Novità in materia di giudizio di appello
La giurisprudenza dell’ultimo anno in tema di giudizio di appello continua a tentare nel concreto una difficile sintesi conciliatrice tra una tesi e un’antitesi astratte. La tesi tradizionale vede nell’appello una rinnovazione del processo di primo grado, avente lo stesso oggetto di quello: il giudice del gravame farebbe, in sostanza, la prova della giustizia della prima decisione nell’auspicio di pervenire ad una “doppia conforme”, e non avrebbe limiti cognitivi se non quelli dati dalla novità della questione, ovvero dalla permanente identità della lite tra i due gradi1.
L’antitesi, che si vorrebbe sempre più dimostrabile in base alla nostra legge processuale, rinviene nell’appello un mezzo di impugnazione in senso proprio, rigidamente definito dai motivi di censura, nell’ottica di un sistema che, in linea col canone del giusto processo, persegue, nel passaggio dal giudizio di primo grado al giudizio di appello, e poi da questo al giudizio di cassazione, la formazione progressiva della cosa giudicata2.
La tesi dell’appello come strumento finalizzato ad un obiettivo di certezza sulla ricostruzione fattuale della vicenda sottoposta all’esame giudiziale può scorgersi, ad esempio, dietro l’interpretazione che ha indotto a qualificare “prova nuova indispensabile”, ai sensi dell’art. 345, co. 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla modifica di cui al d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito dalla l. 7.8.2012, n. 134, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile dubbio circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, pure provando quel che era rimasto indimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass., S.U., 4.5.2017, n. 10790).
Un’identica ampia prospettiva definitoria degli elementi di valutazione del riesame affidato al giudice d’appello rivela il principio per cui appartiene anche a quest’ultimo il potere di rilievo officioso della nullità del contratto dedotto in lite, ove la pronuncia di primo grado non contenga alcun esame sul punto, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda (Cass., S.U., 22.3.2017, n. 7294). Ciò fa pensare ancora che oggetto immediato del giudizio di appello sia pur sempre la stessa fattispecie sostanziale già oggetto del processo di primo grado. Da simile anelito appaiono mosse le decisioni per cui: devono dirsi precluse in appello le nuove eccezioni «non rilevabili d’ufficio», e non anche tutte le difese, comunque illustrate dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte (Cass., 20.3.2017, n. 7107); il divieto di proporre domande nuove in appello non annulla la facoltà di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto, tanto più quando la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare (Cass., 16.3.2017, n. 6854); né costituisce domanda nuova proposta in appello quella che appaia comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in lite con la citazione introduttiva o con la comparsa di intervento svolte nel primo grado di giudizio (Cass., 12.1.2017, n. 659); mentre, per ravvisare la presunzione di rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, ex art. 346 c.p.c., occorre tener conto dell’intero contenuto delle difese dell’appellato, sicché va escluso che questi vi abbia rinunciato quando abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito (Cass., 11.1.2017, n. 413).
Sono, viceversa, espressione dell’antitesi, in base alla quale l’ambito di cognizione del giudice d’appello è ristretto alla verifica di fondatezza dei motivi di impugnazione proposti, le indicazioni di fonte giurisprudenziale relative agli oneri formali incombenti sull’appellante principale e incidentale e governate dal principio della formazione progressiva del giudicato, in forza del quale la funzione giurisdizionale del giudice d’appello rimane preclusa rispetto all’esame delle singole questioni non specificamente a lui devolute.
Così, sul finire dell’anno scorso, era stato precisato come l’impugnazione della parte principale di una sentenza impedisca il passaggio in giudicato anche delle parti dipendenti della stessa alla stregua di un nesso di causalità imprescindibile, seppure queste ultime non siano state oggetto di uno specifico motivo di censura (Cass., S.U., 27.10.2016, n. 21691). Nel caso, però, di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario con interessi e rivalutazione, se l’appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito, al giudice di appello viene ritenuto inibito il riesame delle statuizioni accessorie relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria (Cass., 11.1.2017, n. 500; Cass., 31.5.2017, n. 13780).
Peraltro, sempre in ordine all’ampiezza dell’effetto devolutivo nel giudizio di appello, si è detto che, se un’eccezione di merito è stata ritenuta infondata nella motivazione della sentenza di primo grado, attraverso un’enunciazione espressa o comunque inequivoca, il convenuto che sia rimasto non di meno vittorioso, se voglia sollecitare la cognizione del giudice di appello su detta eccezione, deve proporre impugnazione incidentale, non bastando la mera riproposizione di cui all’art. 346 c.p.c. Il giudicato interno formatosi al riguardo impedisce al giudice d’appello altresì l’eventuale rilievo d’ufficio dell’eccezione disattesa in primo grado (Cass., S.U.,12.5.2017, n. 11799). È stato inoltre deciso che, allorché l’attore si sia vista accolta dal giudice di primo grado una delle proprie domande alternative, tra loro incompatibili, o la domanda formulata in via subordinata, e voglia poi insistere in appello per la domanda alternativa incompatibile o per la domanda principale, ha l’onere di proporre appello incidentale, dovendo scongiurare la formazione del giudicato sull’accertamento di fatti contrari alla pretesa accolta (Cass., 4.4.2017, n. 8674).
Ancor più significativa è la giurisprudenza che si è espressa sui requisiti formali dell’atto di appello ex art. 342 c.p.c. Sul modo di intendere la specificità dei motivi nel testo che tale norma aveva prima delle modifiche apportategli dal d.l. n. 83/2012, convertito dalla l. n. 134/2012, si è invocata la sussistenza di un principio di simmetria regolato dal raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame (Cass., 23.2.2017, n. 4695). Cass., S.U., 16.11.2017, n. 27199, ha da ultimo chiarito come gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo introdotto dal citato d.l. n. 83/2012, esigono una chiara ed argomentata individuazione delle doglianze rivolte alla sentenza impugnata, ma non anche la redazione di un progetto alternativo di decisione.
Continua, infine, il travaglio ermeneutico sul peculiare filtro del giudizio di appello allestito dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. Si è ritenuta direttamente impugnabile per cassazione o per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., l’ordinanza con cui il giudice, pur dichiarando l’inammissibilità dell’appello ai sensi di citati artt. 348 bis e ter, sostituisca l’inesatta motivazione della decisione di primo grado con una diversa argomentazione di fatto o di diritto (Cass., 23.6.2017, n. 15644; Cass., 13.6.2017, n. 14622).
1 «Si rinnova dunque indipendentemente da ogni presupposto o motivo, per il semplice lagno di una parte intorno alla sua ingiustizia»: Carnelutti, F., Lezioni di diritto processuale civile, IV, Padova, 1931, 228.
2 Si veda al riguardo da ultimo lo studio di Poli, R., La evoluzione dei giudizi di appello e di cassazione alla luce delle recenti riforme, in Riv. dir. proc., 2017, 128 ss.