.2003, n. 172.
4 Vale a dire: l’Archivio telematico centrale, l’Ufficio di conservatoria centrale delle unità da diporto, gli Sportelli telematici del diportista.
5 In questo senso si è espresso il parere del Consiglio di Stato, 18.10.2017, n. 2162 reso sullo schema di decreto.
6 La cui competenza esclusiva, sotto i profili della pianificazione, della direzione e del coordinamento viene attribuita al Corpo della Capitaneria di porto-Guardia costiera.
7 Istituito con d.l. 30.12.1997, n. 457, conv. con mod. dalla l. 27.2.1998, n. 30. L’iscrizione in tale speciale registro comporta benefici fiscali e contributivi.
8 Si tratta di un codice volto a regolamentare e razionalizzare rispetto alle convenzioni internazionali i requisiti e gli standard che devono essere soddisfatti dalle unità da diporto
che trasportano più di dodici ma non più di trentasei passeggeri in viaggi internazionali e che non trasportano cargo.
9 Cfr. Comenale Pinto, M.M., Impiego del mezzo nautico e profili di responsabilità, in La Torre, U.- Sia, M., a cura di, Diporto e turismo fra autonomia e specialità, Roma, 2014,113 ss.
10 Sul d.lgs. n. 111/2012 cfr. Zampone, A., Assicurazione e responsabilità dell’armatore, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 470.
11 Ad opera dell’art. 80 ter del d.lgs. 26.3.2010, n. 59 come modificato dall’art. 9 del d.lgs. 6.8.2010, n. 147.
12 Mediatore del diporto è colui che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, due o più parti per la conclusione di contratti di costruzione, compravendita, locazione, noleggio e ormeggio di unità da diporto.
13 Sul punto sia consentito rinviare, anche per i riferimenti bibliografici, a Mancini, F., Il Mediatore marittimo, in Antonini, A., a cura di, Trattato di diritto marittimo, I, Milano, 2007, 183 ss.
14 Sull’argomento v. Comenale Pinto, M.M., La limitazione del debito nel diporto nautico, in Dir. tur., 2006, 3, 232.
15 Benelli, G., La limitazione della responsabilità dell’armatore, in Trattato di diritto marittimo, cit., VI, 262 ss.
16 Si veda sul punto anche quanto affermato da Pasino, A., The reform of the Italian yachting code, relazione al Convegno «III Adriatic Maritime Law Conference» (Grado, 24-25 Maggio 2018), secondo il quale «the incisive role of the commercial use of recreational craft in maritime economy in the last decades [..] seems to justify the extension of the limitation of liability also to the owners of recreational craft, at least in those situations in which the operation is aimed at an economic activity and the extension of the benefit fulfils its original purpose».